– di Corrado Speziale –
Al Palacultura “Antonello”, per la 98.ma stagione della Filarmonica Laudamo, domenica scorsa, quattro giovani pianisti siciliani, Valentina Casesa, Ornella Cerniglia, Marcello Bonanno, Giovanni Di Giandomenico e il compositore di musica elettronica Luca Rinaudo (Naiupoche), hanno interpretato in musica un pensiero libero e originale, nel segno della contemporaneità. Il concerto, dal grande effetto emotivo, è stato basato su brani provenienti da loro incisioni differenti, con il pensiero e lo sguardo rivolti al futuro: “E’ musica classica che ancora non sa di essere classica…”. La serata è stata introdotta dal coinvolgente racconto di Gianluca Cangemi con un singolare legame storico tra le sale parigine frequentate da Ravel e i pub palermitani dove i cinque giovani hanno iniziato a suonare in pubblico. Assente per impossibilità contingenti il pianista Marco Betta. L’ensemble, “convive” all’interno dell’Almendra Music, etichetta straordinaria, un “arcipelago senza barriere”, che tra i musicisti annovera anche Giovanni Sollima. Di grande effetto la parte conclusiva del concerto, che ha visto il coinvolgimento al pianoforte anche di Luciano Troja, con ben 10 mani sulla tastiera.
Nei giorni precedenti, Karl Berger, durante la sua “residenza” a Messina, culminata con lo splendido concerto al Palacultura, ci aveva quasi convinto sull’inesistenza delle categorie musicali, dettate, secondo il cofondatore, con Ornette Coleman, del Creative Music Studio di Woodstock, soltanto da esigenze di mercato. Ancor prima, al Palacultura, a margine del suo concerto, a dir poco entusiasmante, di generi musicali non ne volle sentir parlare neppure Giovanni Sollima, da noi interpellato a tal proposito. Intanto, un inciso: anche questi due concerti erano nel cartellone della Laudamo, direttore artistico Luciano Troja.
Sui generi, cosa dire adesso: per confermarci tale assunto ci son voluti cinque giovani musicisti palermitani, appassionati, coinvolgenti e visionari. Valentina Casesa, Ornella Cerniglia, Marcello Bonanno, Giovanni Di Giandomenico e Luca Rinaudo, in arte Naiupoche (da leggere rigorosamente in italiano, n.d.r.), domenica scorsa al Palacultura “Antonello” di Messina hanno regalato emozioni. Perlomeno in chi ritiene che la musica debba scrollarsi di dosso etichette, stereotipi, armonie obbligate o quant’altro. In altre parole, in un pubblico ancora capace e voglioso di stupirsi. Siamo di fronte ad un’innovazione, non da poco, del pensiero musicale contemporaneo che un gruppo di giovani musicisti palermitani, eleganti ma “scapigliati”, rigorosi, colti ed esperti, ma al contempo liberi da confini obbligati e aperti alle contaminazioni, sta mettendo in atto attraverso l’etichetta Almendra Music: una visione comune del mondo, della vita e dell’arte, prima ancora che una società discografica. Negli album che produce, così come sui palcoscenici, c’è una musica che si trasforma in pensiero e viceversa, in un gioco circolare. Laddove essa rallenta, devia, o si assenta, è la mente dell’ascoltatore che interviene. E’ una questione di condivisione, connessione, sintonia tra musicisti e pubblico. Un esempio: quando un pianista lascia la tastiera per far vibrare le corde di un pianoforte, il suono che emana accende le “corde” dell’immaginazione. Se poi a ciò si aggiunge l’elettronica, il senso della contemporaneità è conclamato, lascia un tangibile senso di sé. E dire che, paradossalmente, una sorta di appellativo, se così si può definire, alla loro musica, l’aveva dato all’inizio proprio Gianluca Cangemi, cofondatore di Almendra: “Si tratta di musica classica che ancora non sa di essere classica…” Non genere, dunque, ma una visione – collocazione storica che sta fra la realtà e la provocazione, tuttavia basata su una logica convincente: diventerà classico ciò che oggi è contemporaneo. Con motivi ed ispirazioni ad effetto: Parigi, primi del Novecento, dal conservatorio alle sale musicali. E ancor prima, Lipsia, intorno al 1730, Caffetteria Zimmermann. Protagonisti, tra gli altri, distanti nel tempo ma non nei modi di approcciare e condividere la musica, rispettivamente, Ravel e Bach. “C’erano gruppi di giovani musicisti che si riunivano tra loro e facevano musica insieme. La musica, viva, del tempo presente, è diventata ben presto musica del tempo passato…”, ha raccontato Gianluca Cangemi. Il viaggio, nei secoli e nello spazio, approda a Palermo. La loro esperienza, il sogno: “Dopo il conservatorio, abbiamo iniziato a fare musica nei pub, scambiarla tra noi, come facevano Ravel e gli altri, esattamente allo stesso modo, senza grilli per la testa. La nostra è musica classica che ancora non sa di essere classica. La definiamo tale a posteriori. Ravel non sapeva che la sua era musica classica…!”
Poi il concerto. Musiche scritte, composte alla perfezione, tutte incise da Almendra Music. Ma mancava il classico programma di sala: anche questo, un effetto della contemporaneità che si veste di estemporaneità. Valentina Casesa ha eseguito, dal proprio album “Ki”, Breeze e Clouds di Takemitsu, dopodiché si è unito a lei Naiupoche in Caponord, per poi ritornare a solo in Untitled 3. Entrambi i brani erano di sua composizione. Ornella Cerniglia, da “L’Attesa” ha eseguito Sinister Resonance di Cowell cui si è aggiunto il raccordo di Naiupoche. A seguire, Cu va e cu veni, della stessa pianista. Dopodiché con Giovanni Di Giandomenico al sinth, in Attesa, brano firmato sempre Cerniglia, che ritornerà da sola in Pastorale etnea di Pennisi. Improvvisazione, con Marcello Bonanno, sarà l’ultimo brano della sezione che ha avuto come protagonista la seconda pianista della serata. Dunque, staffetta: Marcello Bonanno con tre suoi brani tratti da “Cycles”: Györgyplatz, Cycle III e Milano. Poi gli si affianca il solito Naiupoche per esibirsi con un brano di Marco Betta, Ecuba, tratto da “Ecuba/Ifigenia”. Quarta sezione con due ritorni: Giovanni Di Giandomenico arricchito dall’elettronica di Naiupoche. Ensemble, il titolo e il “senso” del brano, scritto da loro due con Betta.
Gran finale, di quelli mai visti: tutti insieme su un pianoforte, alternandosi in maniera circolare. Inizia Luciano Troja, chiamato sul palco per l’occasione. E saranno ben dieci, contemporaneamente, le mani che si poggeranno sulla tastiera, con qualche passaggio sulle corde. E il suono va laddove incrocia nuove energie, disegna immagini inedite, esplora i sentimenti e stimola l’immaginazione.
Quattro pianisti per una serata, più un maestro di elettronica, cui si è aggiunto alla fine Luciano Troja. E sarebbero stati sei, dunque sette, se Marco Betta fosse stato presente. Il suo messaggio è riferito alla loro casa comune: “Almendra è per me una nuova frontiera, un arcipelago senza barriere nel quale la musica è un respiro di libertà”.