“La prima cosa che mi è venuta in mente leggendo i romanzi di Ivonne Agostino è una frase di Terenzio: Homo sum, humani nil alienum a me puto” (Sono un uomo, e non considero niente di ciò che è umano estraneo a me)
Quel che ha detto la professoressa Shara Pirrotti, introducendo e presentando Ivonne Agostino, giovane autrice, all’incontro al caffè letterario “La Capannina” di qualche giorno fa.
La prima cosa che mi è venuta in mente leggendo i romanzi di Ivonne Agostino è una frase di Terenzio, commediografo latino del II sec. a. C. che dice: Homo sum, humani nil alienum a me puto (Sono un uomo, e non considero niente di ciò che è umano estraneo a me).
Cioè: ogni azione ogni reazione, ogni emozione che provano gli uomini non mi sorprende o meraviglia, perché anch’io, nella medesima situazione e con lo stesso stato di coscienza, farei probabilmente lo stesso.
Ho pensato a questa frase per due motivi.
Innanzi tutto perché l’autrice è molto brava nel rappresentare le contraddizioni e le incoerenze dell’animo umano senza giudicarle: per esempio, nel secondo libro Giovanna è animata da amore e odio nei confronti di Gabriel che l’ha abbandonata (e Ivonne non conosceva ancora il famoso carme 85 di Catullo, che menziona “Odi et amo”) e si domanda perché loro due, pur amandosi tanto, si sono mentiti l’un l’altro. Amore e menzogna coesistono dunque dentro quella relazione in modo paritetico.
Nel primo libro invece Giulia si meraviglia e soffre perché l’amica Alessandra ha deciso di non incontrarla più. Soffre, anche se era stata lei per prima a volersi allontanare da Alessandra, ma quando lo faceva lei le sembrava naturale e giustificabile, anche se faceva soffrire l’amica; adesso che l’altra ha deciso di mollarla, Giulia prova una forte frustrazione. Anche questa incoerenza è registrata dall’autrice con lucida semplicità, perché l’incoerenza di azioni e pensieri è connaturata all’animo umano.
Il secondo motivo è legato al fatto che in entrambi i romanzi i protagonisti sono due perdenti, due ragazzi, cioè, che posti davanti a una grave difficoltà, scelgono la soluzione peggiore tra le tante possibili, quella che li perde, li rovina, li distrugge: Alessandra risponde con l’eroina al dolore per la morte del ragazzo che amava, Gabriel muore “prima di morire”, negando alla sua ragazza la possibilità di condividere i suoi ultimi momenti, preferendo all’esposizione della sua fragilità, una fuga dolorosa per entrambi.
E il fatto che i protagonisti delle due storie scelgano la morte e la rovina non dipende da motivi eroici: non muoiono per ideali politici (come fa il protagonista delle Ultime Lettere di Jacopo Ortis), o per testimoniare un ideale (San Paolo diceva: «se moriamo con Cristo, con Cristo risorgeremo»), o per affermare la propria libertà («che sì cara come sa chi per lei la vita rifiuta», di dantesca memoria).
Muoiono senza un perché.
La gente non si accorge neanche che sono morti, eccetto i pochi che li conoscevano, e il mondo non è migliore di prima per il loro passaggio. Ivonne non spiega i motivi del loro gesto.
Perché forse non tutto della vita può essere spiegato e non sempre c’è un perché filosofico o logico valido ai fatti che accadono, forse perché la vita non ha un senso, oppure perché la vita è il senso di ogni cosa.
La scelta dei due ragazzi non è la scelta di Ivonne. Lei è una ragazza intelligente, ben decisa a dare un senso alla sua vita e non farebbe mai scelte del genere. Ma lei sa che è possibile farle, che in un momento particolarmente difficile chiunque di noi potrebbe prendere una pericolosa spirale verso il basso e perdersi inesorabilmente.
E questa comprensione, questa profondità, sono stupefacenti per una giovane come lei. Quando ero giovane amavo solo i vincenti e tra tutti Garibaldi, gli scrivevo poesie.
Poi, diventando storico e avendo accesso ai documenti originali dello Sbarco, ho avuto modo di verificare che “l’eroe dei due mondi” non era stato propriamente eroico in Sicilia, e ho ridimensionato drasticamente i miei sentimenti nei suoi confronti. Ma ho sempre ammirato gli eroi dell’antica Grecia, i miti dell’epica e della tragedia, Achille, Ulisse, Medea, Antigone, personaggi positivi e negativi titanici e fieri. Solo un eroe non mi piaceva: si chiamava Filottete, ed era il protagonista di una tragedia di Sofocle.
Aveva ricevuto un morso da un serpente, che gli aveva lasciato una piaga ripugnante e maleodorante, e per questo era stato scaricato dagli amici senza tanti complimenti sull’isola di Lemno.
Dopo qualche anno, però, un oracolo aveva preannunciato agli Achei che senza l’arco di Filottete non avrebbero potuto vincere la guerra di Troia. E allora Ulisse ritorna da lui, insieme al figlio di Achille, Neottolemo, e Filottete è molto felice, crede che gli amici abbiano capito il suo valore, gli vogliano bene e lo rivogliano con sé.
Questa sua ingenuità mi metteva a disagio, esponeva una parte che non volevo vedere: la debolezza umana. Solo da adulta ho cominciato a rappacificarmi con questa parte e ad amarla in me e negli altri.
Ivonne invece ha precorso i tempi e a 20anni ha fatto della debolezza la protagonista dei suoi romanzi.
