di Giulia Quaranta Provenzano
Oggi la nostra libera collaboratrice e critica d’arte Giulia Quaranta Provenzano ci propone una presentazione analitica del nuovo singolo intitolato
Se quello che state cercando è una garanzia di autenticità, Anto Paga è la risposta perfetta [clicca qui https://instagram.com/antopagaofficial?igshid=MzRlODBiNWFlZA==]. Classe 1995, questo giovane uomo mai si contraddice e nemmeno mai smentisce quelle che sono le sue note dominanti ma immancabilmente fa dei sentimenti profondi e della delicatezza – sia nell’affrontarli che nel manifestarli – la sua cifra stilistica, la sua firma distintiva, e ciò anche quando presenta un singolo cosiddetto “estivo” come è “Sei la fine del mondo” [clicca qui https://youtu.be/GuNnRMCiTFg].
Ebbene qual è allora più specificatamente il “nucleo caldo” di Anto Paga? In Anto Paga l’amore è l’unica religione possibile (che potremmo definire monoteista) e che sente di voler abbracciare, una religione che lo porta ad amare in modo assolutistico e totalizzante e tuttavia non senza aver prima scavato interiormente dentro sé e aver sondato ogni dubbio e incertezza che la ratio pone a quella che poi diviene una più matura coscienza (e che altro prima non era che inconscia ragione del cuore) – dando, così, luogo a una consapevolezza assai ima e coltivata.
Analizzando dunque le sopra riportate barre va notato che l’amata è il Sole per Anto Paga, stella intorno a cui lui orbita in un moto di rivoluzione che scioglie un po’ di quella sua connatura malinconia e introversione di fondo che – appunto in “Sei la fine del mondo” – termina di essere il mood egemone nel quasi ventottenne. E infatti, in tal senso, l’affermare che <<nel mio cuore nevica>> non significa che il petto di Anto Paga sia freddo ed insensibile… bensì che ora che nella vita del lombardo vi è la lei cantata è come se in essa, ossia proprio nella vita di Antonio Pagano, fosse entrata una purezza tale (purezza simboleggiata dalla neve) che permette la rinascita e la trasformazione di ciò che è sotto il candido manto del cantante – ovvero delle emozioni e dei sentimenti d’amore, i quali vengono vivificati dalla bellezza della ragazza.
Ma di quale tipo di beltà di tratta? La bellezza che coinvolge fino all’estremo Anto Paga è quella che brilla della luce della verità e, non a caso, è la verità ciò che poi per costui fa svaporare tutto il resto e dissolve ogni sua remora tant’è che, se esordisce con <<E se per te morirei, ancora non l’hai capito/ Ridammi indietro il mio cuore che, baby, me lo hai rapito/ e non mi fido (…)>>, alla fine conclude con l’ammettere e ribadire che <<(…) Tu sei la fine, tu sei la fine del mondo>> nel senso proprio che – una volta che ha percorso il suddetto viaggio, della coscienza, nei sentimenti – null’altro e null’altra che non sia colei di cui si è innamorato (e che va a costituire la totalità appunto del suo mondo) calamita più la sua attenzione e muove la sua cura.
A suggerirci e a riprova di quanto adesso spiegato ci sono i versi: “(…) Perdo la testa se ti spogli, ma ti disprezzi/ E tu nemmeno te ne accorgi da quanto splendi/ Tu sei la fine, tu sei la fine del mondo (…)”, in cui – parafrasando – il fatto che Anto Paga non canti <<se mi spogli>> ma <<se ti spogli>> indica la sua capacità di agire senza freni se spontaneamente ci si mostra a lui completamente e soprattutto per quello che davvero sì è: è, la tale, la trasparenza che lo rende pazzo d’amore… ed è un amare, quello del giovane cantante, generoso e incondizionato ossia senza alcuna riserva.
