MORO – Riflessioni supplementari
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MORO – Riflessioni supplementari

Solo verità di comodo e sospetti di comodo… Un articolo illuminate di Gabriele Adinolfi. Una voce sicuramente “contro”.

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A quarant’anni dalla morte di Moro abbiamo celebrazioni di prammatica con l’esposizione dei dubbi accademici.

Ci sono tanti punti oscuri, alcuni magari sono solo figli di eccitazione sensazionalistia e di pettegolezzi, forse anche di depistaggi. Essi riguardano la composizione del commando di via Fani, la dinamica stessa dell’assalto e del rapimento ma anche l’uccisione dell’ostaggio. Che tra i suoi uccisori il componente che non si riusciva mai ad identificare fosse in realtà Maccari, accusato dai suoi compagni e reo confesso quando era ormai malato di tumore terminale e non venne neppure recluso, è poco credibile.

Al netto di tutto ciò, che rischia di essere più un polverone che altro, facciamo notare che i luoghi (o il luogo) della reclusione e dell’esecuzione di Moro difficilmente collimano con quelli della verità ufficiale, che il Direttore d’orchestra che lo interrogò, benché identificato da Fasanella e Rocca, non fu mai inquisito né interrogato.

Che la centrale terroristico/spionistica Hypérion (che a differenza dalla tesi del film Piazza delle Cinque Lune non era una centrale della Nato ma un crocevia est-ovest a trazione di Paesi allora non nell’alleanza, come Francia, Israele e Germania Est) aprì una succursale a Roma subito prima il rapimento e la chiuse immediatamente dopo l’uccisione. E la sede si trovava a poche centinaia di metri da dove venne trovato, quarant’anni fa, il suo cadavere. En passant, uno dei dirigenti italiani di Hypérion era stato identificato come componente del commando di via Fani ma l’intervento dalla Francia dell’Abbé Pierre (altro personaggio emblematico) lo fece togliere dalla lista dei sospetti.
A nessuno è venuto in mente di chiedersi nulla sugli intereventi di depistaggio dai massimi livelli istituzionali su Gradoli o via Gradoli, né sull’utilizzo di veggenti. Nessuno ha provato a decodificare i messaggi che accompagnarono quei depistaggi e che pure, per chi abbia qualche nozione in materia, sono abbastanza chiari.

E ancora: si sostiene che Moro venne ucciso per far saltare il Compromesso Storico, dimenticando con straordinaria naturalezza che fu proprio il rapimento di Moro, seguito dal viaggio in Usa di Napolitano, a far entrare il Pci nella maggioranza. S’ignora quello che lo stesso Moro disse ai brigatisti rossi, ovvero che non era il Compromesso Storico ad innervosire bensì la politica sul Mediterraneo.
Oggi sentiremo le solite banalità che non porteranno a niente.

Non pare essere più necessaria, l’ambiziosa realizzazione di un’opera di ricostruzione minuziosa ed esaustiva degli scenari geopolitici della strategia della tensione in particolare quello Nord/Sud o, altrimenti, Mediterraneo/Mediorientale.

Basti solo dire che la politica del Presidente on. Aldo Moro era invisa a molti in Occidenteperché, attraverso la costruzione di rapporti politico-economici sempre più intensi e proficui con il mondo arabo, consentiva l’affrancamento dagli interessi e logiche Atlantiche e la lenta riconquista della sovranità perduta.

In particolare era inviso il riconoscimento della legittima aspettativa del Popolo Palestinese alla autodeterminazione.

Chi si è sentito minacciato da questa politica ha perseguito la difesa del suo interesse, mediante i propri apparati, contrastando duramente la politica estera, di fatto filoaraba, che fu del Presidente Aldo Moro (ma certamente anche di Mattei, Andreotti e Craxi che non a caso trovava rifugio in un Paese islamico che ospitava la sede del quartier generale dell’OLP distrutta dall’aviazione israeliana il 1° ottobre 1985).

Il contesto geopolitico Nord/Sud è dunque elemento di sicuro e maggiore condizionamento di un Paese, quale l’Italia, che a ragione si può definire “a sovranità limitata”, rispetto a quello Est/Ovest (già definito e deciso dall’ordine internazionale imposto con Yalta) ed è altrettanto certo che la strategia della tensione fu voluta e realizzata da soggetti internazionali per limitare l’azione politica ed economica italiana nell’area mediterranea/mediorientale.

Onde poter circoscrivere le responsabilità ed individuare i mandanti del caso Moro è infatti sufficiente rappresentare le seguenti oggettive quanto illuminanti circostanze perché la Verità si disveli in tutta la sua disarmante semplicità e tragicità.

I

Roma. I periti nominati dal Tribunale di Roma nel 1978 hanno accertato che sotto le suole delle scarpe e sui vestiti dell’on. Aldo Moro nonché nel baule, sui tappetini, sul pianale, addirittura sulle incrostazioni dei parafanghi e soprattutto sui pneumatici della Renault 4 ove fu ritrovato l’on. Moro, parcheggiata dalla B.R., la mattina del 9 maggio 1978, in via Caetani, erano presenti filamenti di stoffe multicolori.

Filamenti tessili che se l’autovettura avesse percorso un tratto di strada, dal luogo in cui sono stati attinti, superiore a qualche decina di metri (massimo un centinaio di metri), si sarebbero certamente volatizzati.

Pertanto l’on. Moro doveva essere stato costretto a salire sulla Renault 4 in un luogo idoneo allo stoccaggio di tessuti (negozio/magazzino tessile), dotato di un cortile interno sufficientemente appartato ove parcheggiare l’autovettura (e lì assassinarlo con l’uso di armi da fuoco), ubicato necessariamente entro un raggio massimo di 100 metri da via Caetani.

