– di Corrado Speziale –
L’Aula magna della Corte d’appello di Messina ha ospitato un intenso dibattito sulla violenza quotidiana, in tutte le sue forme, alla luce dei drammatici fatti di cronaca che giornalmente occupano le pagine dei giornali. Ad organizzarlo, Maria Andaloro, ideatrice della campagna “Posto occupato”, L’Aiga e l’Ordine degli avvocati di Messina. Particolarmente fitta la schiera degli interventi, condotti da addetti ai lavori operanti in ogni settore della società e delle istituzioni che quotidianamente si misurano con questo grave fenomeno sociale in tutte le sue implicazioni. Al centro del dibattito i soggetti, le strutture interessate, la famiglia, la scuola, l’oratorio, lo sport, l’assistenza sociale, l’informazione, l’impegno delle forze dell’ordine e della magistratura. Lanciata la proposta per un “manifesto” comune su come trattare i casi di violenza, condiviso dai partecipanti, al fine di stabilire, specialmente sotto il profilo dell’informazione, condotte deontologicamente corrette nell’affrontare i vari casi che vengono denunciati.
“La Filiera della violenza”, come un processo che, caso per caso, ha una sua origine, un suo sviluppo e dunque un epilogo. Ma prima di tutto alla base ha un preciso background. Si va per “step” e passo dopo passo ogni storia attraversa le fasi che coinvolgono tutti i soggetti interessati. Nel convegno tenutosi venerdì pomeriggio nell’Aula delle Corte d’Appello di Messina, organizzato dall’Associazione Italiana Giovani Avvocati, dall’Ordine degli avvocati di Messina e da Maria Andaloro, ideatrice della campagna “Posto occupato”, che ha moderato i lavori, ogni fase, tradotta in moduli, ha avuto una o più testimonianze. “La nostra generazione non è muta, è la politica ad essere sorda”, è la frase che ha ispirato il dibattito, scritta nel bagno delle ragazze di un liceo palermitano di Brancaccio e fotografata dall’insegnante Clelia Lombardo.
Ha introdotto i lavori l’avvocato Antonino De Francesco, presidente dell’Aiga di Messina: “Parlando di violenza ci soffermiamo sempre sull’ultimo evento di cronaca. Difficilmente approfondiamo le sue origini. Molti individui prima di essere portatori di certe condotte – ha proseguito De Francesco – in precedenza le hanno subite loro stessi, sotto diverse forme e nei diversi contesti sociali in cui esse si sviluppano. Per questo bisogna approfondire tutto l’iter e capirne i motivi”. L’avvocato Paolo Vermiglio, consigliere anziano dell’Ordine: “L’iniziativa è meritevole. Ci sono comportamenti che hanno radici lontane. La violenza spesso si associa a fatti di sottosviluppo e degrado sociale. L’idea della filiera della violenza porta a una fattispecie che si evolve, pertanto può essere interrotta. Il problema non è solo del giurista, delle forze dell’ordine o di altri soggetti che operano nel sociale, bensì di tipo culturale. Messina è una città che ha tanto bisogno di cultura, intesa come consapevolezza di cosa sia la legalità, di coscienza civile. Da avvocati dobbiamo dare nuovi contenuti alla nostra professione ed essere portavoce di un riscatto della nostra società”. A seguire, l’intervento di Nina Santisi, assessora comunale ai Servizi sociali: “Qualsiasi filiera di violenza ha una matrice inevitabilmente psicologica. Influisce un binomio tra insensibilità e mancanza di empatia. Alla violenza si contrappone il rispetto e la reciprocità. Questa filiera si interrompe con i processi educativi. Occorre investire sulla qualità dei rapporti che costruiamo”. Frida Simona Giuffrida, avvocato messinese: “Questo incontro nasce dopo la vicenda messinese di Ylenia. Tutto ciò che ne è scaturito ha fatto sì che la violenza diventasse un argomento di comunicazione quasi normale. Questo ci ha spaventato. Il caso di Ylenia ci ha fatto riflettere sul perché la ragazza avesse negato le responsabilità del suo fidanzato. Così abbiamo considerato la violenza un problema culturale. Non parliamo di violenza solo contro le donne, ma nei confronti dei più deboli, di violenza nelle scuole, dei tanti contro i meno. Abbiamo tutti la responsabilità sociale perché facciamo parte di questa società e dobbiamo consegnare alle prossime generazioni un futuro di speranza”.