E non perché viva fuori dal suo tempo: è cresciuta leggendo gli Shadowhunters, gli Hunger Games, dove eroi senza macchia e senza paura combattono per salvare il mondo e ci riescono dopo mille peripezie.
Ma lei preferisce, a una storia di avventura e suspence, una storia intima, interiore e lo fa con un lavoro introspettivo sempre lucido e a tratti stupefacente, in cui pare di udire le parole di Agostino: «Noli foras ire, In te ipsum redi. In interiore homine habitat veritas» (Non andare fuori, rientra in te stesso. Nel profondo dell’animo umano risiede la verità).
Per perseguire i loro scopi funesti, i due ragazzi, in modo diverso, interrompono i rapporti con le persone che amano e con gli amici. L’amicizia è il sentimento dominante di entrambi i romanzi.
Ivonne lo conosce bene e la sua descrizione dei rapporti amichevoli si svolge senza esitazione, sottolineando la serenità, la spontaneità e la fiducia che gli amici provano gli uni per gli altri.
Non si tratta, anche qui, di rapporti perfetti: i ragazzi sono incostanti, a volte superficiali, ma il loro legame è sincero e profondo.
Davanti a questo legame solido e fondamentale anche l’amore sembra marginale, l’amore come sfortuna, come male che distrugge, che arreca indicibili sofferenze a chi se ne lascia avvincere, non un amore positivo che induce a migliorare se stessi. È un amore malato, che genera sofferenza ed è figlio dello stesso dolore. E che, soprattutto nel primo libro, ha conseguenze fatali.
Come mai l’amicizia è così importante in questi romanzi?
Per compensare la grande assenza degli adulti.
Ivonne è esplicita nel condannare il comportamento degli adulti, ovviamente non facendo riferimento alle proprie esperienze personali, ma alle cose che ha visto, ai discorsi che ha sentito, forse anche alle confidenze degli amici.
I primi ad essere stigmatizzati sono gli insegnanti, a cui i giovani personaggi del primo libro chiedono senza mezzi termini: «Perché fate finta di capirci, e poi, quando ci avviciniamo pieni di fiducia in voi, ci deludete, non ci ascoltate?»
E poi tocca ai genitori.
Nel primo libro gli adulti sono implicati in un rapporto tossico, che distrugge la serenità della famiglia di Alessandra. Il padre cerca rifugio nell’alcool e nella violenza ai suoi problemi di lavoro e la madre, succube impotente, subisce senza riuscire a difendere se stessa e la figlia, che entrambi dovrebbero, come genitori tutelare e proteggere.
Nel secondo libro solo apparentemente la famiglia sembra più consona ai bisogni di Giovanna: la madre cucina molto bene ed è una perfetta casalinga, il padre sorride sornione e complice quando scopre che lei si è innamorata.
Ma è solo una facciata. Nella realtà della storia la madre è incapace di “vedere” la figlia, pretende che esca come fanno i suoi coetanei, si rifiuta di pensare che sua figlia non può essere come tutti gli altri, perché ha un mondo interiore talmente ricco e profondo da non poter essere banalizzato con quello che fanno tutti gli altri. Lei non si sente capita. Infatti non confida ai suoi il suo nuovo sentimento e la bellissima storia che sta cambiando per sempre la sua vita.
Quali sollecitazioni trarre da questi romanzi?
Quali richieste fa l’autrice ai suoi lettori più maturi?
Sicuramente la richiesta di una maggiore verità, di una maggiore sincerità e umiltà.
Come docenti e genitori, siamo chiamati a riconoscere che non abbiamo tutte le risposte, non sempre facciamo le scelte migliori, anzi sbagliamo spesso. Dobbiamo riconoscerlo, per impedire ai nostri giovani che si avvicinano a noi da figli, da allievi o da semplici conoscenti, di provare vergogna per i loro errori e di ricorrere a una siringa per non sentire il grande vuoto della propria inadeguatezza.
È chiaro che la mano che sceglie di rispondere a un disagio con la droga, piuttosto che un libro, ha la responsabilità ultima della sua scelta.
Ma noi adulti possiamo aiutare i nostri giovani a operare scelte positive e costruttive incoraggiandoli ad essere se stessi, a confidare nei propri mezzi e nella propria unicità, accompagnandoli a realizzare i propri sogni con un amore incondizionato, che li faccia sentire degni e meritevoli della più grande felicità.
Shara Pirrotti, una ex docente universitaria di lettere classiche, anche lei è una scrittrice, ama il medioevo, attualmente è la tutor di Ivonne Agostino nel suo percorso universitario. E’ Dottore di ricerca in Storia Medievale, paleografa e filologa, ha insegnato “Storia della Sicilia” presso il Conservatorio Bellini di Palermo e ha ottenuto contratti di ricerca con università italiane e straniere (Catania, Messina, Vienna e Tokyo). Ha partecipato con 35 voci alla redazione del “Dizionario delle scienze e tecniche dell’antichità greca e romana”, curato dalle università di Messina e Pisa (Pisa-Roma 2009). Avvalendosi di documenti editi e inediti, ha pubblicato numerosi studi sul Medioevo siciliano, tra i quali due volumi sulla storia del monastero italo-greco di San Filippo di Fragalà (Palermo 2008 e Messina 2012).
L’evento letterario di riferimento
INCONTRI ALLA CAPANNINA – Dialogando sui “temi” trattati nei romanzi di Ivonne Agostino