…E in una contemporaneità in cui non poche femmine espongono – volgarmente (compiaciute del voyeurismo a cui si prestano) e poco dignitosamente, sottovalutando il rispetto di sé sul piano intellettivo – il proprio corpo come se fosse carne da macello, come Giulia (prima ancora che nella veste di critica d’arte) mi sento di dichiarare apertamente che Anto Paga ha la mia più viscerale stima. Per il quasi ventottenne difatti il rapporto fisico presuppone e non può prescindere da un coinvolgimento e da un sentire emotivo che ha la sua ragione d’essere nell’apprezzamento dell’interiorità di chi ha di fronte.
Un’interiorità quella del <<Tu>> di “Sei la fine del mondo” che si connota per il desiderare anch’ella quell’assolutezza, quella totalità, quell’esclusività che – neanche a farlo apposta – è, come esposto qui sopra, propria dell’amare di Anto Paga. Orbene della protagonista della canzone, in effetti, sappiamo che <<(…) Cerchi qualcuno che ti prenda e ti porti via/ Che in fondo ama tutto il tuo disordine/ e che ti ascolta come fossi una melodia/ e che ti sciolga come il ghiaccio in Antartide (…)>> e ciò in un gioco di specchi, di riflessi e di vicendevoli rimandi tra gli attori del testo che evidenzia che tutto quello che il cantante è (ed capace di donare) e che più gli piace e che lo appaga è ciò che caratterizza la lei della quale canta e che ciò che identifica il lombardo è quello che la lei della quale viene cantato vorrebbe trovare come proprio contrappeso in qualcuno che finalmente sia in grado di amarla appieno nonostante il proprio“disordine” e anzi, invece, proprio nella sua fragilità (qualcuno capace cioè di amarla finalmente in maniera tale da lenire, colmare e riparare alla mancanza di calore affettivo che costei ha esperito sinora).
Amare chi è stato a contatto con il ghiacciato Antartide e in parte quel suo gelo (nonché mistero e pericolosità, che esercita un influsso e un eco poderoso) lo ha assorbito tuttavia è un’impresa sicuramente sfidante e impervia, non di facile riuscita, eppure una tanta meravigliosa e straordinaria “magia” soltanto un artista la può realizzare – penetrando la verità ed eternandola nell’arte, nella Musica. Tutto ciò è pertanto fattibile per un cantante qual è Anto Paga perché, nel suo avventuriero e inesausto DE-SIDERARE, oltrepassa i veli della coscienza ordinaria e degli umani limiti spazio-temporali (limiti, i tali, dettati da una fisicità finita e mortale tipica appunto dell’uomo).
De-siderare che – per voce di una laureata in Filosofia e in Metodologie Filosofiche, come sono io, spero che abbia ancora più credito – è la peculiarità (e il movente) maggiore di Anto Paga, per il quale l’amata è il motore e il soggetto calamitico del suo iter verso la trascendenza. De-siderare di cui, inoltre, è bene chiarificare e sottolineare l’etimologia ossia il significato letterale di “mancanza di stelle” (nel senso di “percepire la mancanza di stelle” e, per estensione, intesa come sentimento di ricerca appassionata) cosicché si riesca a comprendere che quando il quasi ventottenne canta <<(…) E tu come nessuna, vorrei darti la Luna ma iniziamo dal vino/ Che sennò poi non ti parlo e sento sempre più caldo quando mi stai vicino, mi togli il respiro (…)>> è in quanto senza l’amare egli si sentirebbe ghiacciato, finirebbe assiderato.
Sintetizzando, la pienezza di senso e il senso del vivere in Anto Paga sono direzionati dall’amore (è l’amare che muove significativamente verso l’alto, inteso come massimo bene, Antonio Pagano), mentre il cessare di contemplare il cielo e il non anelare a innalzarsi al cielo (e, di conseguenza, il non raggiungere la propria di stella) equivarrebbe per lui non al giungere a essere felice ma all’opposto – e, in tale ottica, ecco che il desiderio va coltivato e nutrito e non piuttosto annullato – all’infelicità più profonda.
Con-siderare dunque quale chiave proprio della felicità, felicità che è possibile se si è assieme all’amata… amata quale stella, stella che è metafora di tutto quello che sia il proprio inconscio che la propria coscienza contiene, ricerca e con cui de-sidera conciliarsi.
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