Maria Andaloro, ideatrice di “Posto occupato”, campagna contro il femminicidio: “Dobbiamo farci carico di questo problema e studiare la possibilità per lavorare tutti insieme. L’impegno parte dall’inizio di questa ‘filiera’. Siamo vicini al mondo dei giovani, con problemi come bullismo, mobbing e quant’altro. Tanti casi di violenza, anche se non ci colpiscono, ci toccano. Dinnanzi a ciò non dobbiamo essere né indifferenti né ignoranti. Ci vuole ascolto. I ragazzi hanno bisogno di confrontarsi con noi adulti. Intervenire alla fine con le punizioni è sempre una sconfitta per tutti”. Umberto Bringheli, presidente del Forum famiglia, pone quest’ultima come organismo centrale nella società e antidoto contro ogni forma di violenza. “La famiglia – ha detto Bringheli – è il luogo dove si impara ad amare e si progetta il futuro, perché fondata su un progetto di vita condivisa, dove si impara a condividere la vita, la comprensione, la tolleranza, il perdono, la socializzazione, il rispetto. Insomma, dove si impara a vivere e a relazionarsi”. Al centro del tavolo faceva bella mostra di sé un pallone da rugby autografato dai campioni della nazionale. Pancrazio Auteri, esperto di educazione sportiva, promuove i progetti sociali per la federazione nazionale rugby, sport duro per eccellenza ma tutt’altro che violento, dove vige il rispetto reciproco: “In effetti siamo un paradosso – dice Autieri – perché il rugby è lo sport meno violento che esista. E’ uno sport che ti obbliga a guardarti dentro, dove le regole non devono essere seguite, ma dimenticate. Le devi solo assimilare. La violenza verso gli avversari è considerata una mancanza di rispetto. Il rugby rappresenta uno stile di vita, una cultura. Basti pensare che fino a 14 anni ragazzi e ragazze giocano e si placcano insieme. La differenza diventa un valore da rispettare”. Un modello di vita, dunque. Don Nico Rutigliano è un parroco “di frontiera”: opera nella parrocchia del SS Salvatore, a scavalco tra Villaggio Aldisio e Fondo Fucile. “I poveri ci educano”, ha detto il sacerdote. Poi il racconto sul suo primo impatto con la dispersione scolastica e l’avvio del doposcuola, come “bisogno primario”. Poi, la ristrutturazione di un locale in comodato d’uso, la realizzazione del campetto sorto in una ex discarica, i giochi, i laboratori. E ancora, i danni subiti dalle strutture. Tuttavia, ammette: “Mai subiti atti di violenza, ma essa si respira, la senti dal tono della voce e dal linguaggio”. La sua è una storia che parla di rigenerazione e recupero sociale: “La vera povertà che genera violenza è l’agglomerato di tante povertà, sociale, economica, culturale. Ci sarebbe da scoraggiarsi ma non demordo”, ha sottolineato don Nico. Rosaria Di Blasi, dirigente della Squadra mobile di Messina, sezione reati contro la persona. “Negli ultimi anni si è avuto un aumento esponenziale delle denunce di fatti riconducibili alla violenza di genere. Noi siamo molto attenti a queste esigenze e da un po’ di tempo abbiamo attivato una sezione specializzata che si occupa della tutela delle fasce deboli”, ha detto le dirigente. “La vittima di violenza domestica è restia a denunciare. Il nostro impegno sta nell’aiutare la vittima a farlo. Sui minorenni l’impegno è ancora più ostico. Innanzitutto conta la tutela della vittima”. Maria Baronello, assistente sociale al Tribunale dei minori, inizia con una statistica seria: “Nel 2015 nel nostro distretto di Corte d’Appello abbiamo ricevuto 252 denunce di cui 149 reati contro la persona. Nel 2016 i reati contro la persona sono stati 154”. Sul suo lavoro: “A volte veniamo accolti con difficoltà”. Cosa fare: “Occorre osservare la città. I nostri figli guardano gli esempi. E’ tardi per lavorare sui cinquantenni, ma siamo in tempo per i ragazzi. Manca il rispetto. Occorre educare all’affettività da zero a sei anni, per questo stiamo attuando progetti in città. Molte ragazze subiscono violenza perché non hanno abbastanza autostima. Tante donne non riescono a sganciarsi da situazioni in cui rimangono prigioniere”. L’avvocato Isabella Barone, consigliera dell’Ordine: “L’avvocato è colui che difende il ‘mostro’…Capisco la legge sul femminicidio ma non dimentichiamo che la tutela va accordata all’uomo in quanto tale, al di là del sesso e dell’età”. Racconta un passaggio in cui restò colpita da un ragazzino, minore, che aveva usato violenza a un coetaneo: “Aveva lo sguardo impaurito, spaesato, non si rendeva conto di ciò che fosse successo”. Sulla famiglia: “Non è un’istituzione codificata, deve essere di supporto. La filiera della violenza va ridotta lì”. Rosaria Brancato, giornalista, direttore di Tempostretto, ha ricordato il