Dieci anni, scuro di carnagione, sorriso solare, gioca a calcio, con buoni risultati come quelli che consegue a scuola, una famiglia perfettamente inserita… ma non basta per essere tacciato dell’essere diverso.
Tacciato di essere un intruso a scuola, tra i suoi amici, umiliato, deriso, offeso.
A difenderlo dopo l’aggressione sono stati, subito gli stessi compagni di classe, hanno fatto scudo, poi gli insegnanti … mentre l’altro gli urlava – con spocchioseria – che non c’era posto per lui neanche sullo scuolabus.
Piero, ovviamente nome di convenzione, piange, non capisce. Non comprende il perchè di quello schiaffo ricevuto.
Piange anche la madre, da dieci anni e più residente nel paese dove sorge la scuola. Lei lavora, va al mercato, intesse relazioni sociali, come suo marito. Dicono di loro “un tranquillo nucleo familiare” perfettamente inserito nel contesto sociale.
“Lui è nato qui, dice la signora che proviene dal Marocco, parlando del figlio – E’ nato a Sant’Agata Militello, è italiano e ora non vuol andar più a scuola.. ha paura!”
Brutta storia.
Bulli in erba, ma non per questo meno pericolosi degli adulti per la costruzione del pensiero razzista.
E’ il primo caso. Con l’aria che tira potrebbe non esser un episodio isolato.
Massima attenzione. Sono già stati allertate le assistenti sociali del luogo. Non bisogna sottovalutare nulla.
E se da un lato, vista l’età dei protagonisti bisogna lavorare molto sulla famiglia e l’ambiente dove vive, quel giovane che insulta violentemente il compagno, dall’altro diventa principale il ruolo dell’agenzia educativa che li accoglie.
La scuola, prima agenzia, che deve agire per arginare questi germogli di intolleranza, diventando la prima muraglia che possiamo erigere: quella che si edifica con la cultura e con la conoscenza.
La risposta, non unica ma certamente prioritaria, sta in una Scuola più efficace, al fine di tessere una trama di tolleranza, di comprensione reciproca e di integrazione. Una scuola delle buone pratiche didattiche, in cui l’insegnante torni a spendersi anima e corpo per diffondere conoscenza e valori, più che per compilare progetti “di immagine”, per quanto popolari essi siano tra gli “utenti”. Attraverso le buone pratiche didattiche quotidiane, attraverso lo studio disinteressato, attraverso la passione del docente per quello che insegna, può costruirsi l’integrazione degli alunni (ancorché di origini diverse) nel gruppo classe.
Quell’integrazione che non nasce dall’estemporaneità di un progetto; perché quest’ultimo, benché interessante, non può sostituire la quotidianità del vissuto, né l’omogeneità di un percorso culturale coerente ed unitario.
Solo la cultura può salvarci dal razzismo, allo stesso modo in cui può risvegliarci da qualsiasi sonno della ragione prolifico di mostri.
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