Attualita

MOSTRE – Al Vittorio Emanuele “Unique Series” di Antonello Arena

Dal 20 aprile al teatro Vittorio Emanuele per la sezione Arti Visive 2017/2018

Venerdì 20 aprile 2018 alle ore 18,00, nell’ambito del progetto “Opera al Centro” curato da Giuseppe La Motta, promossa dalla Sezione Arti Visive del Teatro Vittorio Emanuele, sarà inaugurata la mostra “Unique Series” dell’artista Antonello Arena.
Antonello Arena, Messina,1955, in giovanissima età frequenta la bottega d’arte della zia materna, la pittrice Maria Baronello, dove apprende l’arte del dipingere, dapprima come allievo e poi come collaboratore, realizzando stoffe dipinte, di notevole pregio, per le casate siciliane. Il sodalizio dura sino ai 19 anni, quando, dopo gli esami di maturità, apre uno studio proprio iniziando ad esplorare altre forme di espressione artistica.
Staccatosi dalla figurazione classica, espone la nuova ricerca nel 1986 in “due artisti a confronto” e subito dopo in “frammenti” con un catalogo a cura dell’amministrazione provinciale, curato da Luigi Ferlazzo Natoli. Altra tappa fondamentale della carriera artistica è il 1988, con la mostra “inchiostri su carta” a cura di Tommaso Trini, Lucio Barbera e Teresa Pugliatti. La nuova figurazione “informale” tocca diverse città italiane ed estere con esposizioni in gallerie e fiere d’arte. Dal 1990 al 1999 l’attività artistica di Arena si sviluppa in modo multiforme e multimediale, spaziando dai cortometraggi, alcuni dei quali premiati in sedi internazionali, alla progettazione di locali di tendenza; anche la pittura subisce una trasformazione, che vede l’inserimento di motivi romantici nell’informale esistente. L’informale romantico, così viene battezzato da alcuni critici, viene esposto nel 1999 a Milano e Venezia presso lo “Spazio Eleusys” con la mostra “Percorsi dell’Anima” a cura di Lucio Barbera e Martina Cavallarin. Nel 2000 viene invitato alla triennale di Milano col video “segni del tempo” e la Sony sponsorizza catalogo e mostra multimediale “segni del tempo” curata da Tiziana Ferrari, presso la Fondazione Mudima-Milano, con testi di Lucio Barbera e Martina Corgnati. Dal 2001 al 2002 collabora con la galleria “Franco Cancelliere Artecontemporanea”, molte le mostre collettive e personali di questo periodo, come “ritratti da collezione”, “la partita”, “favolosi anni ’60”. Dal 2009 collabora col giornalista e direttore di Tempo Economico, Milo Goj, dal sodalizio nascono una serie di mostre ed eventi di altissimo prestigio. MIP – Milano, Spazio via della Spiga – Milano, Scuola di Palo Alto – Milano, Le Capannelle – Roma. Dal 2012 al 2014 una nuova esperienza con le resine, sia piane che tutto tondo, sia illuminate che luminose. Nel 2015 ritorna alla pittura con la serie “Metropoli”, grandi tele (Nuovo figurativo informale) che ritraggono per lo più città americane. Gli ultimi lavori “Unique Series”, vengono esposti da Giorgio Grasso a Venezia, nelle mostre: “Charter – lo stato dell’arte ai tempi della 57° Biennale di Venezia” ai Magazzini del sale e a Palazzo Zenobio sede ufficiale del padiglione Armenia 57° Biennale di Venezia.
Ha insegnato Pittura e Decorazione nelle Accademie di Messina, Patti, Roma, Capo d’Orlando.
Il catalogo della mostra si avvale del testo critico di Gianluca Ranzi.
All’inaugurazione interverranno il Presidente del Teatro Vittorio Emanuele, Luciano Fiorino e il Sovrintendente Egidio Bernava.
La mostra sarà visibile fino a martedì 2 maggio dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle 16.30 alle 19.00, escluso il lunedì.

