Presso la Mondadori di Palermo, venerdì 23 marzo, alle ore 18.00. Scopriamo il libro che parla di CasaPound
Il simbolo di CasaPound è la tartaruga (ma è interessante leggere in fondo all’articolo la serie di simboli e riferimenti che convivono nel tratto grafico del logo): un animale che ha la fortuna di portare sempre con sé la propria casa. Perché chiunque dovrebbe averne una.
Il Libro:
Flavio, diciotto anni, è uno dei tanti figli belli e infelici di Roma Nord, quella dei quartieri bene e del
posto fisso nell’azienda di papà.
Un giorno, mentre cerca di entrare senza biglietto allo stadio, viene notato dalla sicurezza e inseguito tra la folla. Flavio si salva grazie all’aiuto di uno strano gruppo di ultras con le magliette degli Zetazeroalfa, che gli fa da scudo come fosse una grande tartaruga.
In mezzo a loro un volto conosciuto: l’ha già visto davanti a scuola, ma quella volta c’era quasi scappata la rissa.
Adesso invece Giorgio, bruno e massiccio, figlio della Roma popolare, lo accoglie nel suo mondo, quello di una comunità che vive in un palazzo occupato all’Esquilino.
“CasaPound” c’è scritto sulla facciata: è il cuore nero della capitale.
Ecco la casa che Flavio cercava, ecco gli amici da sempre desiderati, e la felicità.
Nei mesi successivi lui e Giorgio diventeranno carismatici militanti del Blocco Studentesco, l’organizzazione studentesca di CasaPound, e scopriranno la gioia di sentirsi fratelli, uniti nel medesimo destino, nelle lotte politiche e di strada. Fino alla notte in cui Giorgio viene arrestato: ha dato una coltellata a un pusher, dicono.
Ma il suo avvocato difensore, conoscendo bene la realtà di Casa-Pound, sa che la verità è un’altra.
Nessun dolore è una grande storia d’amicizia, è il ritratto di una città a più facce, ma soprattutto è il primo romanzo a raccontare l’epica quotidiana di quelli che si definiscono i “fascisti del Terzo Millennio”, un’officina sociale che ha radici in tutta Italia e mette in dubbio molte delle nostre certezze.
Intervengono alla presentazione libraria:
DOMENICO DI TULLIO, autore del libro
GIANLUCA IANNONE, presidente di CasaPound Italia
PIETRANGELO BUTTAFUOCO, Scrittore ed editorialista di Panorama
FILIPPO CANGEMI, Segretario La Destra Palermo
FERNANDO M. ADONIA, Giornalista
MAURO LA MANTIA, Dirigente di Giovane Italia
ed anche
FRANCESCO VOZZA, CasaPound Italia Palermo
Due righe sull’autore:
Domenico Di Tullio, nato a Roma nel 1969, è avvocato penalista. Nel 2006 ha pubblicato Centri sociali di destra. Occupazioni e culture non conformi (Castelvecchi).
Per info: 3396333601 – casapoundpalermo@libero.it
“Nessun dolore. Il romanzo di CasaPound” ha suscitato polemiche ed è stato contestato al momento della sua presentazione in alcune librerie di Padova, suscitato un dibattitto aperto anche su facebook… eccone alcuni stralci, ripresi dal sito “historicamente”.
Francesco Vozza scrive:
NON APRITE QUEL LIBRO… “,
ECCO PERCHE’ IL ROMANZO NESSUN DOLORE VA DIFESO (E LETTO!)
Cari cittadini Palermitani,
il 23 marzo si svolgerà nella nostra città la presentazione del libro “Nessun Dolore, Una storia di Casapound” all’interno della sala conferenze del multicenter Mondadori di via Ruggero Settimo.
