Che affascina tra la musica e le stelle della sua “Atlas Coelestis”
La sala Laudamo di Messina, venerdì, sabato e domenica, ha ospitato tre serate straordinarie di musica ed astronomia.
In una notte di gennaio, qui da noi, non è certo usuale scrutare le bellezze di un cielo stellato, eppure il pianista – compositore Giovanni Renzo e gli attori Maurizio Marchetti e Maria Serrao, voci recitanti, sono riusciti a regalare al pubblico di Messina l’incanto, le attrazioni ed i saperi del cosmo in molteplici sue sfaccettature.
“Atlas Coelestis – La musica e le stelle”, è il titolo di una originale, eccellente, produzione artistica di Giovanni Renzo, musicista messinese dalle spiccate qualità, che dopo tante esperienze nel jazz, dove ha suonato con grandi artisti, tra cui Paolo Fresu – con il quale ha addirittura aperto l’edizione 1998 di “Time in Jazz” di Berchidda – e Gianluigi Trovesi, ha deciso di orientare i suoi studi e le sue passioni dividendosi tra il pianoforte ed il cannocchiale, partiture e libri d’astronomia, avvalendosi della collaborazione dell’astronomo Gianluca Masi.
Ed i risultati, se si considerano i luoghi e gli eventi in cui egli ha lasciato scritto il proprio nome, sono sicuramente rilevanti: dal 1996 ha girato l’Italia con “La distanza della Luna”, opera ispirata ad Italo Calvino, “consacrata” al Planetario di Roma, in occasione della “Notte Bianca” (2006) ed a “Taormina Arte” (2007), accanto ad Arnoldo Foà come voce recitante; dal 2004, anno in cui ha completato la scrittura proprio di “Atlas Coelestis”, presenta lo spettacolo nei siti più rappresentativi per eccellenza, tra cui il Planetario di Modena (2005), il Planetario di Roma (2008), l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte e l’Atelier Vivienda di Milano (2010).
Un’altra tappa importante per la sua carriera dinnanzi ad un grande pubblico di appassionati è stata, nel 2009, la partecipazione al Festival delle Scienze, rassegna che si tiene nella Capitale, all’Auditorium Parco della Musica, dove Renzo si è esibito nello spettacolo multimediale “La forma delle Stelle”.
Questi e tantissimi altri eventi hanno “costellato” la sua carriera, nella quale, oltre alle proposte musicali associate all’astronomia, Giovanni Renzo ha fatto, da sempre, cose importanti nel campo del teatro, del cinema e della danza. Il pianista opera, quindi, dentro un variegato panorama artistico, nel quale si è collocato grazie a tanti studi ed esibizioni, ad iniziare dalla prima, al “Messina Jazz Meeting” 1980, che evoca tanti ricordi tra gli appassionati:
In “Atlas Coelestis”, rassegna di composizioni scritte tra il 1997 e il 2004, la musica e i racconti diventano vettori per l’esplorazione delle meraviglie del cielo così come gli scienziati ne rappresentano forme e movimenti. Ad iniziare da Galileo, che nel gennaio del 1610, con il suo Sidereus Nuncius rivela le sue osservazioni che aprono nuovi e importanti scenari sull’universo di cui ne rivoluziona la conoscenza, abbattendo i pregiudizi del tempo e confutando le teorie aristoteliche.
Lo spettacolo inizia con Maurizio Marchetti che nel buio della sala rompe il silenzio enumerando stelle, presentandole così come le grandi protagoniste della serata. La suggestiva conta sfuma sulle prime magiche note de “La distanza della luna”, una piacevole sorpresa che farà da preludio alla performance musicale che accompagnerà, per un’ora e dieci minuti, letture e immagini delle meraviglie del cosmo.
Maria Serrao recita magnificamente un passo de “La natura” di Lucrezio: “Solleva gli occhi all’azzurro nitido e puro del cielo e a tutto ciò che racchiude (…), eppure, oggi, nessuno più non si degna, ormai stanco a sazietà di vederla, d’alzare gli occhi sin alla splendida volta del cielo”. La musica è “Incanto”, primo pezzo dell’opera, alla quale si aggancia “L’incanto della notte”, con la voce di Maurizio Marchetti che si alterna alla Serrao. I due costruiscono un dialogo fatto di racconti, sguardi e gesti da grande teatro, in uno sfondo di luminose costellazioni e musica che, completata da una base di sax, coinvolge lo spettatore.
“Atlas Coelestis – Il suono delle stelle” è il secondo capitolo del racconto. Qui entra in campo Galileo cui dà voce Marchetti, che fa vivere, come d’incanto, la scoperta dei particolari della luna e di tantissime stelle, compreso l’evento più suggestivo: “Il giorno 7 gennaio del corrente anno 1610, alla prima ora della notte seguente, mentre guardavo gli astri celesti col cannocchiale, mi si presentò Giove (…)”. Il tutto è sensazionale: il maxischermo che proietta immagini riproduce profondità siderali che catturano lo sguardo dello spettatore restituendo corpi celesti. Non occorrono artifici tridimensionali, è più che sufficiente la misura che l’insieme dà, concedendo spazio anche all’immaginazione.
