L’analisi di Rino Nania ed alla fine, nella condivisone del dolore, le parole di Pier Paolo Pasolini
La sedicenne che muore drogata e violentata nel quartiere di San Lorenzo in Roma è lo specchio di un degrado pasoliniano, ove alberga una desertificazione dei sentimenti ed uno sconforto che annichilisce.
In questo lercio mondo l’animo umano si è inaridito al punto da risultare luogo triste e senza più speranza.
L’episodio terribile squarcia il velo dell’ipocrisia ovverosia di quella melassa di parole e abitudini mentali che servono solo a mascherare l’istinto animale, ad ammantare di civiltà spazi suburbani e periferie del mondo preda di barbarie, di guerre latentemente civili, in assenza del rigoroso intervento delle istituzioni e della doverosa misericordia nei riguardi di realtà poste ai margini.
Certo la presenza criminale importata dalle galassie dei migranti senza futuro rende più complessa ed intricata la matassa.
Il garbuglio utilizzato anche per finalità propagandistica non aiuta la comprensione dei fenomeni che riducono lo scontro universale a contrapposizione tra diseguaglianze, tra poveri che alimentano le guerre intestine e senza prospettive.
Le periferie italiane così rischiano di divenire campi di battaglia dove il sorriso si spegne definitivamente, bagnando di lacrime i volti innocenti e/o complici di ignavi e neutralità senza ragione.
Di fronte al malessere bisogna incarnare ed condividere il dolore con le parole di #Pier_Paolo_Pasolini:
“Piange ciò che ha
fine e ricomincia.
Ciò che era
area erbosa, aperto spiazzo, e si fa cortile, bianco come cera,
chiuso in un decoro ch’è spento dolore.
Piange ciò che muta, anche
per farsi migliore. La luce
del futuro non cessa un solo istante di ferirci: è qui, che brucia
in ogni nostro atto quotidiano,
angoscia anche nella fiducia
che ci dà vita …”
(Rino Nania / 26 ottobre 2018)