L’articolo.
Oggi, 38esimo anniversario dell’assassinio di Nazzareno “Nanni” De Angelis, non è la stessa ricorrenza degli altri anni.
E non solo perché il suo nome, quest’anno, è ricorso più volte nelle udienze per la Strage di Bologna, nel corso del processo a carico di Gilberto Cavallini; ma anche perché, proprio in questi giorni, nelle sale cinematografiche “spopola” un film – quello su Stefano Cucchi – che riporta l’attenzione sugli eccessi, a volte criminali, dell’agire della Polizia.
Eccessi che, tra le fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, registrarono alcuni degli episodi più efferati proprio nell’azione di contrasto dell’eversione nera, a cui, com’è noto, si associò incredibilmente una manovra repressiva dell’intera comunità giovanile di destra, anche quella distinta, quando non addirittura distante dalle perverse logiche del terrorismo.
Qualcuno, sotto questo aspetto, potrebbe trovare curioso che, proprio a Bologna, dove, su impulso delle parti civili, si tenta di “rileggere” tutta la storia dei Nar e di Terza posizione come una trama di asservimento di un vasto gruppo di ragazzi alle deviazioni dei Servizi segreti, della P2 e niente meno che della Mafia, ai magistrati non venga in mente di approfondire questo che si potrebbe definire “profilo psicologico” dell’azione poliziesca di quegli anni verso il “neofascismo”: azione che costrinse tanti militanti – e tra questi Nanni De Angelis – a forzate latitanze, alla frequentazione di ambienti pericolosi, a epiloghi spesso drammatici e non casuali.
Ora, tornando e chiudendo il parallelo con Cucchi, è singolare che l’impazzimento senza senso di qualche carabiniere meriti un film; mentre nessuno si è mai peritato di descrivere compiutamente il processo attraverso il quale sembra che – ed è un sembra ben ancorato a dati di fatto – le centrali di sicurezza dell’epoca abbiano tentato di “inverare” le ipotesi accusatorie sulla strage di Bologna con una serie di omicidi, poi mascherati da suicidi o da “inevitabili” scontri a fuoco.
Nanni fu il primo e – va ricordato – fu arrestato e picchiato a morte per due motivi: perché accusato di aver preso parte alla Strage di Bologna e perché scambiato con Luigi Ciavardini, arrestato insieme a lui, responsabile dell’omicidio del poliziotto Francesco Evangelista.
Due anni dopo, toccherà a un altro esponente di Terza posizione, affiliatosi ai Nar, Giorgio Vale, di cadere vittima di un’operazione di Polizia inquietante, nel corso della quale furono sparati dentro un appartamento decine, se non centinaia di colpi, per uccidere con un unico colpo alla tempia un ragazzo sdraiato a letto e che non tentò affatto di resistere all’arresto.
Anche Vale era al centro delle ipotesi accusatorie su Bologna e altri fatti eversivi su cui bisognava fare luce. L’anno precedente, nel 1981, stessa sorte stava per capitare a Massimo Carminati, ferito nel corso di una vera e propria esecuzione organizzata a un valico di frontiera con la Svizzera. Esecuzione che avrebbe dovuto veder cadere sotto i colpi della Polizia Francesca Mambro e proprio l’attuale imputato, Gilberto Cavallini, che si pensava fossero su quell’auto, la notte del 20 aprile.
Il 5 novembre 1982, fu la volta di Pierluigi Pagliai, in SudAmerica, colpito con un colpo alla nuca in un fantomatico tentativo di arresto che, al contrario, fu svolto con le modalità dell’agguato. Certo, storie diverse, in particolare quella di Nanni dalle altre, ma accomunate dal coinvolgimento a vario titolo nella Strage di Bologna e dalla cieca volontà di toglierli di mezzo prima che finissero sul banco degli imputati e potessero difendersi dalle accuse o smontassero – con le loro testimonianze – i teoremi che si andavano rafforzando contro i loro veri o presunti sodali.
Una cieca volontà di mimetizzare anche col rosso sangue quella “pista nera” per la Strage di Bologna che potrebbe far baluginare ai giudici – ora che un ennesimo processo si celebra per quel tragico episodio – l’idea che, forse, i colpevoli andrebbero cercati altrove.
Quel che è certo, è che quello di Nanni fu un omicidio di Stato, come lo furono quelli di Vale e Pagliai, e che non sarebbero stati commessi, se non ci fosse stata di mezzo l’inchiesta per la bomba alla stazione.
Bisogna dirlo apertamente, oggi.