Il titolo del capitolo contiene in sé la sostanza, frutto del genio creativo di Giovanni Renzo, che lo rende unico in questo genere. Egli, leggendo Galileo, si compenetra nell’astronomo pisano che studia l’universo, riportandone la visione su un quaderno, e ne ripercorre le mosse.Visti i tempi, si giova dello speciale ausilio di un computer con risultati che descrive così nel suo volumetto illustrato, che prende il titolo dell’opera, edito da Mesogea: “La mappa che avevo ottenuto mi sembrava interessante anche dal punto di vista grafico e, quasi per gioco, ho provato ad inserire nuovamente il foglio nella stampante e sovrapporre dei righi musicali alla carta del cielo; così le stelle si sono tramutate in suoni”.
Quindi inizia a studiare le caratteristiche della partitura, ed in virtù di un complesso calcolo sugli orari della notte del 1610, ne ottiene la tonalità. A questo punto, la sovrapposizione della mappa stellare sul pentagramma musicale costituisce la partitura di “Atlas Coelestis” che Maurizio Marchetti e Maria Serrao, sul palco, descrivono così: “Le stelle diventano note su uno spartito celeste in cui la Luna, Giove e Urano formano un intervallo di quinta che accompagna tutta la composizione”. Il livello qualitativo di un’opera così ispirata, dai connotati unici, tra musica, scienza e recitazione, lascia estasiati, rendendo superfluo qualsiasi ulteriore commento.
Un’analoga sovrapposizione, ma con l’aggiunta di artifici tecnici, costituisce la base di “Pleiades – Una delicata trama sonora”, titolo del nuovo capitolo. Qui Giovanni Renzo, tra stelle di scoperta galileiana decifrate nel candore delle nebulose, ed altre già note da prima, come le sette sorelle della mitologia greca che alloggiano nel Toro, si concede un jazz le cui sfumature richiamano un’altra “stella”, tanto cara all’autore: Keith Jarrett.
“Pulsar – Il Metronomo dell’Universo” è una parte che trae ispirazione da ricerche di radioastronomia in cui è stato utilizzato l’udito per esplorare il cosmo, individuando delle radiosorgenti.
Jocelyn Bell scopre segnali particolari provenienti da stelle che pulsano, giunte allo stadio finale della loro esistenza, da cui un musicista come Renzo trova ovvia ispirazione. Egli utilizza il loro segnale come base ritmica, un metronomo naturale su cui forma delle sovrapposizioni che gli consentono di liberare le proprie virtù musicali che poi traspongono in una piacevole fusion, mentre sullo schermo, le Pulsar, sembrano enormi cuori pulsanti di forma circolare.
“Cygnus X1 – Labirinti nel tempo” è la parte dell’opera che, in linea con la natura scientifica di “buchi neri”, verso i quali si dibatte in materia di spazio – tempo, evidenzia misteri ed inquietudini. Nel corso dell’ennesimo dialogo recitativo e descrittivo tra Maria Serrao e Maurizio Marchetti, Giovanni Renzo trova nel free jazz la propria forma espressiva, tra contaminazioni, effetti su piano solo e pause, centrando lo stato d’animo che suscita l’argomento. Piena di tenerezza, poi, la riflessione dell’autore sulla immaginaria possibilità di ritornare indietro nel tempo, nell’interpretazione di Marchetti: “Vorrei vedere me stesso appena nato, nella casa in cui ancora adesso vivo. Darei una carezza a quel bimbetto, lo farei sorridere e gli porgerei un dito da stringere. Poi mi siederei al vecchio pianoforte di mia madre e suonerei, piano piano, una ninna nanna”.
E se il tempo apre all’immaginazione di un ritorno al passato, lo spazio si offre al fascino dell’infinito: siamo in “Astrorum Nexus”, penultimo segmento del programma, in cui ci si interroga addirittura sui confini del cosmo. Maria Serrao, legge così un passo bellissimo di Renzo: “Forse ognuno di noi contiene un universo, anzi, è un universo che vive, insieme ad altri universi, in un universo che li contiene tutti…”. E Marchetti, riflettendo su come si possa sopportare l’infinito del cosmo con il suo buio disseminato, conclude: “Ma intanto continuo a guardare il cielo, cercando di ascoltarne i suoni, stupito, rapito e anche impaurito da tanta bellezza”.
Questa è la parte che contiene la massima che Renzo ha scelto come home page nel suo sito web e che in sala viene pronunciata da Maria Serrao: ”Anche la musica ci permette di viaggiare nel tempo e nello spazio. Possiamo ascoltare canti gregoriani, tamburi africani, voci di balene, cori balcanici, tango argentino, suoni prodotti da computer o da conchiglie, da arpe eolie o da sofisticati sintetizzatori. Il nostro udito è una macchina del tempo”.
Gli effetti musicali, lenti e nitidi, di Giovanni Renzo, che a tratti sembra ritrovare Jarrett, agevolano negli spettatori il senso di introspezione, nella ricerca degli spazi cosmici.
Nell’ultima parte si accenna ad esplorazioni spaziali finalizzate anche alla ricerca di altre civiltà.
A bordo di una delle sonde sono state installate delle informazioni anche a base di voci e suoni, tra cui il Preludio in Do maggiore dal “Clavicembalo ben temperato” di J.S. Bach, tema conclusivo, interpretato al piano da Giovanni Renzo, mentre Maurizio Marchetti riprendeva a contare gli astri, stavolta all’infinito.
testi e foto di Corrado Speziale