Ieri mattina saranno stati circa un centinaio ad alternarsi al presidio disposto davanti alla Prefettura, considerando anche coloro che di passaggio hanno ricevuto e letto il volantino distribuito dai manifestanti, ricco di quei contenuti che hanno accompagnato l’azione di protesta del “Comitato contro la guerra”.
Questo, promosso da Ketty Bertuccelli, comprendeva la Federazione della Sinistra, il Partito Comunista dei Lavoratori, il Partito Comunista Marxista Leninista Italiano e Sinistra Ecologia e Libertà. Un fronte unico della sinistra, quindi, al quale si sono uniti i giovani del collettivo di “UniMe in protesta”, che con l’occasione hanno promosso la loro prossima iniziativa: un dibattito pubblico che si svolgerà lunedì 28 marzo, alle 17.30, nell’aula autogestita di ex Chimica, presso il Rettorato, con cui si toccherà il drammatico tema della guerra attraverso il tema “Razzismo istituzionale – dai campi Rom a Lampedusa”.
C’erano solo bandiere rosse in quel piccolo tratto di marciapiede di via Garibaldi, anche se la gravità del tema della protesta è senza dubbio tra quelli che dovrebbe interessare ben più ampi colori politici, dai cui rappresentanti, a questo punto, è legittimo attendersi risposte che vadano ben al di là della semplice e scontata retorica.
Parla chiaro il documento, nel quale, tra l’altro, si denuncia la “retorica ipocrita dell’interventismo democratico e della guerra umanitaria”. Ed in effetti non v’è dubbio alcuno nel considerare veri e propri paradossi, molte espressioni lanciate da chi di questa guerra, nata dalla protesta popolare che ha coinvolto gli altri Paesi de Maghreb, ma ormai divenuta un affare internazionale, ne ha voluto fare un motivo di affermazione delle proprie strategie geopolitiche.
Il Comitato se la prende, ovviamente, con il Governo italiano, la cui unica preoccupazione, dice, “è stata sempre e solo contenere e respingere i profughi e di mantenere salde le mani sul petrolio e il gas libico”, sottolineando, inoltre, il fatto più evidente che è sotto gli occhi del mondo: ”Oggi attacchiamo il leader di un regime oppressivo, che fino a pochi mesi fa accoglievamo con tutti gli onori”. Ma non mancano neppure dure critiche nei confronti di quei soggetti appartenenti a forze politiche, istituzionali, ed alla società civile, che fino a poco tempo prima erano scese in piazza per difendere la Costituzione, ma che adesso “fanno carta straccia dell’art.11, cancellandolo di fatto”.
Coerentemente, quindi, con i loro principi, tutte le componenti del movimento che si è ritrovato in protesta dinnanzi alla Prefettura, ha espresso con chiarezza il ripudio di ogni forma di guerra, incompatibile con il termine “umanità”, e che come tale non può essere considerato uno strumento politico. E non è mancato neppure qualche passaggio riguardante un certo appuntamento con la storia che secondo molti sembra ripetersi: “Diamo pieno sostegno alla popolazione araba, come processo di liberazione dalle potenze occidentali ed alla sua propagazione, contro ogni ingerenza dell’imperialismo, a partire da quello italiano”, ricordando un anniversario che in molti, vista la coincidenza con il 150.mo dell’unità d’Italia, hanno trascurato: il centesimo anniversario della prima spedizione coloniale dell’Italia giolittiana, proprio in Libia.
La mediazione politica e diplomatica che porti al cessate il fuoco e apra nuovi spiragli per ulteriori trattative, resta, quindi, per il “Comitato contro la guerra”, l’unica strada percorribile, perché, oltretutto, le motivazioni su cui si fonda contengono un risvolto logico a dir poco condivisibile: ”Comunque finirà – dice ancora la nota – pagheremo un caro prezzo, poiché, sia che vinca la coalizione bellica, sia che vinca Gheddafi, chi pagherà più di tutti saremo noi, sia politicamente che economicamente”.
corrado speziale
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