Finito di stampare qualche settimana fa esce in questi giorni “Venti di Gioventù” scritto da Nino Letizia, il volume ha come sottotitolo “Zanzarino e altre storie” e in una decina di capitoli, spaziando dall’inizio degli anni quaranta, sul filo dei ricordi che uniscono San Placido Calonerò, Brolo e Santa Carrà, narra di storie e fatti vissuti in prima persona dall’autore, Nino Letizia, ci parla della sua famiglia, di amici e conoscenti. Uno spaccato di quotidianità, di Valori, di Persone, che disegnano un’epoca, un’epopea, un territorio.
La Prefazione del volume.
“Se fossimo più umani ameremmo una cosa soprattutto: la memoria, le memorie nostre e delle nostre civiltà”, scrive Herman Melville, autore del romanzo Moby Dick, uno dei capolavori della letteratura americana (1851).
Ma perché si racconta?
Perché si abbia un racconto da… raccontare è necessario avere al proprio arco quell’unica domanda?: «Avete visto la Balena Bianca?». L’imponente e impressionante Achab, con una gamba mancante, ha il vero obiettivo di dare la caccia a Moby Dick, il vecchio, enorme capodoglio dalla pelle chiazzata che lo ha reso storpio staccandogli la gamba durante il suo ultimo viaggio a caccia di balene. Achab racconta spinto dall’odio e dalla vendetta.
Eugenio Montale – al contrario – volle approfondire la propria filosofia di vita, “per dire tutto” alla propria moglie defunta, Drusilla Tanzi, amorevolmente soprannominata “Mosca”. E così Montale racconta come dono all’amata moglie.
“Allieta il cuore capire quanto questo sentimento è semplice da provare e da rivelare”, sembra voler dire Nino Letizia col suo raccontare “giunto alla soglia dei settantotto anni, sollecitato dalle pressanti richieste di Maria mia…”. Nino Letizia dunque racconta per amore. Amore verso la vita e verso le persone che rappresentano il tessuto connettivo dei suoi sentimenti. Osserva il suo tempo interiore, ed è molto delicato ed efficace al contempo, il percorrere a ritroso nella mai sopita memoria, il viaggiare in quei ricordi che lo animano dello stesso entusiasmo di allora. Se è vero che non si smette di giocare perché si è vecchi, come diceva Bernard Shaw, ma si è vecchi quando si smette di giocare, ecco spiegato perché Nino Letizia ci appare ed è sempre giovane, quel giovane che parla, e rivive, con una memoria ferrea e senza cedimenti, ogni istante di vita vissuto, le giocose avventure, in una coralità sociale fatta di contatti, di momenti condivisi e amati dalle persone a lui vicine e affini. Così ogni cosa trasluce di vivida essenza, nella sua integrale freschezza.
La sua Maria, musa ispiratrice, strategica scaturigine, colei che lo induce a valutare seriamente l’idea di scrivere un po’ della sua vita: “… e mi piace l’idea di farlo perché quando occasionalmente mi capita di parlare di un fatto, di un avvenimento in compagnia di altri, noto, nella espressione dei miei figli prima e dei miei nipoti poi, tanto interesse ed incredulità per i fatti narrati, come fossero favole, avvenimenti che per la loro natura sembrerebbero accadimenti impossibili”.
L’amore raccontato (o che fa raccontare) ha avuto momenti felici nei più grandi capolavori letterari; fiumi di inchiostro sono stati versati per scrivere racconti e parole indimenticabili: “tutto l’universo obbedisce all’amore”, direbbe Franco Battiato.
Ed è proprio vero poi che le avventure accadono a chi le sa raccontare…
Noi, al Sud, chiamiamo “cunti” i racconti, i riti serali di un tempo attorno al fuoco acceso d’inverno, o nell’aia, all’aperto, nelle afose sere d’estate. I nonni fanno ancora oggi i… nonni, che con i loro racconti non più (forse) tramandati attraverso l’oralità, raccontano e accendono, in chi ascolta, emozioni e fantasie. “La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla” (Gabriel Garcìa Màrquez). Beni immateriali come la memoria per stare ancora assieme, nell’era del virtuale; stringersi attorno a quel calore che l’uomo più del camino è in grado di sprigionare. In Sicilia si dice che “Non cunta ‘u cuntu comu si cunta, cunta cu è chi ‘u cunta”.
