Anche in Sicilia la brutale realtà delle violenze sulle donne
Nessun velo può nascondere ciò che è avvenuto. Noi ricordiamo
L’associazione nazionale vittime delle marocchinate ogni anno il 18 maggio, anniversario della fine della battaglia di Cassino e dello sfondamento della linea Gustav, commemora le vittime delle violenze perpetrate dalle truppe coloniali dell’esercito francese ai danni della popolazione civile della Ciociaria e della Terra di Lavoro.
Anche il coordinamento provinciale di Frosinone di Indipendenza quest’anno ha partecipato alla commemorazione.
Nessun velo può nascondere ciò che è avvenuto.
Noi ricordiamo.
“Marocchinate”: con questo termine si sono tramandati gli stupri di gruppo, le uccisioni, i saccheggi e le violenze di ogni genere perpetrate dalle truppe coloniali francesi (Cef), aggregate agli Alleati, ai danni della popolazione italiana, dei prigionieri di guerra e perfino di alcuni partigiani comunisti. La storiografia tradizionale, le poche volte che ne ha trattato, ha circoscritto questi orrori a qualche centinaio di episodi verificatisi nell’arco di un paio giorni nella zona del frusinate. Le proporzioni, tra numeri e gravità dei fatti, furono di gran lunga superiori. E a breve – lo annunciamo in esclusiva – sarà aperto un procedimento penale internazionale, ai danni della Francia, per iniziativa di un avvocato romano.
i marocchini
Il Cef: Corp Expeditionnaire Français, costituito per il 60% da marocchini, algerini e senegalesi e per il restante da francesi europei, per un totale di 111.380 uomini ripartiti in quattro divisioni. Vi erano però dei reparti esclusivamente marocchini di goumiers (dall’arabo qaum) i cui soldati provenivano dalle montagne del Riff ed erano raggruppati in reparti detti “tabor” in cui sussistevano vincoli tribali o di parentela diretta. Erano in tutto 7.833, indossavano il caratteristico burnus arabo, vestivano una tunica di lana verde a bande verticali multicolori (djellaba) e sandali di corda. Erano equipaggiati non solo con le armi alleate (mitra Thompson cal. 45 mm e mitragliatrice Browning 12.7 mm) ma anche con il tipico pugnale ricurvo (koumia) con il quale, secondo una loro antica usanza, tagliavano le orecchie ai nemici uccisi per farne collane e ornamenti (in particolar modo i tedeschi ne fecero le spese). Il loro comandante era l’ambizioso generale Alphonse Juin, nato in Algeria che, da collaborazionista dei nazisti, era passato alle dipendenze di De Gaulle.
in Sicilia
Gli stupri delle truppe marocchine cominciano già nel luglio ’43, con lo sbarco alleato in Sicilia. Gli 832 magrebini del 4° tabor aggregato agli americani che sbarcano a Licata, compiono saccheggi e violentano donne e bambini presso il paese di Capizzi, vicino Troina. Come riporta lo storico Michelangelo Ingrassia, i siciliani reagirono uccidendone alcuni con doppiette e forconi. Nell’area di Capizzi, dopo un primo momento di sgomento la popolazione iniziò a: alcuni goumiers vennero bastonati, ad altri venne invece mostrata una corda per intimorirli, temevano infatti la morte per impiccagione che, secondo le loro credenze, avrebbe impedito alla loro anima di giungere in paradiso. Molti vennero impiccati o uccisi a colpi di accetta. In contrada Salice due goumiers furono impiccati e lasciati a penzolare su due alberi. Vicino a Spezzagallo altri due furono uccisi a colpi di accetta perché sorpresi a rubare. Altri morirono in contrada Mercadante uccisi da contadini adirati per dopo aver visto foraggiare i cavalli con i covoni di frumento. Due cadaveri furono rinvenuti in un casotto all’Addolorata. Un altro invece fu trovato morto dopo alcuni mesi, con ancora indosso il suo caratteristico costume, in un pagliaio di Pardo. E’ probabile che altri ancora abbiano trovato la morte nelle campagne. Finalmente, dopo la caduta di Troina il Tabor riprese la sua marcia a protezione dei fanti del 60° reggimento. L’11 agosto il Tabor superò i monti Pelato e Camolato, tagliò la strada Cesarò-San Fratello per poi, attraverso Monte Soro e Serra del Re, superare l’altra strada Randazzo-Capo d’Orlando. Dopo l’occupazione di Messina, avvenuta il 17 agosto, il Tabor fu tenuto fuori dalla città e il 23 ottobre fu rimpatriato col suo carico di elogi e di gloria conferitagli dai generali alleati.