Antonello Arena uno e plurimo
Fiction, cinema, letteratura: perché ci piacciono tanto le storie raccontate? E perché amiamo a nostra volta raccontarle e calarci nei loro personaggi? Nelle Mille e una notte Sheherazade si sottrae all’esecuzione, alba dopo alba, raccontando al marito racconti mozzafiato, ma anche oggi non rimaniamo forse incollati davanti all’ennesimo episodio di Mad Men fino alle due di notte? Come la lingua, la religione e la musica, anche le storie esistono in ogni cultura: fanno parte di ciò che ci rende umani. Gran parte della nostra coscienza assume la forma di racconto interiore in cui tentiamo di capire noi stessi e le nostre azioni. Raccontiamo storie per dare un senso al mondo, per comunicare e influenzare gli altri.
Alcuni ricercatori hanno cercato di capire come le storie incidono su di noi e Michael Gazzaniga dell’università di Santa Barbara è stato tra i primi a mettere in evidenza il ruolo centrale della narrazione nella psicologia umana. Egli ha quindi applicato la metodologia scientifica per far luce su quanto il mito e le arti vanno spiegando già da millenni: la Bibbia e le grandi narrazioni religiose, Omero, Ovidio, Chaucer, Dante, Shakespeare, Cervantes…
Antonello Arena opera a partire da quel racconto dei racconti che è l’umanità, arrivata fino al giorno d’oggi come un concentrato di visioni e di tradizioni, di culture e di identità plurime, un crocevia dell’esistenza che solo nella pluralità, nel dialogo e nel confronto trova ragion d’essere e possibilità futura. Arena si accosta a questo maelstrom di memoria con un linguaggio che, invece di sovraccaricare confondendo, sfronda il superfluo e sottolinea l’essenziale, si esprime poeticamente stabilendo connessioni di fili rossi e sottolineando con la preziosità dell’oro una traccia nascosta e riaffiorante, un frammento della Genesi, o anche semplicemente la rifrazione della luce, la bellezza struggente di un riflesso. Sono oggetti preziosi che ammiccano alla forma del libro, ma hanno l’auraticità dell’icona e una certa brutalità industriale futurista che richiama alla mente sia il Libromacchina imbullonato di Fortunato Depero del 1927 che il Lito-latta di Tullio d’Albisola del 1932; in altre parole connettono passato e presente. Arena ha compreso che la genesi dell’umanità è fatta di macrostoria e di microstoria, e infatti questo lavoro oggi presentato in una mostra degli eventi collaterali della Biennale di Venezia, si nutre delle grandi narrazioni ma anche dell’infinita bellezza che sta nella caducità del momento, nella gioia effimera di un’emozione affiorante, nella precarietà della vita.
Per questo la sua grammatica si organizza in una sintassi libera e ariosa di segni e di tracciati, in cui la geometria regolare di quadrati, rettangoli e triangoli si apre in sezioni verso l’esterno e si sfrangia nei riflessi di luce dati dalle superfici argentee o dorate, a loro volta morsurate per ottenere sovrapposizioni a contrasto lucido-opaco: gomitoli di materia o eliche di DNA, stelle comete o stelle e strisce, l’equazione di Dirac. Secondo quest’ultima, una delle più belle e poetiche di tutta la fisica, se due sistemi interagiscono tra di loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possono più essere descritti come sistemi distinti, ma in qualche modo diventano un unico sistema, per cui quello che accade ad uno di loro continua ad influenzare l’altro, anche se distanti chilometri o anni luce.
Antonello Arena dimostra di aver compreso questo butterfly effect che solo le menti miserevoli non considerano come uno dei tratti più significativi dell’umanità e che nel XVII Secolo un ingegno poetico e visionario come John Donne aveva così espresso: “Nessun uomo è un’isola, ma tutti facciamo parte di un continente”. La tecnica a questo punto non è tecnicismo fine a se stesso, ma recupera il suo ruolo a servizio dell’uomo e dell’interagenza culturale della specie. Arena da sempre se ne serve, spesso in passato con soluzioni innovative e anticipatorie rispetto agli sviluppi attuali, senza che tale suo uso della tecnica e delle tecnologie mai diventi prevaricante rispetto all’idea della consapevolezza e della presenza umana che spira nel suo lavoro. Anzi, proprio quest’ultima serie di opere ribadisce quanto l’immaginario poetico dell’artista ruoti intorno al senso dell’uomo e del suo agire nel mondo, come un continuo viaggio di Ulisse per il Mediterraneo, con la sua tensione/tentazione a spingersi oltre le barriere del conosciuto.
Una custodia/libro di stagno attende il visitatore, che passa dal ruolo passivo di semplice spettatore, al ruolo attivo di chi deve compiere un lavoro per godere dell’arte e della sua invocazione poetica. L’opera imbullonata va infatti aperta e distesa, va messa in relazione vibrante con la luce dell’ambiente e, nei due primi esemplari prodotti, va dispiegata a soffietto per mostrare un paesaggio di pittura che altro non è che un’ipotesi di cammino nel mondo, un invito ad una nuova Odissea di scoperta, di confronto e di dialogo. L’avventura della genesi in definitiva non è data una volta per tutte ma è continua e aperta, va replicata, rinnovata e riscoperta nella microstoria di ciascuno di noi. Solo così si comprenderà quanto la nostra unicità abbia valore in quanto pluralità, unus ego et multi in me, secondo le parole di Agostino di Ippona, un altro uomo del Mediterraneo, come Antonello Arena, aperto al viaggio e al nomadismo culturale.
In definitiva quindi nell’opera di Arena l’arte, come la scienza e la tecnica, si mostra così come un’altra forma di narrazione che permette di rendere plausibile l’ipotesi della natura narrativa di tutto il pensiero, a cui l’atteggiamento dell’artista, programmaticamente nomade per le vie del mondo, garantisce ossigeno attraverso la creatività del suo spostarsi tutt’intorno, del suo selezionare i frammenti di storie passate, reinserendoli nel flusso del presente per poter di nuovo pensare ad un futuro possibile.
Ecco il vincolo strettissimo in questa serie di opere tra invenzione e ritrovamento, tra dialetto e lingua, ma del resto Galileo non ci aveva già ricordato che “per ritrovare bisogna adoperare la fantasia”?

Redazione Scomunicando.it

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