MESSINA – la città  muore per volontà di popolo.
Dal Palazzo

MESSINA – la città muore per volontà di popolo.

 

 

La vecchia “Avvelenata” di Guccini e la notte fonda accompagnano queste righe che vanno componendosi man mano che il pensiero incontra la carta, la penna scorre lasciandosi dietro parole che alla fine, si spera, abbiano acquisito un senso oltre la banalità e che nella somma degli eventi umani possano servire a qualcosa, al minimo per meglio dire, strappandosi in tal modo ogni forma di vanità, che è lo straccio di una riflessione.

L’esercizio dello scrivere ha come risultato oltre l’odore dell’inchiostro o il rumore dei tasti battuti, di produrre immagini nella mente di chi scrive.

L’immagine così prende forma, e diventa una familiare lingua di terra stretta fra colline e mare, abitata da circa trecentomila anime in riva ad uno Stretto che per adesso, fortunatamente, rimane privo di un mostruoso ponte che ne sovrasta le acque.

Parlare o scrivere di Messina e del suo inarrestabile disastro, negli ultimi mesi è cosi facile da diventare normale consuetudine, tanto da far passare le mille e più amare verità in fatti banali, ripetuti già centinaia di volte.

In tal modo ogni parola tracciata in questo senso, ogni discussione, ogni proposta, avanzata rischia di rientrare nel disarmante campo dell’inutilità.

A guardarla adesso Messina sembra una di quella città di frontiera in cui ogni palmo di terra è nello stesso tempo di tutti e di nessuno, dove a furia d’imparare a sopravvivere ci si dimentica troppo spesso di vivere. Ma c’è qualcosa di più che sfugge ad un primo sguardo, o peggio ancora, si fa finta di non vedere: Messina muore per volontà di popolo.

Troppo spesso i messinesi hanno avuto “l’accortezza” di lavare le proprie responsabilità con l’acqua del bisogno, criticando da lontano la spregevole politica per poi tornare dalla mano del padrone per avere ciò che rimaneva del suo pasto, accettando di fatto i più vili compromessi, rimanendo immobile ad evidenti sopprusi, premiando chi a tutt’oggi di questa città ne è il male.

E ora si paga il salatissimo prezzo.

A dire il vero il conto lo si paga già da un pezzo, tant’è che diverse generazioni non hanno conosciuto una realtà diversa da quella delle emergenze, degli stipendi non pagati, del lavoro umiliato e umiliante, delle restrizioni di ogni tipo, della mediocre superficialità, dell’indifferenza verso tutto ciò che è davvero importante per la collettività.

Le illustri teste “pensanti” di questa città si mettano ora in fila per cercare un solo valido motivo per cui messina non meriti questa sorte, non c’è nulla d’ingiusto né di sbagliato né di sorprendente nell’assistere ad un simile scenario, è solo la storia che la maggoranza di questa città si è scelta.

Forse si eviterà il fallimento, per il momento, con i quaranta milioni promessi da Crocetta e con i settanta che forse arriveranno dall’adesione al fondo “salva enti” del governo.

Ma a cosa servirà? L’emergenza ritornerà, le numerose vertenze non saranno risolte e tutto sarà come prima, quindi che la regione siciliana e il governo non sprechino questo denaro, vengano dati a chi invece ne farà un buon uso, perchè nessuno delle personalità politiche sedute a Palazzo Zanca è all’altezza di mantenere la parola data, né di risolvere la situazione. 

Che Messina allora fallisca pure, che tocchi pure il fondo della sua sorte, così soltanto forse la maggioranza dei messinesi si sveglierà dal suo vile sonno e comincerà ad assumersi quelle responsabilità da cui ha voluto sempre fuggire. 

Nessuno voglia intendere una presa di posizione tesa a difendere le istituzioni e la politica peloritana, ma se essa ha commesso disastri è perchè il popolo l’ha permesso, per indifferenza o per calcolo ormai non ha più importanza. 

Viene da chiederi a cosa servano quindi gli sforzi di quella che è la minoranza, per intenderci la parte salvabile di questa città, quella che in un modo o nell’altro s’impegna in qualunque campo per qualcosa di diverso e la risposta a tale dubbio sta proprio nell’apatica maggioranza: la resa a siffatto popolo è privilegio inammisibile.

I soliti indignati della domenica leggendo queste righe potrebbero avere pure un sussulto d’orgoglio, leggere di un messinese che vuole il fallimento della propria città è inaudito per le orecchie addomesticate alla parole che si vogliono sentir dire, che se la prendano pure con il nome e cognome in fondo a questa pagina se li può far sentire meglio, ma sapete com’è “Son le quattro del mattino l’angoscia e un po’ di vino…”

Giuseppe Pennestrì
by Costruiamo il contropotere
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16 Gennaio 2013

Autore:

admin


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