Ritorna in libreria un libro inchiesta sul brigante Musolino pubblicato per la prima volta nel 1901. Rubbettino ristamp, infatti, “Nel regno di Musolino” del giornalista Adolfo Rossi a cura di John Dickie e Fabio Truzzolillo. Chi era davvero Giuseppe Musolino? Un giustiziere dalla parte dei poveri come leggenda vuole, o un bandito senza scrupoli, antesignano degli attuali boss di ‘ndrangheta? Una prima risposta provo’ a darla nel 1901 il giornalista veneto Adolfo Rossi in un libro inchiesta intitolato: “Nel regno di Musolino” che oggi torna in libreria per Rubbettino, curato da John Dickie, autore del celebre volume “Cosa nostra” e Fabio Truzzolillo, anch’egli esperto studioso di mafia. Giovanissimo, non ancora, pare, venticinquenne, in poco piu’ di tre anni Musolino ha avuto il processo (1898) che per accusa di omicidio lo condannava a ventun anni di galera, riuscito a evadere (gennaio 1899) dal carcere, sfuggendo a tutte le ricerche, in pochi mesi ha ucciso una quindicina di persone fra suoi nemici personali, spie e un carabiniere. Inizia cosi’ il viaggio che il giornalista Rossi compie all’interno di una Calabria misteriosa e contorta, in cui leggenda e realta’ s’intersecano fino a rendere arduo indicare con precisione dove termina una e comincia l’altra. Lo sguardo distaccato di un “forestiero” in terra calabra, come fu quello di Adolfo Rossi, offre al lettore un’immersione spazio temporale a tutto tondo in quella societa’ arcaica che vedeva germogliare i primi semi oscuri della ‘ndrangheta, 50 anni prima che il termine diventasse, nel mondo, il simbolo della Calabria malata. Il libro-inchiesta offre uno spaccato delle condizioni sociali dell’epoca senza essere didascalico, lasciando a fatti comprovati il compito di spiegare la realta’; cosi’ le amanti di Musolino si rivelano affiliate della mala e spesso crudeli al pari degli uomini, perdendo l’allure romantica; le autorita’, schierandosi pro o contro il bandito, manifestano la loro corruzione; la miseria delle carceri rende palese come la diffusione della cultura mafiosa sia potuta avvenire tanto rapidamente e senza intralci; la disorganizzazione delle forze dell’ordine conferma l’assenza dello Stato, quando non insinua il dubbio (legittimo) di sabotaggio nella cattura del latitante. Le numerose lettere che Rossi spedisce dalla Calabria, pubblicate all’epoca sull’ “Adriatico”, sul “Giornale di Sicilia” e su “Il Piccolo” di Trieste, costituiscono un documento essenziale nello studio della ‘ndrangheta perche’, analizzandola ai suoi albori, consente di comprenderne in maniera semplificata i meccanismi.
Si ritrovano, ridotti all’essenziale quei modelli di comportamento e di pensiero ancora oggi presenti nei clan, cosi’ come si puo’ osservare l’origine di quell’effetto domino che e’ andato espandendosi a livello mondiale replicando e diffondendo i medesimi dogmi. Una piccola storia di cento anni fa che diventa necessaria per capire un sistema mondiale e contemporaneo.
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