Nino Letizia fornisce una modalità per attraversare la vita, con stupore, curiosità, gaiezza, amore filiale, ma anche con astuzia, presenza di spirito, intuizione, creatività e tempestività: “… strappai di mano al mio amico Antonio Torre la chitarra che si era portato dietro e nonostante la sua normale ritrosia, con decisione e tempestività staccai la prima corda e assieme a Totò Fenga ne fissammo un capo al sistema di tiraggio dei due carburatori bi-corpo e l’altro ad una parte fissa affinché l’adeguata trazione consentisse al motore di girare…”. Come nel film di Mario Monicelli “Amici miei”, Rambaldo Melandri (G. Moschin) sintetizza: “Il Genio è fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità di esecuzione”.
Il racconto accomuna tutti, piccoli e grandi, in ogni latitudine; si racconta sempre, a partire da quella che è stata la nostra giornata, riportando cosa ci è successo o qualcosa che si è visto o ascoltato. Raccontare storie non è solo questione di parole. L’esperienza del racconto inizia da bambini, quando si entra in relazione con i tanti mondi della fantasia e dell’immaginazione, con il nostro immaginario attraverso le atmosfere e le vicende delle storie che raccontano. “Il mito, la fiaba, la favola, il racconto, espressioni fantastiche della sfera irrazionale dell’uomo, affondano le loro radici nei bisogni e negli interessi dell’umanità”, afferma Italo Calvino, lo scrittore partigiano, uno dei narratori italiani più importanti del Novecento. Storie popolari e intime. Lo scrittore Nicolò Ammaniti sostiene che Oltreoceano il racconto (la letteratura breve) è considerato la forma narrativa perfetta; in Italia, a parte rare eccezioni costituite da Pirandello, Buzzati e Verga, ha ingiustamente avuto un ruolo un po’ secondario rispetto al romanzo. Ad eccezione di Calvino, Cassola, Tabucchi, Svevo e molti altri importanti autori italiani che si sono distinti anche grazie alla scrittura di racconti brevi, non si rileva una grande diffusione di questa forma letteraria. La lettura dei racconti sembra essere riservata all’enclave dei lettori accaniti che ovviamente hanno letto “I quarantanove racconti” di Ernest Hemingway, conoscono John Cheever, Raymond Carver, James Joyce, Alice Munro − premio Nobel per la letteratura nel 2013 − la quale ha scritto un solo romanzo e numerosissimi racconti.
Per quanto mi riguarda, ritengo che il racconto breve, il racconto lungo siano strumenti narrativi di pari dignità letteraria rispetto al romanzo. Ci sono storie che, se narrate con un racconto, ci diranno qualcosa di diverso che se invece venissero raccontate attraverso la struttura complessa del romanzo. Sono convinta che il racconto seduce l’anima portandola verso un climax psicologico pulsante. Ogni lettore avrà fatto esperienza − leggendo i racconti di Ulisse, di questo viaggio che simbolicamente è il viaggio attraverso la sofferenza, gli inganni, le illusioni e le speranze della vita − di dissoluzione, di fluidificazione dei grumi della vicenda finemente umana. Quanti di noi non vi hanno trovato risposte, rimedi, antidoti allo smarrimento esistenziale?…
Gillo Dorfles, docente di Estetica, critico d’arte e pittore − una delle personalità più colte e sofisticate del Novecento − racconta come “negli ultimi tempi, discutendo con giovani studenti universitari”, si sia sentito dire: «Lei per noi è un mito!». Un’affermazione che dovrebbe riempire di orgoglio e perfino insuperbire, ma non per Dorfles: “Perché ha l’effetto di farci sentire dei sopravvissuti, appartenenti al passato”. Più che gli eventi e accadimenti del passato, per Dorfles sono “transeunti ed effimeri molti eventi e accadimenti (inconsistenti) dei nostri giorni. Tanto più svaniscono nel nulla ribellioni, guerre, credenze, scoperte, tanto più si rivelano precari ed effimeri successi artistici e premi per la pace, i Nobel…”. I miti insomma.
Nino Letizia non è un ‘sopravvissuto’ perché non invecchia, si crea, semmai, il proprio personalissimo mito: la giovinezza.