II

Roma. Nel corso del sequestro dell’On. Aldo Moro un funzionario dell’UCIGOS, Augusto Belisario, si recava in Olanda dal più famoso veggente dell’epoca, tale Gerard Croiset, che si diceva dotato di formidabili poteri extrasensoriali, e gli chiese se poteva fornire qualche indicazione utile per trovare il luogo ove l’on. Moro era sequestrato.

Croiset si concentrò ma non ottenne immediatamente alcun risultato se non dire che “non si può forzare il destino.”.

Dopo qualche tempo, però, fece sapere agli investigatori di avere avuto una percezione a proposito della prigione e fornì questo riferimento: Moro si trova in “Civitella Paganica”.

Venne così circondato e perquisito un paesino nel sud della Toscana con tale nome, e minuziosi accertamenti vennero effettuati nei palazzi di Civitella Paganica a Roma, zona nord-est Salario Nuovo, ma senza alcun risultato.

Nessuno però si è avveduto che nel linguaggio del veggente israelita la parola Civitella andava intesa come cittadella, piccola città, o altrimenti ghetto.

E guardacaso proprio nel Ghetto si trova una via denominata Paganica, lunga appena qualche decina di metri che delimita una piccola piazza denominata anch’essa Paganica.

E proprio incastonato fra via Paganica e piazza Paganica sorge un palazzo (che fronteggia quello palazzo Caetani/Antici Mattei delimitato da due vie parallele: via Caetani e via Paganica) ove al piano terra trova sede, da tempo immemore, un negozio/magazzino di tessuti (attualmente trova sede la società Longo Tessuti.) con ampie finestre dotate all’esterno di grate ed inferriate e all’interno di pesanti scuri di ferro che impediscono alla luce di entrare celando così, anche ad occhi indiscreti, quanto accade al suo interno.

Questo grande e antico magazzino tessile è altresì dotato nel retro di un passo carrabile che introduce in un ampio cortile/parcheggio e che rimane particolarmente appartato e a cui si accede da una via senza uscita.

Questo magazzino di tessuti con annesso cortile interno dista meno di cento metri da via Caetani!

III

Milano. Il 28 maggio 1980 viene assassinato all’età di 33 anni il giornalista e scrittore Walter Tobagi in un attentato compiuto dal gruppo terroristico di estrema sinistra denominato “Brigata XXVIII marzo” con al vertice Marco Barbone (che venne poi arrestato il 25.09.1980) il quale si pentirà e con le sue rivelazioni il suo gruppo verrà smantellato, non prima però di essersi accordato con il P.M. Spataro e il Gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa per la propria impunità e quella della sua compagnaa Caterina Rosenzweig (in casa sua, in via Solferino, a pochi passi dalla redazione del Corriere della Sera, si riuniva il gruppo terroristico) figlia di Gianni Rosenzweig e di Paola Sereni storica preside della Scuola Ebraica di Milano.

Da quell’accordo nascerà la legge sui pentiti di terrorismo (legge 304/82: misure a difesa dell’ordine costituzionale) estesa poi anche a quelli di mafia.

Ebbene, perché Walter Tobagi fu assassinato?

Verosimilmente perché il 20.04.1980 sul Corriere della Sera pubblicò il noto articolo dal titolo “Le Brigate Rosse non sono samurai invincibili” con il quale per la prima volta veniva affermato che dietro le B.R. si celava un supervertice politico; peraltro il giornalista di Repubblica, Guido Passalacqua, era stato “gambizzato” nello stesso periodo dal medesimo gruppo per aver scritto che “Qualcuno dall’alto, uno, due, tre persone decide le campagne di terrorismo, qualcuno che conta molto di più della direzione strategica delle BR”.

Ma non solo!

Tobagi ebbe il coraggio (lui lucido intellettuale, socialista e cattolico, dal carattere mite e dallo stile preciso ed asciutto, con avanti a sé una brillante carriera) di andare oltre aggiungendo un frase solo apparentemente enigmatica.

Una frase talmente rilevante da indurre qualche oscura ed ignota “mano” della redazione del Corriere della Sera, in occasione della commemorazione del trentennale della sua morte, a prendersi la briga di togliere proprio la frase più significativa dell’articolo che veniva riproposto monco sulla prima pagina del Corriere in questo modo: “E fra loro, solo Moretti avrebbe collegamenti con il supervertice politico.

Nessuno se ne accorse! Neppure Alessandra, la figlia di Tobagi! E nessuno si lamentò dell’oltraggio alla memoria di Tobagi e alla Verità!

Ma qual era la frase omessa?

La frase continuava oltre quel punto callidamente inserito, dopo la virgola, nel modo seguente:

E fra loro solo Moretti avrebbe collegamenti con il super vertice politico, il sinedrio occulto dei capi di tutti i capi.”.

Gli uomini più rappresentativi delle Istituzioni non potevano non sapere dove fosse tenuto prigioniero l’on. Aldo Moro, ma erano impotenti di fronte ad un potere così forte che non si preoccupava di celare la verità, ma anzi l’ostentava quale monito a tutti coloro che avessero voluto seguire l’umile e nobile cammino percorso dal Presidente Aldo Moro.

Mino Pecorelli, direttore di O.P., si chiedeva come mai il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa (accomunati anche loro da una tragica fine insieme al Colonnello Antonio Varisco) non fosse stato chiamato, subito dopo i fatti di via Fani, quando Moro, sequestrato, era ancora vivo, e concludeva così: “Hanno preferito attendere che si maturasse l’uva e si compisse il peggio”.

Pubblicato su Noreporter  

Per chi voglia approfondire:  http://gabrieleadinolfi.eu/acquista-online/44-rossi-neri-morte.html

9 Maggio 2018

Autore:

redazione


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