Diciassette anni senza Lucio. Diciassette anni di silenzi, rivelazioni sui giornali, contorni scomodi, eredità e contrasti familiari. Una genuina arte di Battistiana memoria, non smette mai di riscaldare il cuore degli italiani – e non solo, il nostro menestrello nazionale, con la sua voce ormai entrata nel cuore di migliaia di persone, i falsetti, le inclinazioni morbide e ruvide. Tantissimi i ricordi…

Che ne sai di un bambino che rubava
e soltanto nel buio giocava
e del sole che trafigge i solai, che ne sai
Gli amori legati ai brani del repertorio di Lucio, i giovanissimi che ancora oggi, imbracciando una chitarra, ripercorrono la semplicità geniale di quegli accordi de “la canzone del sole”.
il sole quando sorge, sorge piano e poi
La luce si diffonde tutto intorno a noi
Le ombre ed i fantasmi della notte sono alberi
Ma Lucio è saputo andare oltre il successo, facendo dimenticare quelle tracce clamorose, ormai entrate di diritto nella Storia della Musica Italiana.
Quella sorte di Comune in cerca di ispirazione, a cavallo, negli anni ’70, con il fido paroliere Mogol, un immagine epica che richiama quella dei poeti maledetti francesi, Rimbaud e Verlaine.
La fiamma è spenta o è accesa?
O mare nero, o mare nero, o mare ne…
Tu eri chiaro e trasparente come me
Il sole quando sorge, sorge piano e poi
La luce si diffonde tutto intorno a noi
Le ombre ed i fantasmi della notte sono alberi
Una rivoluzione fatta di parole, metafore, abbracciate all’unisono dalla vena creativa di Lucio.
Poi, il sodalizio artistico giunse all’epilogo, e come tutti i matrimoni finiti, restarono le gemme preziose di quei dischi.
Un angelo caduto in volo
Questo tu ora sei in tutti i sogni miei
Come ti vorrei, come ti vorrei
Ma oggi, diciassette anni dopo la morte di Lucio, vorremmo soffermarci sulla qualità dei dischi bianchi, dell’Era Panella, 1986-94: album che vanno riscoperti, amati, dove il nostro fugge dalle regole di mercato, finalmente libero dall’identità ingombrante dell’ex ragazzo cresciuto tra collaborazioni illustri, e foto simbolo.
Un ripiego, un riappropriarsi finalmente della propria musica, del modo di sentire e respirare il nuovo Decennio, con la svolta, le sonorità talvolta dance, e i testi sempre più ermetici.
Quindi facendo finta
che non sai parlare
ti metti un dito in bocca, l’anulare.
Dirigi una quinta qualsiasi
sposti tre vasi come le tre carte
mi metti a parte di una confidenza
senza vocali e senza consonanti
tiri con gli occhi chiusi sull’atlante
l’indice come un pulsante
accende una nazione in cui mi sa
che a quest’ora è notte piena o molto nuvoloso
pieghi la schiena
cali il tuo sipario di capelli
sopra l’armamentario voluttuario
quindi ti sollevi in mulinelli
dall’indaco e il blu di Prussia profondissimi.
La critica dell’epoca non fu docile, col nuovo ciclo di Battisti, ma dischi come Don Giovanni, L’apparenza, riescono a spiazzare l’ascoltatore, tra messaggi criptati nei testi, un sottile gioco di parole, un rimando forse a Mogol.
Ma questo non lo sapremo mai con certezza.
Le aperture dance nè La sposa occidentale, con richiami rap, accompagneranno gli ultimi lavori di Lucio, C.S.A.R. ed Hegel, con l’apporto di strumentazioni computerizzate.
Quando tutto è perduto non resta che la cenere e l’amore;
e lei nel suo bel nome era una Jena.
Chi di noi il governato e chi il governatore
son fatti che attengono alla storia.
Chi fosse la provincia e chi l’impero
non è il punto:
il punto era l’incendio.
La strenna filosofica, sin dalla copertina di Hegel del 1994, così come nei testi di Panella, lasciano intendere qualche frecciatina a Mogol già dalla titletrack.
I nonsense del pezzo, alludono per i conoscitori stretti di Battisti, all’ex paroliere, figurato come una sorta di filosofo.
Sono dischi affascinanti, freddi all’inizio.
Ma dal primo impatto, bisogna lasciarsi trasportare in quel bianco che proprio Lucio ha voluto, per raccontare il suo ultimo cammino.
Un eredità non ancora raccolta da nessuno, una lucida compostezza mai surclassata, una genuina perla nel ristretto panorama della musica italiana.
In un mondo che
non ci vuole più
il mio canto libero sei tu

Salvatore Piconese
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