“Scrivilo. Scrivilo.
Con inchiostro comune
Su carta comune:
non gli fu dato da mangiare, morirono tutti di fame.
Tutti? Quanti?
È un grande prato. Quant’erba è toccata a testa? Scrivi: non lo so.
La storia arrotonda gli scheletri allo zero.
Mille e uno fa sempre mille.
Quell’uno è come se non fosse mai esistito:
un feto immaginario, una culla vuota,
un sillabario aperto per nessuno,
aria che ride, grida e cresce,
scala per un vuoto che corre giù in giardino,
posto di nessuno nella fila.”
Campo di fame presso Jaslo, Wislawa Szymborska
Il Giorno della Memoria incombe con le sue immancabili celebrazioni su un’attualità angosciante, fatta di morti nel Mediterraneo, campi di concentramento in Libia, marcia e prigionia dei migranti fra Messico e Usa, occupazione militare della Palestina, instabilità politica e sociale nella Siria post-bellica, dove gli scontri non sembrano cessati e una tregua poco promettente anche in Yemen: in tutto, 68 paesi nel mondo attraversano conflitti di varia natura, combattuti da più di 800 fra eserciti, milizie, gruppi separatisti o terroristici.
I numeri odierni sono inclementi e fanno eco a quelli del passato, a sorreggere la memoria troppo fragile dell’Occidente che siamo diventati, mentre le parole di rito sull’Olocausto si confinano nel narrare il genocidio degli ebrei, circoscrivendo un racconto più ampio, più profondamente radicato, inevitabilmente collettivo.
Le vittime dello sterminio nazifascista furono più di 6 milioni: se si contano le vite perse nei lager bisogna annoverare
che per il periodo dal 1933 al 1945 fanno oscillare le stime fra 15 e 17 milioni.
E tutto ciò, senza contare la Seconda Guerra Mondiale e le sue perdite innumerabili, con 7 milioni di tedeschi e il contributo massimo di 20 milioni di russi, fra militari e civili.
Bisogna leggere questi numeri, scovarli fra i documenti, consultare le note che li esplicano, esaminare i dubbi e le domande degli storici che li hanno desunti e infine, confrontarli con la misura colma dei sistemi di oppressione e morte odierni.
La storia che raccontano è vasta, onnicomprensiva, capillare, ci riguarda tutte e tutti, interroga le nostre radici, i ricordi di famiglia, da dove proveniamo, ma soprattutto, parla al nostro presente, ci chiede conto della nostra capacità, oggi, di prendere posizione, discernere i discorsi di odio di certa propaganda politica, osservare i fenomeni senza mai trascurare il valore imprescindibile della vita umana, studiare e capire le cause complesse delle fratture sociali, delle crisi e delle guerre che ci circondano, con la ferrea volontà di non prenderne parte in veste di aggressori o indifferenti complici, ma soltanto in quanto resistenza consapevole, eticamente irrinunciabile.
Altrimenti la Shoah è inutile e ricordarla, una formalità ipocrita, un ossequio politico privo di rispetto e contenuti, slegato da qualsiasi anelito di giustizia e umanità.
Così infatti, ci appare l’esempio lampante e al contempo, atterrente dello stato di Israele, che anche da quelle ceneri era sorto nel 1948: i settant’anni che ci separano dalla vergogna senza fine di Auschwitz non sono stati impiegati per fare di quella memoria dolorosa base solida per una società più equa e incentrata sulla tutela dei diritti e di tutte le minoranze, bensì sono stati investiti in una feroce politica espansionista, nella militarizzazione e suddivisione coatta del territorio, nella pianificazione e attuazione di nuove e sempre più vessatorie forme di persecuzione del popolo palestinese, fino al suo quasi compiuto sradicamento e genocidio.
Dalla legge del ritorno del 1950, che chiamava a raccolta tutta la popolazione ebrea mondiale, fornendo una patria su base etnica, fino alle leggi liberticide approvate nell’anno appena trascorso, fra le quali spicca la legge dello stato-nazione che garantisce formalmente uno stato privilegiato agli ebrei in merito alla lingua e agli insediamenti, a scapito dei diritti delle popolazioni indigene arabe, possiamo tracciare un perverso percorso a ritroso dove la vittima si converte in carnefice, reiterando violenze, soprusi e crimini subiti, con eguale sconfinata determinazione e godendo della circostante generale neutralità e indifferenza.
E tutto ciò, continua a perpetrarsi, col sostegno delle democrazie occidentali, il beneplacito degli Stati Uniti e quello ammirato del nostro imbarazzante governo.
E se non siamo in grado di leggerlo fra le pagine dei giornali ogni giorno, nell’abuso sistematico che si fa legge, negli slogan di odio, negli interessi economici che si dileguano dietro le ragioni di una guerra e nelle morti strazianti dei più poveri, casualmente migranti, allora forse non avrà senso spendere due parole per ricordare le vittime che furono: vorrà dire che non sono riuscite a infrangere la forma del “numero” per farsi volti, storie, vite, sussulto di comprensione, memoria di cosa vuol dire “essere umano”.
Mille e uno farà sempre mille.
Eppure quell’uno ci sta morendo accanto proprio adesso.