Ancora una volta ci vediamo costretti, come già successo lo scorso 11 Febbraio, a fare appello a tutti coloro i quali hanno a cuore la libertà di espressione, pensiero e azione di questa città affinchè ci accompagnino nell’estrema difesa di un diritto, quello del confronto e della conoscenza, purtroppo continuamente minacciato dalla violenza ideologica totalitaria di poche decine di facinorosi dei centri sociali palermitani (Laboratorio Zeta, Anomalia, Ask191); questi ultimi infatti si sono messi in testa di negare ad ogni costo, anche con l’utilizzo della forza, il diritto a leggere un romanzo.
Ecco, parliamo proprio di un romanzo, quello di “nessun dolore” una storia di amicizia e di militanza politica di un gruppo di ragazzi degli anni 2000, con le loro paure ed il loro coraggio nell’affrontarle e vincerle, dei giovani che scelgono di dare un senso alla loro vita, battendosi per un ideale.
Dunque che motivo si dovrebbe mai addurre per censurare un libro? Quale giustificazione potrebbe mai avallare un divieto all’apprendimento, che sta alla base di ogni buona lettura?
Impedire la presentazione di un libro è prima di tutto un’atto liberticida, è il prologo di una vera e propria dittatura ideologica che non accetta nè opposizioni nè semplici critiche, una dittatura che ci riporta con la memoria allo sterminio dei kulak, ai gulag di Stalin, ai campi di rieducazione di Mao tse-tung, al massacro di stato messo in atto contro gli inermi studenti di piazza tien an men.
Mettere al bando il confronto permettendo quindi l’accettazione di un postulato politico che identifica delle idee giuste e legittime contrapposte a delle idee sbagliate ed escluse da ogni dove, significa spianare la strada al più becero totalitarismo culturale figlio diretto della peggiore e più tenebrosa prassi politica appartenente in toto all’ormai defunto secolo novecentesco.
Ad ispirare i violenti dei centri sociali sembrano essere quegli stessi principi che negli anni settanta facevano trionfare la logica degli opposti estremismi, condannando intere generazioni a farsi la guerra per le strade; quella storia ci insegna che troppo sangue venne versato senza alcun sensato motivo, se non quello di un antico odio cieco, ed è per questo che non abbiamo nessuna intenzione di scatenare un conflitto, ma al tempo stesso non possiamo neppure permettere di far vincere i nemici della libertà, intesa come confronto, civiltà e pensiero.
Pertanto chiediamo a tutti nostri concittadini, studenti, lavoratori, autorità e istituzioni di rispondere a questo appello pubblicizzando questa lettera aperta e, se è possibile, partecipando alla presentazione del nostro libro; non importa se alla fine qualcuno non condividerà la storia che quel romanzo racconta, perchè in definitiva conterà soltanto l’aver salvato il diritto al confronto e alla conoscenza.
Confidiamo in voi.
Francesco Vozza
L’ESTREMOCENTROALTO
Il manifesto di CasaPound
L’ottocento è morto. Il novecento è morto. Noi invece ci sentiamo benissimo.
Duemilaenove: della destra e della sinistra non si hanno più notizie precise, e quello che sappiamo non ci piace.
Nessuno dei problemi fondamentali dell’epoca presente è “di destra” o “di sinistra”.
E nessuna delle soluzioni possibili lo è. E’ un nodo di Gordio inestricabile e chi tira le funi da una parte o dall’altra non fa che aumentare l’ingarbugliamento. Vince il parlarsi addosso, si diventa incapaci di produrre senso tramite il linguaggio. Occorre allora l’emergere di una prospettiva nuova, di una rottura epistemologica, di un cambio di paradigma; cortocircuitare il linguaggio dominante in un caos fecondo dal quale sorga qualcosa di mai visto e mai sentito. Quelli che tirano a destra e quelli che tirano a sinistra non scioglieranno mai il nodo ma si daranno anzi man forte per stringerlo ancor più.
Occorre un gesto estremo che spezzi la corda. Al centro. Dall’alto.
Occorre essere spada.
Oggi, le menti, i cuori, i corpi di chi vuole aggredire la modernità e vivere il presente da protagonista ripudiano, disprezzano e deridono i gusci vuoti della politica politicata.