La popolazione non comprende il pericolo
Sebbene siano conosciuti i manifesti della propaganda fascista (alcuni disegnati da Gino Boccasile) che mettevano generalmente in guardia la popolazione dalle truppe di colore alleate, il partigiano e storico ciociaro Bruno D’Epiro racconta che già prima della battaglia di Esperia un ricognitore tedesco aveva lanciato sui monti Aurunci volantini che incitavano la popolazione a fuggire dalle prevedibili violenze delle truppe nordafricane. Molti bambini furono evacuati dalla Guardia Nazionale Repubblicana e inviati nelle colonie di Rimini, ma la maggior parte della popolazione ciociara, stanca della guerra, si limitò ad aspettare, con rassegnato distacco, il passaggio dei liberatori. Scriveva Renzo De Felice che “l’8 settembre aveva fatto perdere agli italiani qualsiasi volontà di partecipare attivamente alle vicende belliche”. Alberto Moravia, all’epoca sfollato nel frusinate, ne “La Ciociara”, descrive bene questo sentimento di rassegnata apatia facendo dire alla protagonista: ”Per noi bisogna che qualcuno vinca sul serio, così la guerra finisce”.
Alla ritirata dei nazifascisti, vari paesi della Ciociaria vennero occupati dai franco-coloniali del Cef. Questo fu l’inizio di un assurdo calvario. Ad Ausonia decine di donne furono violentate e uccise, e lo stesso capitò agli uomini che tentavano di difenderle.
Dai verbali dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra risulta che anche “due bambini di sei e nove anni subirono violenza”. A S. Andrea, i marocchini stuprarono 30 donne e due uomini; a Vallemaio due sorelle dovettero soddisfare un plotone di 200 goumiers; 300 di questi invece, abusarono di una sessantenne. A Esperia furono 700 le donne violate su una popolazione di 2.500 abitanti. Anche il parroco, don Alberto Terrilli, nel tentativo di difendere due ragazze, venne legato a un albero e stuprato per una notte intera. Morirà due anni dopo per le lacerazioni interne riportate. A Pico, una ragazza venne crocifissa con la sorella. Dopo la violenza di gruppo, verrà ammazzata. A Polleca si erano rifugiati circa diecimila sfollati, per lo più donne, vecchi e bambini in un campo provvisorio. Qui si toccò l’apice della bestialità. Luciano Garibaldi scrive che dai reparti marocchini del gen. Guillaume furono stuprate bambine e anziane; gli uomini che reagirono furono sodomizzati, uccisi a raffiche di mitra, evirati o impalati vivi. Una testimonianza, da un verbale dell’epoca, descrive la loro modalità tipica: “I soldati marocchini che avevano bussato alla porta e che non venne aperta, abbattuta la porta stessa, colpivano la Rocca con il calcio del moschetto alla testa facendola cadere a terra priva di sensi, quindi veniva trasportata di peso a circa 30 metri dalla casa e violentata mentre il padre, da altri militari, veniva trascinato, malmenato e legato a un albero. Gli astanti terrorizzati non potettero arrecare nessun aiuto alla ragazza e al genitore in quanto un soldato rimase di guardia con il moschetto puntato sugli stessi”. Riportiamo solo alcune di queste atrocità per fornire un’idea di massima
Malattie veneree, orfani e suicidi
I comuni coinvolti nel Lazio furono anche Pontecorvo, Campodimele, S. Oliva, Castro dei Volsci, Frosinone, Grottaferrata, Giuliano di Roma e Sabaudia. Migliaia furono le donne contagiate da sifilide, blenorragia e altre malattie veneree, e spesso contagiarono i loro legittimi mariti. Così come migliaia furono quelle ingravidate: il solo orfanotrofio di Veroli, accoglieva, dopo la guerra, circa 400 bambini nati da quelle unioni forzose. Molte delle donne “marocchinate” furono poi scansate dalla comunità, a causa dei pregiudizi di allora, ripudiate dalle famiglie e, a centinaia, finirono suicide o relegate ai margini della società. Una scia di sofferenze fisiche e psicologiche, quindi, che si trascinò per decenni.
