MUSEO DELLA TONNARA DI SAN GIORGIO – su “firmiamo.it”.
Cronaca Regionale

MUSEO DELLA TONNARA DI SAN GIORGIO – su “firmiamo.it”.

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Questo il testo della petizione:

LA TONNARA DI SAN GIORGIO

LA TONNARA DI SAN GIORGIO L’anno 1100, il Conte Ruggero D’Altavilla, pose la Tonnara sotto la podestà del Monastero dei Monaci Benedettini di Patti. L’Abate Ambrogio, uomo d’ingegno ed accorto politico, comunque non portò alcun sollievo ai tonnaroti che per questo dicevano di lui che aveva a vucca monna, la bocca molle, mancia a du ganasci, mangia doppio del normale e non s’affuca mai, cioè inghiottiva con facilità, sfruttando i pescatori, circuendoli con l’arte delle belle promesse senza mai condere nulla di concreto.

La tonnara di San Giorgio, nel 1375 non fu calata e barche, palischermi ed ogni altra attrezzatura, vennero messi a ricovero nei magazzini. La custodia dello specchio d’acqua nel quale calava la tonnara, fu demandata alle ancore di ghiaia e sabbia che dalla spiaggia, seguivano la rotta dei tonni, nella stagione della riproduzione.

Il Re Martino, al termine di molteplici beghe nobiliari, nel 1407, concede a Berengario Orioles, il mare nel quale la Tonnara, aveva diritto di calare. Il Re Ferdinando, nel 1503 fregia Berengario Orioles del Titolo di Barone di San Giorgio. Flavia Orioles, nel 1600, andata in sposa a Francesco Mastro Paolo, porta in dote Baronia e Tonnara. Giovanni Mastro Paolo, nel 1720 lascia in eredità al Comventi di San Francesco di Chiavari in Palermo, Fondo e Tonnara che nel 1751, cede a Cesare Mariano D’Amico. L’anno 1775, la tonnara torna a calare nell’antico sito ad Ovest della pietra Gargana. La tonnara, constava della sola camera della morte ove si compiva la mattanza ed era legata alla terra ferma, da u n masso di sabbia e ghiaia, semiaffossato nella spiaggia. La tonnara di San Giorgio, con l’inscatolamento di parte del tonno, ha caratterizzato per quasi un Millennio, il villaggio di pescatori, rendendolo uno dei siti più famosi.

La tonnara di San Giorgio, nel 1963, circa duecento anni dopo, cessa di calare ed è rimessa a dimora. Il Casato l’ha relegata dietro le immense porte di legno dei magazzini e si è spenta nel respiro lieve delle onde che da riva indietreggiano con la risacca consumando la sua storia nel mormorio gioioso dei granelli.

Il Santo Patrono, veniva portato in processione a fermare il mare in burrasca che aveva eroso la strada ed avanzato nel giardino di agrumi di Don Nunzio ed addirittura minacciato la strada ferrata, raccoglieva qualche preghiera, tante imprecazioni colorate e ritornava sull’altare a sonnecchiare rischiando perfino di bruciare al fuoco delle tante candele votive messe sotto la pancia del drago.

Il Santo guerriero, esautorato del potere e con le vestigia affumicate, addirittura rese a diceria, insomma non era più in grado di offrire alcun miracolo ai pescatori del villaggio. La generazione che avanzava, chiedeva un domani diverso, un’aspettativa di vita più consona al progresso dei tempi, dunque spinse i genitori ad armarsi del coraggio che gli era mancato in gioventù e li costrinse ad emigrare.

La tonnara a dimora nei magazzini, nel 1973, circa dieci anni dopo, ha usufruito di un finanziamento pubblico, tirata fuori e calata.

La ciurma era raffazzonata, infarcita di qualche anziano pescatore e di molti ragazzi, Pippo Accordino, Pietro Providenti fra gli altri soprannominandosi “ I Fanatici del Bastardo “, dal nome della barca sulla quale erano stati imbarcati, che assolto il servizio militare, disoccupati, aspettavano il primo treno buono per seguire la rotta dell’emigrazione. Lanaggioto, ha visto nella ripresa di questa attività, uno sfratto, il varo di un grande progretto speculativo. La guida fu affidata al Rais Rosario Canduci, profugo della Libia, coadiuvato nelle vesti di sottorais da Giovannino Salmeri detto Custuleri.

Il Rais Rosario Canduci, insomma dal ponte di comando del Palischermo San Francesco, accompagnò la tonnara alla definitiva dismissione.

I Rampolli del Casato, in breve cedettero terre e palazzi e con il Capitale raccolto, navigarono verso mari più prosperosi. La pesca tradizionale del tonno, non era più proficua, altri metodi di pesca erano entrati nel mare e le rotte spezzate. La politica, indossati i vestiti dell’impresa edile, avviò la speculazione stuprando il territorio del villaggio.

Gli immobili, caduti in mano alla Spedilitica che naturalmente, confidando nell’assenteismo degli Enti preposti alla tutela, si è disinteressata dei vincoli ai quali erano sottoposti, iniziò l’opera demolitrice, sventrandoli e saccheggiandoli.

La Spedilitica, insomma mise in scena la spoliazione della tonnara e del territorio del villaggio di San Giorgio.

Le barche, i palischermi, i galleggianti e le ancore, sparsi ai margini del prato e la spiaggia, abbandonati nell’incuria più totale, assistettero impotenti all’abbattimento dei magazzini nei quali erano ricoverati nei mesi che non stavano in acqua. I turisti ed i passanti, scorgevano i relitti coperti di sabbia e di spine, e con negli occhi la misura del degrado del villaggio, continuavano nell’indifferenza il loro viaggio.

Gli abitanti di San Giorgio votati a rinnegare la storia marinara, godevano della speculazione che gli concedeva in cambio della propria casa o del terreno, qualche appartamento arredato e fornito dei nuovi ritrovati della tecnica. Il progresso avanzava e quel che rappresentava il vecchio, la storia era un intralcio e dunque cancellato. La Spedilitica, entrata in possesso di ogni spazio, ha costruito liberamente, scavalcando le regole, demolendo la storia dei pescatori di San Giorgio. Lanaggioto, in visita al villaggio, andava a salutare le barche, i palischermi, abbandonati sul prato.

Lanaggioto, offeso mortificato, correva chiamandoli per nome e gridava, Cabanenna, Muciara, Burdunaru, Caiccu, Uzzittu, Santa Rita , San Franciscu, San Giorgio, Santa Flavia, Bastardu, Maria S.S. , incitandoli a resistere, non riuscendo a credere che una storia millenaria potesse perdersi nell’indifferenza, ed esausto, cadeva in ginocchio e rivolto alla rocca nella quale insisteva l’antica chiesa della Madonna del Tindari e sulla quale è stata costruita la cattedrale di marmo, con la voce rotta dal dolore le gridava: “ ridammi la mia infanzia. “

25 Novembre 2012

Autore:

admin


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