Non è una trovata buffonesca, una fisima intellettualoide, un provocazione virtuale.
E’ un percorso vissuto, è un’esigenza della carne.
E’ un vitale bisogno di aria.
Più accettiamo le definizione imposte da altri, meno percepiamo la sensazione di essere realmente politica.
Alla destra non perdoniamo di aver parlato d’ordine e di averlo confuso con compiti da nettezza urbana e bassa sbirraglia.
Alla sinistra non perdoniamo di aver sollevato le masse contro il potere solo per meglio insediarsi in quest’ultimo.
Al centro non perdoniamo niente, e basta.
Ciò che un tempo era semiparalisi mentale, oggi è coma profondo.
Sia allora spietata la nostra compassione.
Basta con destra e sinistra, sorga l’Estremocentroalto.
Estremo
Ciò che è radicale, ciò che va alla radice ed è a sua volta radicato.
Una visione della vita senza attenuazioni, senza finzioni, senza alibi.
L’azione come fonte del sublime, il grido a piena voce come modalità d’espressione prediletta.
Distendere i concetti fino allo spasimo per evitare che si attorciglino su se stessi.
L’esatto opposto dell’estremismo, fossilizzazione puramente verbale di un ribellismo adolescenziale tanto chiassoso quanto sterile.
Si è estremi nel senso qui indicato quando si sanno far convivere la grandiosità dei fini, la risolutezza nei mezzi, lo stile delle espressioni e la forza tranquilla come tenuta etica generale.
Centro
L’attestarsi su di una posizione regale e sovrana al di là degli opposti sbandamenti, l’importanza di una centralità politica, sociale, culturale, esistenziale.
Un centro che non è palude; il segmento politico degli opportunisti, degli ignavi, dei vili, degli indecisi, il luogo dove si affonda, dove non ci può essere fondazione, habitat naturale per il cosiddetto “centrismo” politico.
Essere al centro significa essere lì dove realmente accadono le cose, là dove passa lo spirito del mondo a cavallo, lontano dalle periferie e dai ghetti.
Chi non ha autocentratura cerca rifugio nel decentramento rispetto alla società per paura di “contaminazioni” con l’altro da sé. Si mette in un angolo e recita la propria perdente apologia, rassicurato della sua purezza.
Chi invece è centrato in se stesso può rivendicare una centralità nel mondo e nella contemporaneità, parlando con tutti e parlando di tutto, sperimentando ogni linguaggio e mantenendo fermo il cardine anche se la porta sbatte.
Alto
Il senso della verticalità, di un approccio al mondo che passa per la politica delle tre “e”: etica, epica, estetica.
Al trionfo della chiacchiera, della curiosità, e dell’equivoco, bisogna contrapporre con l’esempio l’abitudine del coraggio, la bellezza della schiena diritta, l’esistenza come ascesa.
Riscoprire un senso della nobiltà e della dignità in ogni aspetto del quotidiano, disprezzare il “così fan tutti”, ritrovare una dimensione alta della politica.
Dall’alto, si osserva il basso mantenendo la distanza e vedendo le cose in prospettiva, studiando il terreno per l’attacco.
L’Estremocentroalto non si sente figlio o orfano di qualcuno.
Non apriamo corsie preferenziali per chicchessia e non vogliamo consumare alcuna vendetta.
Non viviamo di luce riflessa.
La saldezza in noi stessi ci permette di rapportarci senza pregiudizio all’altro – qualunque altro.
E, soprattutto, vogliamo con forza l’unità dell’unica area che conta: il popolo italiano.
L’Estremocentroalto fugge le autorassicurazioni identitarie, equivalente politico della triviale esibizione di virilità tipica degli eunuchi.
La nostra identità politica è sparata in avanti come un proiettile.
L’Estremocentroalto ha molti nemici con un solo nome: Reazione.
