di Corrado Speziale –
Dopo il convulso week-end vissuto dal mondo politico e istituzionale in virtù delle ennesime esternazioni di Berlusconi contro la magistratura, l’incontro al Palacultura di Messina con Nicola Gratteri, Procuratore aggiunto presso la D.D.A. di Reggio Calabria, in occasione del Salone del Libro, era senz’altro molto atteso. Ma il magistrato calabrese, da anni impegnato in prima linea nella lotta contro la ‘ndrangheta, non ha fatto alcun accenno alle ultime vicende, mantenendosi cauto, ma non per questo poco incisivo, dentro l’alveo degli argomenti che attengono alle problematiche che quotidianamente è costretto ad affrontare.
Il dibattito si è svolto, domenica sera, nella Sala B del Palacultura, gremita in ogni angolo, con tanta gente che pur di non mancare all’appuntamento, si è accontentata di seguire l’incontro in piedi. A porre le domande, che hanno fatto da filo conduttore al dibattito, c’era il prof. Saverio Di Bella, storico dell’Università di Messina e senatore nella XII Legislatura.
Il magistrato, che ha trattato il tema dal titolo “Le mafie”, era stato invitato, in veste di autore, a presentare il proprio libro “La giustizia è una cosa seria” (Mondadori, 2011), scritto a due mani con Antonio Nicaso, calabrese trapiantato in Nord America, dove, partendo da zero, è divenuto, oggi, titolare di due cattedre universitarie, in Canada e negli USA, nonché consulente dell’FBI e tra i maggiori esperti al mondo di ‘ndrangheta. Con Gratteri egli ha un rapporto più che consolidato, essendo, quest’ultima opera, la sesta realizzata insieme dal 2007 ad oggi.
Il magistrato anti – ‘ndrangheta per eccellenza, si è espresso davanti al pubblico messinese come meglio non poteva, argomentando sui contenuti del testo, trasponendoli in fatti reali, facendo tanti esempi calzanti e facilmente riscontrabili nella vita di ogni giorno in terra calabrese e non solo. E Gratteri spiega subito i motivi che l’hanno condotto a questa collaborazione oltreoceano: “Abbiamo pensato di scrivere questi libri, per raccontare la ‘ndrangheta dal nostro punto di vista, senza che fossero racconti ovattati, compiacenti o proni al potere”. E’ stato quindi chiarissimo nelle sue premesse, dove ha fatto subito vibrare la sala su due tra i più discussi temi del momento: “Non possiamo prendere in giro la gente raccontando che ce la possiamo fare, perché tanto la ‘ndrangheta reagisce per nervosismo e che quindi stiamo sconfiggendo le mafie. Queste sono grandi sciocchezze, perché noi con questo sistema giudiziario e con questa scuola, al massimo, potremo pareggiare la partita”.
Alla domanda di Di Bella se la ‘ndrangheta possa aver contribuito, in un certo qual modo, quasi paradossalmente, all’unità d’Italia, Gratteri risponde che essa “non ha valori ed esprime falsi sensi di solidarietà”, aggiungendo, a tal proposito, che sulla stessa “si raccontano favole, perché esiste solo laddove c’è da gestire denaro e potere”.
Elogia, poi, le strutture di Polizia giudiziaria che lo collaborano, che giudica “di altissimo livello, di gran lunga migliori delle polizie straniere”, anche se, tuttavia, denuncia forme di corruttela, intese come “scambio di favori all’interno dei poteri”. E incalza, poi, sul problema della credibilità: “Il sistema penale e processuale italiano non ci aiuta ad essere credibili”. Fa un quadro perfetto del fenomeno ‘ndranghetista legato all’usura, che porta all’acquisizione degli esercizi commerciali da parte della malavita. E qui spiega dove, secondo lui, è carente lo Stato: “Se i commercianti non denunziano vuol dire che ritengono ancora conveniente pagare la mazzetta, quindi – aggiunge – è un discorso soprattutto di regole. Se non si cambiano le regole del Codice di procedura penale, del Codice penale e del sistema detentivo, non andremo da nessuna parte”. Ma rivolge anche una certa critica alla propria categoria che non può permettersi di perdere credibilità: “Un magistrato non solo deve essere onesto ma anche apparire tale, perché la gente deve essere tranquilla nel momento in cui viene indagata o giudicata”.