Ecco che Nino Letizia, sfuggendo al mito di Achab anziché perdere una gamba ha trovato il suo braccio destro, l’altra sua metà del cielo: una moglie che ama e che lo ha indotto a scrivere questo libro, destinato a eventi e accadimenti dei suoi e dei nostri giorni, e, attraverso il racconto fare sì che svaniscano quanto più possibile guerre, ingiustizie e atrocità, raccontare e tramandare fatti positivi, che possono perfino superare gli ostacoli, allevare i figli, difendere i sentimenti…“Questi ricordi, così terribili, tristi e drammatici hanno segnato profondamente il periodo della mia fanciullezza ed hanno inculcato nel mio animo un odio profondo per la violenza, e specialmente per la guerra in tutte le sue forme e manifestazioni. Mai più guerra! mai più dolore! mai più orfani, mai più vedove! mai più fame!”.
Io che scrivo tengo molto a dire dei sentimenti di profondo affetto e di amicizia solida che mi legano all’Autore. Che avere tenuto a battesimo il suo libro ha costituito per me un momento di compartecipazione affettiva. Che Nino Letizia non è uno dei tanti miei Autori. Nel senso che ci sono momenti in cui è il cuore che si affianca, a tutto tondo, all’esperienza professionale. Che leggendo ho gioito con lui e per lui… Che ho cucito i pezzi e trovato le ragioni del suo apprezzabile e del tutto peculiare profilo umano. Che mi mancava conoscere quei trascorsi di una persona che mi era apparsa già, negli anni, tanto speciale.
Dal racconto dei suoi primi venti anni, emerge il segreto della giovinezza: gli antichi Greci avvertivano che la vita non è eterna, ma breve e proprio perché breve, va vissuta in tutta la sua espansività, dunque pienezza. La pienezza è potenza, che si esprime nello spirito animale del giovane che sfida romanticamente la vita, in un tuffo reiterato nella temerarietà. “Non posso nemmeno frenare e accodarmi all’autocarro che sto superando perché troppo lento e non farei in tempo. L’unica via di salvezza è rappresentata dallo spazio esistente tra i due cassoni del camion, quello della motrice e del rimorchio. Troppo ristretto, ma non ho altro da fare e quindi mi infilo con la Vespa là dentro, al centro di una nuvola di fumo nero dello scarico, regolando la velocità al centimetro con quella del camion”.
E la giovinezza è accelerazione della vita attraverso la coralità giovanile… resa magistralmente bene dai Beatles nei versi di una canzone “Io sono lui, come tu sei lui, come tu sei me e noi siamo tutti assieme”(I am the Walrus). Stupore del riconoscimento, dunque, nascita, assieme, al mondo e assieme nel mondo. L’adesione incondizionata alla pienezza della vita espressa da Nino Letizia, coincide con quell’esperienza di assenza che non è mancanza, ma tensione esplorativa, dinamica e ricca di immaginazione. E la passione inventa il gioco, il pensare con il cuore… che immette nel pensiero tanto calore perché − ce lo ricorda Dostoevskij − nel giovane “la logica è sempre fusa a un violento sentimento che si impadronisce di tutto l’essere” (L’adolescente). La sfida, per mettersi alla prova, e dopo questo sano vagabondare, dopo la passione che ‘trasforma’, attraverso tutte le tappe del percorso adolescenziale, infine… la rivelazione di sé, l’ultima costellazione del mito della giovinezza.
Nel libro di Nino Letizia troviamo il dispositivo simbolico in cui tutto il suo futuro è descritto e annunciato. L’Autore consegna così, ai suoi nipoti che ascoltano i suoi racconti, una preziosa bussola morale, suscettibile di orientarli, salvandoli dalla dimenticanza − rischio sempre in agguato oggi più che mai − poiché è solo sapendo da Dove proveniamo che è possibile sapere Dove andiamo.
Memoria come arte da custodire: coltivare uno sguardo vigile sul futuro non può prescindere dal cucire il presente col filo del passato.
Alessandro Baricco, spiega con realismo e parole decise le buoni ragioni del raccontare: “Non sei fregato veramente finché hai una buona storia da raccontare e qualcuno a cui raccontarla”.
Testo di Ornella Fanzone
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