caso di Ylenia Bonavera, con non poca autocritica nei confronti della sua professione: “Nei casi di violenza l’asticella si alza sempre di più. Come stampa abbiamo questa responsabilità. Ylenia era una vittima che non si poteva difendere e per la stampa è stata una cuccagna…”. Daria Orlando, giudice presso la Corte d’Appello di Messina, già al Tribunale dei minori. “Ho visto vari casi di violenza, bambini maltrattati, donne picchiate, abusi sessuali di tutti i tipi”. Il magistrato, fra tutte, ha raccontato la storia di una donna-coraggio che ce l’ha fatta: ragazza diciannovenne, incinta, ha denunciato violenze subite dal padre durante la sua infanzia. Una storia drammatica, fatta di angoscia e di coraggio, andata a buon fine. Angelo Costantino, psicanalista e giudice onorario presso il Tribunale dei minori, si occupa di chi ha subito abusi e maltrattamenti. E’ il caso della “personalità danneggiata”: “Il trattamento – ha detto Costantino – è difficilissimo sul lato tecnico, ma soprattutto su quello umano”. Dopodiché, anche da lui una storia: quella di una bambina di dodici anni, adottata, che portava precedenti segni di violenza. Adesso, diciassettenne, ha ben recuperato e frequenta il liceo. Una lunga e commovente e-mail della madre, inviata al professionista, è stata letta in sala. A seguire, Concetta Restuccia, assistente sociale, responsabile del centro antiviolenza Evaluna Onlus, riprende il caso di Ylenia: “Un sistema che parte dal basso, tipo quello scolastico, non l’ha saputa proteggere in un momento di grande vulnerabilità e l’ha messa in passo allo sciacallo mediatico. Ylenia non è differente da tante ragazzine che credono che i like su Facebook siano un valido indicatore di valore, su chi ha un potere e chi no. Mi rivolgo a chi utilizza questi mezzi in maniera sfrontata e disinvolta”. Dunque, l’appello per il numero verde 1522, operativo h 24 assieme a quelli delle forze dell’ordine, in aiuto a chi subisce violenze. L’intervento di Maria Teresa Arena, giudice presso la Corte d’Appello di Messina, è consistito nel racconto di una storia paradigmatica con vittima e carnefice, “ruoli che spesso si confondono”, ha detto il magistrato: una madre viene chiamata a rispondere del reato di calunnia dopo aver fatto arrestare ingiustamente l’ex marito, poi assolto, accusandolo d’aver abusato sessualmente delle due figlie, imbeccate ad hoc per l’occasione. I nonni materni, a loro volta, sono stati accusati di falsa testimonianza. “Nessuno ridarà più dignità a chi l’ha persa grazie alla cultura del mostro. Io sto dalla parte di chi ha ragione”, ha rimarcato il magistrato. L’aspirante avvocato Maria Fernanda Gervasi, presidente dell’associazione Le-(g)-ali, si sta interessando ad un progetto con le scuole. Tra queste, i licei Maurolico e La Farina, con molto studenti che gremivano la platea. “La nostra attività è volta a sensibilizzare i ragazzi sulle tematiche che riguardano la loro quotidianità, come bullismo, cyberbullismo, ma anche la mafia con la sua diffusione etc.”. Con lei, due studentesse liceali, che hanno relazionato sui contenuti del progetto. Dopodiché, Enrica Stroscio, studentessa e attivista del movimento “Non una di meno”. L’analisi sul caso di Ylenia, la cultura della violenza, la sensibilizzazione: “Nelle scuole – ha detto la studentessa – ogni giorno docenti e alunni dovrebbero parlarne al fine di apprendere l’uno dall’altro. I ragazzi devono essere stimolati da un’informazione attiva, non passiva”. Poi afferma con decisione: “La donna non è il sesso debole. Tutte le persone devono essere messe sullo stesso piano. Pari diritti per tutti”. In conclusione, Lina Lenzo, docente e ideatrice del progetto G.I.O.Co – Gioco Imparo Opero Coopero. Si tratta di un metodo per imparare ad apprendere e a costruire sapere e solidarietà, ispirato agli insegnamenti di Don Milani, che risponde a bisogni primari della persona, come il gioco, la conoscenza, l’operatività, la cooperazione e la progettualità.
Sul tema del convegno, ha affermato Lina Lenzo: “Molto spesso la violenza nasce dall’incapacità di saper riconoscere, nominare, esprimere e gestire le emozioni. Gli alunni sono coinvolti da protagonisti nella progettazione degli strumenti per raggiungere gli obiettivi. Imparano ad apprendere e sviluppano tutte le attività trasversali”.
Nel corso del convegno è stata lanciata la proposta per un “manifesto” comune su come trattare i casi di violenza, condiviso dai partecipanti, al fine di stabilire, specialmente sotto il profilo dell’informazione, condotte deontologicamente corrette nell’affrontare i vari casi che vengono denunciati.
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