Colpevoli anche i soldati francesi bianchi
Non solo truppe di colore. Da documenti dell’Archivio Centrale dello Stato, risulta che anche i francesi bianchi parteciparono alle violenze: a Pico furono, infatti, violentate 51 donne (di cui nove minorenni) da 181 franco-africani e da 45 francesi bianchi. Dato questo episodio e considerando che francesi europei costituivano il 40% di tutto il Cef, risulta limitativo addossare la responsabilità delle violenze ai soli goumiers marocchini. Anche gli americani sapevano di questi fatti: solo in un paio di casi tentarono debolmente di frenare i goumiers. Scrive Eric Morris in “La guerra inutile” che, ancora vicino a Pico, gli uomini di un battaglione del 351° fanteria americana provarono a fermare gli stupri, ma il loro comandante di compagnia intervenne e dichiarò che “erano lì per combattere i tedeschi, non i goumiers”.
Va anche ricordato che, quando alcuni marocchini a Roma violarono due donne e le gettarono poi da un treno in corsa, uccidendole, l’”Osservatore romano” e “Il Popolo” aprirono una accesa polemica, denunciando chiaramente le violenze che si verificavano ovunque i marocchini si fossero accampati. A questi rispose il giornale delle truppe francesi in Italia “La Patrie”, minimizzando l’accaduto. Ancora una volta, quindi, De Gaulle non poteva non sapere. Impossibile pensare, anche, che i comandanti alleati ignorassero quegli eventi.
I numeri delle vittime
Emiliano Ciotti, presidente dell’Associazione Vittime delle Marocchinate, fornisce i numeri di questo massacro: “Nella seduta notturna della Camera del 7 aprile 1952 la deputata del PCI Maria Maddalena Rossi denunció che solo nella provincia di Frosinone vi erano state 60.000 violenze da parte delle truppe del generale Juin. Dalle numerose documentazioni raccolte oggi possiamo affermare che ci furono 20.000 casi accertati di violenze, numero del tutto sottostimato; diversi referti medici dell’epoca riferirono che un terzo delle donne violentate, che si erano fatte medicare, sia per vergogna o per pudore, preferì non denunciare. Facendo una valutazione complessiva delle violenze commesse dal Cef, iniziate in Sicilia e terminate alle porte di Firenze, possiamo quindi affermare con certezza che ci fu un minimo di 60.000 donne stuprate, ognuna, quasi sempre da più uomini. I soldati magrebini, ad esempio, mediamente violentavano in gruppi da due o tre, ma abbiamo raccolto testimonianze di donne violentate anche da 100, 200 e 300 uomini. Oltre alle violenze carnali , vi furono decine di migliaia di richieste per risarcimenti a danni materiali: furti, incendi, saccheggi e distruzioni”.
La rimozione storica
Nonostante le pubblicazioni del professor Bruno D’Epiro, cittadino di Esperia che fu il primo, a livello locale, a interessarsi in maniera organica a questi misfatti, a parte qualche articolo successivo e qualche raro documentario, la storiografia nazionale ha lasciato pressoché unicamente al film di Vittorio De Sica “La Ciociara”, il difficile ruolo di trasferire al grande pubblico qualcosa sulle marocchinate. Fino agli anni ’90, poi, come scriveva al sindaco di Esperia lo storico belga Pierre Moreau, nulla del genere era mai apparso sulla letteratura storica in lingua inglese, francese e olandese. La memoria di queste aberrazioni è, tuttavia, ancora una ferita aperta nei luoghi che furono colpiti. Nel 1985, a Esperia, fu organizzata una manifestazione di riconciliazione tra tutti i reduci della guerra. Solo i francesi non furono invitati, in quanto espressamente “non graditi”. Il cimitero di guerra di Venafro, che ospita i caduti del Cef, sovente, ancor oggi, vede la propria insegna marmorea imbrattata di vernice da mani ignote.
Il prossimo procedimento legale ai danni della Francia
L’avvocato romano Luciano Randazzo, già noto per aver fatto riaprire casi riguardanti le Foibe e l’esecuzione di Mussolini, dichiara: “Anni fa assistetti una povera signora che, durante la guerra, era stata “marocchinata” ed ebbi modo di conoscere da vicino quei drammi: era tutta povera gente. Nel 2003, una tv francese mi intervistò, valutando se si potesse intraprendere un’azione legale verso l’Associazione d’arma dei goumiers “Koumia”. Fino ad oggi, cosa ha fatto lo Stato italiano per chiedere i giusti risarcimenti ai francesi? Nulla. Ecco perché, a breve presenterò un ricorso presso il Tribunale Militare di Roma e presso la Corte internazionale, ai danni della Francia”.
La storia delle marocchinate non è ancora chiusa.
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