Descrive poi, con dovizia di particolari, il proliferare dei centri commerciali in Calabria, sproporzionati al territorio ed al tenore di vita della popolazione. Di queste mega strutture spiega la complessa macchina delle “coperture” e del riciclaggio di denaro illecito che ne giustifica l’esistenza, attribuendo loro il termine di “scontrinifici”. Fa un appello ai giovani, alle ragazze, che egli spesso incontra nelle scuole, affinché sfuggano alle tentazioni della cultura mafiosa, quella del guadagno facile. E cita cifre, ricavi, condizioni di vita delle mogli dei boss apparentemente agiate ma che nascondono in sé valori effimeri, squallori e tristezze, depressioni e senso di disorientamento sociale e familiare.
Quanto alle ramificazioni del fenomeno, critica l’ex ministro della Giustizia Castelli, che aveva proposto di impedire alle imprese calabresi di partecipare all’Expo 2015 di Milano, e sull’argomento, Gratteri, non usa mezzi termini: “La ndrangheta esiste a nord dagli anni ‘50 e su questo c’è stata grande miopia della classe politica. Mi meraviglia che un ex ministro dica queste cose. Ci sono decine di imprenditori di questo tipo che sono lombardi da tante generazioni. Queste affermazioni – prosegue il magistrato – possono costituire l’escamotage per danneggiare l’imprenditoria pulita calabrese. Non dimentichiamoci mai che la ‘ndrangheta, anche nelle zone in cui è più presente, è pur sempre una minoranza, ma attrezzata, organizzata ed efficientissima, l’esatto opposto di noi”.
Gratteri, in linea, poi, con i contenuti del libro e le proprie idee di rinnovamento della macchina giudiziaria, sostenendo che “lo Stato per decenni non ha voluto investire nella Giustizia per restare al passo coi tempi”, insiste sulla sua proposta, criticando la formula berlusconiana di cui si parla tanto: “Al posto del processo breve ci vuole l’informatizzazione degli uffici giudiziari, con posta elettronica certificata per le notifiche”, che secondo lui, “dovrebbe essere obbligatoria come il codice fiscale”.
Ed a questa soluzione aggiunge, tra l’altro, la riduzione del numero dei tribunali e l’accorpamento di quelli di sorveglianza. Alquanto singolare, inoltre, la proposta di far lavorare, in carcere, i detenuti che ne abbiano i requisiti, per mantenersi la retta. In altre parole: “applicare managerialità alla Giustizia”.
Smentisce, poi, i dati forniti dal Governo sulle tanto contestate intercettazioni telefoniche, sulle quali, lo stesso, sta mettendo mano per ridurle drasticamente. “Toccare le intercettazioni – dice Gratteri – vuol dire la fine del processo penale”.
L’esposizione del magistrato anti – ‘ndrangheta scorre come un fiume in piena, dove è difficile scorgere passaggi che non abbiano riscontri critici in tante storie recenti, tra cui quella, neanche a dirlo, dell’Università di Messina.
Lungo tutto il dibattito, su un lato della sala, risaltava agli occhi la maglietta “No al Ponte” di Renato Accorinti, storico eco-pacifista messinese che da sempre si oppone alla realizzazione della mega opera, portatrice, com’è noto, di enormi e fondati rischi di infiltrazioni mafiose e ‘ndranghetiste, nella più grande operazione economico – finanziaria, di impatto territoriale, che la storia italiana ricordi.
Non poteva mancare, allora, la domanda del prof. Di Bella su tali rischi, e la risposta di Gratteri non si è fatta attendere: ”Non voglio entrare nel merito del progetto del Ponte, penso però che, stando così le cose, difficilmente si potrà impedire che esso venga costruito al 50 per cento dalla ‘ndrangheta ed al restante 50 da cosa nostra”. Rischio che in tanti, più volte, hanno denunciato, e che apprendere dalla voce del Procuratore aggiunto della D.D.A. di Reggio Calabria, assume un significato ancora più forte, che deve far riflettere a pochi mesi dalla stesura del progetto esecutivo con 1,3 miliardi di euro a disposizione.
A questo punto, applausi del pubblico verso il magistrato, con Accorinti che costruisce idealmente un “ponte” di speranza di legalità con la sponda calabra, consegnandogli il calendario “No Ponte”, proprio quello che riporta la storica frase di Nichi Vendola: “Il Ponte sullo Stretto unirà due cosche e non due coste”.
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