La Reazione è una dimensione dello spirito che ha una sua genealogia interiore.
I meccanismi interni che determinano i comportamenti votati all’utilità e all’autoconservazione sono reattivi.
Quelli votati alla conquista sono invece attivi.
Attivo: affermare se stessi con innocenza, al di là del bene e del male.
Reattivo: non riuscire ad agire con innocenza, sperimentare il macigno della colpevolezza che blocca la libertà d’azione.
Re-azione è l’eco dell’azione che torna costantemente indietro, è il rancore che, non trovando una valvola di sfogo, si sedimenta, fermenta e crea infezione. E’ il sentimento che non riesce a dispiegarsi e diventa ri-sentimento.
La Reazione è gelosia invidiosa.
L’Estremocentroalto è amore disperato.
In definitiva: combattere senza compassione alcuna il clericalismo, il moralismo, il passatismo, l’avarizia, la viltà, l’egoismo, le piagnucolerie, i complessi, le paranoie, i settarismi, gli “appelli alla vigilanza”, lo scandalismo a buon mercato, la nostalgia del bel tempo antico, gli interessi di parte che prevalgono sul tutto, i cattivi maestri e i discepoli sguaiati.
L’Estremocentroalto non ha una “ideologia”.
Chi si avventura in una foresta sconosciuta aprendo un varco tra la fitta vegetazione e tracciando una via non ha alcuna mappa con sé. Ha solo una bussola con dei punti cardinali, il resto è tutto da costruire.
I nostri punti cardinali, le nostre uniche certezze:: l’esuberanza è la suprema delle virtù la banalità è il peggiore dei crimini tutto sempre deve essere perdonato ai giovani donare è sempre conquistare chi dice “ieri” e “anti” ha sempre torto
Il resto è conseguenza.
L’Estremocentroalto schifa le ideologie e non possiede la verità.
E’ però portatore di uno stile. Lo stile è superiore alla verità, poiché reca in sé la prova dell’esistenza.
Nella contrapposizione fra “estetizzazione della politica” e “politicizzazione dell’arte”, noi ci schieriamo per l’Artecrazia, risposta sovversiva e creatrice, vitalista e vivace al dominio dell’inaudita bruttezza.
I tradizionali mezzi e linguaggi della politica vanno sovvertiti, rovesciati.
Serve un nuova politica a colpi di colore.
Artecrazia, non significa voler portare la politica nell’arte.
Significa fondere le due cose; concepire la politica sub specie artis.
Significa fare della propria comunità di riferimento un’opera d’arte da costruire.
Fondare città, avere un’idea estetica del proprio futuro e del proprio popolo.
Significa ancora, essere capaci di parlare un linguaggio che sia di per sé mobilitante, che scuota le coscienze e gli animi, che porti al risveglio di energie ancestrali.
Si coltivino simboli, si ragioni da artista.
Ci si rapporti al mondo sempre in una chiave figurativa, si tocchino le corde dell’“immaginale”, dimensione naturalmente orgiastica, addensatrice d’anime.
La rivoluzione si fa con le rose rosse.
Si fa con il marmo bianco.
L’Estremocentroalto auspica un modello di stato basato sull’idea politica, la nostra idea politica, che prevede un massimo di libertà unita ad un massimo di responsabilità.
Un’idea ed una comunità sempre in bilico tra imperium e anarchia, un sentimento del mondo che non concepisce alcun ordine sociale al di fuori di un ordine lirico.
Una visione che rifiuta il grigiore burocratico della città-caserma tanto quanto l’attrazione morbosa per l’informe, per il deforme, per i maleducati dello spirito.
Un’idea politica che disprezza le cosche, le oligarchie, le caste, le sette e le lobby e che immagina, per ogni stato degno di questo nome, la partecipazione per base, la decisione per altezza e la selezione per profondità.
Sogniamo una massa ridivenuta popolo, una comunità autocosciente che partecipa consapevolmente al proprio destino.
Non è un programma. E’ una promessa.