Ci sono molti modi per andare oltre gli errori e le illusioni della propria generazione.
Il più banale è quello di rinnegare il passato e di chiuderlo in un armadio come si fa con un vestito passato di moda. Il più sincero è quello di raccontare e di raccontarsi, senza nascondere nulla e senza rifugiarsi nell’ipocrisia. Miriam Mafai (nella foto) ha vissuto la seconda parte della sua vita, che si è conclusa ieri a Roma, scegliendo la strada più scomoda ma più autentica. Lei che aveva vissuto da testimone e protagonista la lunga stagione del Pci; lei che era stata compagna di vita di Giancarlo Pajetta e con lui aveva attraversato la storia del comunismo italiano, aveva scelto di parlare della sua vita senza reticenze.
Sarebbe meglio dire: senza reticenze, senza mezze misure consolatorie e tuttavia con tanto rimpianto. Il rimpianto per quelle speranze che non si erano realizzate, per quei sogni perduti.
In Miriam Mafai il rimpianto non è un vezzo letterario o un minimalismo sentimentale. È qualcosa che va di pari passo con la capacità di fare i conti con la realtà. Senza indulgenze e senza scorciatoie, con grande onestà intellettuale. I suoi libri (due titoli per tutti: Botteghe oscure, addio e Dimenticare Berlinguer) sono un esempio di questa volontà di non fare sconti a nessuno, ma allo stesso tempo di voler ricostruire il ruolo del Pci nella storia d’Italia con un saldo codice interpretativo. Perché solo attraverso una cruda «operazione verità» si può pensare di voltare pagina e di andare oltre. Senza tagliare le radici, senza scivolare in una prospettiva a-storica o addirittura anti-storica (il che è assurdo per chi discende dal partito che più credeva nella storia).
Nessuno come la Mafai ha saputo essere moderna senza tradire se stessa. Guardando al passato, ma senza raffigurarlo in un quadretto dalle tinte rosee. L’Italia e la sinistra politica viste da Miriam Mafai racchiudono le fatiche e le conquiste di uomini e donne che hanno speso la loro vita con sacrificio al servizio di ideali complessi. Tutto è racchiuso nel lavoro di questa eccellente giornalista animata da intensa passione civile. Una donna che nel lavoro e nella visione del mondo non fu mai neutra, questo è sicuro, né mai volle apparirlo. Ma che seppe essere anti-conformista quando non era facile esserlo e soprattutto fu uno spirito libero. In virtù di questa libertà interiore diede un contributo decisivo ai giornali ai quali collaborò, da Vie Nuove degli anni Cinquanta alla Repubblica di cui fu una delle penne più significative, dopo aver fatto parte del gruppo dei fondatori. Se la sinistra italiana riuscirà a evolvere verso un autentico riformismo, lo dovrà a voci critiche, spesso inascoltate, come quella di Miriam Mafai.
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Punto donna. Intervista a Miriam Mafai
La libertà delle donne e la loro autodeterminazione va difesa e sviluppata. E’ una questione che passa per la maggiore o minore consapevolezza della propria dignità. Le donne più colte la avranno, ma le altre? Ecco allora che il problema è ancora una volta di giustizia sociale.
Qual è stata la sua esperienza nella stagione delle grandi conquiste delle donne?
Quella che viene generalmente definita «la stagione delle grandi conquiste delle donne» conosce almeno due fasi. La prima, intitolata alla emancipazione ha preso l’avvio negli anni dell’immediato dopoguerra, ed aveva come obiettivo la conquista dei diritti di eguaglianza già sanciti dalla nostra Costituzione. Una seconda fase è quella che prende l’avvio attorno al 68, si intitola alla liberazione e chiede nuovi diritti, nella famiglia e nella società.
La prima fase è gestita dai movimenti femminili ispirati dai partiti tradizionali (l’UDI da una parte e il CIF e le donne cattoliche dall’altra) la seconda fase è invece gestita dai nuovi movimenti di liberazione delle donne. Ho partecipato in modo attivo soprattutto alla prima fase di questi movimenti, ho seguito con simpatia e interesse le battaglie ispirate dal movimento femminista.
Siamo di fronte a politiche che vorrebbero riportare le donne a fattrici o a corpi da materasso. Che ne pensa?
Tutto il male possibile, naturalmente. Ma sono anche convinta che non si riporta indietro la storia, non si cancellano le conquiste già raggiunte e che comunque spetta alle donne rifiutare i modelli umilianti (fattrici o corpi da materasso, appunto) che vengono loro proposti.
Quali misure di contrasto pensa siano possibili anche sul piano legislativo per opporsi al vento reazionario che soffia?
Non vedo la possibilità, o la opportunità di misure legislative di contrasto. Nessuno potrà impedire ad una adolescente di farsi rifare il seno, se pensa, con questo di diventare più desiderabile, o ad una cinquantenne, che allo stesso scopo, ha deciso di farsi gonfiare le labbra. La nostra Televisione, quella pubblica e, ancor più, quella commerciale, ci offrono (o, forse meglio, impongono) una immagine degradante delle donne come puro oggetto di consumo. Penso che in questo settore qualcosa potrebbe farsi anche sulla scia delle regole che, a difesa della dignità delle donne, si sono date anche altre televisioni (come ad esempio la BBC). Sarebbe questa l’occasione, o meglio la opportunità per una seria battaglia culturale.
Alle giovani donne di oggi cosa direbbe?
Quello che ho detto recentemente alle ragazze di un Liceo romano che mi aveva invitato ad una conferenza sulla condizione e le prospettive delle donne nel nostro paese. Le ho invitate a impegnarsi nello studio, nello sport, nella vita sociale, a proporsi obiettivi avanzati, a nutrire ambizioni per il proprio futuro. Quando, a loro volta, hanno preso la parola, mi sono resa conto che avevano già scelto questo impegno e sembravano decise ad andare avanti per la propria strada: né fattrici né corpi da materasso, per usare il vostro termine. Ma erano, ripeto, ragazze di un liceo romano. Mi chiedo dunque se non si stia aprendo una frattura, pericolosa, tra le ragazze che possono aspirare a un futuro di lavoro e successo, e ragazze costrette a giocarsi nella vita la carta delle propria bellezza e disponibilità.
Maria Mantello
http://www.periodicoliberopensiero.it/pdf/periodico-giugno-2010/mafai-punto-donna.pdf