Altri tempi. Altri Uomini.
E sarebbe da rivedere anche il film di Italo Zeus, anzi dovrebbe essere quasi un obbligo rispettoso proiettarlo e commentarlo nelle scuole, uno spaccato di storie e passioni, che ricorda lo “status” dei braccianti, che parla di povertà e delle “ricche famiglie” dei padroni.
Resta il ricordo ed il rispetto della dignità di chi, per un ideale, anche a Brolo, lì sfidava, marciando, il primo maggio, anche se erano davvero in pochi e non sapevano se il giorno dopo avrebbero ritrovato il loro posto di lavoro.
“Primo maggio di festa”.
Era la loro festa
Sembra una storia di altri tempi… solo sessant’anni fa.
Ed allora con umiltà il pensiero va, ancora una volta, ai fratelli Lenzo, Vittorio e Michele e a quei pochi che con lo sguardo fiero sfilavano il primo maggio come Giuseppe e Turi Lupica, Tindaro Castrovinci, ed ancora i Giuliano e i Bonina…
(PS: se ci inviate altri nominativi di chi partecipava a quelle manifestazioni e le foto di quegli eventi le pubblicheremo.)
Per i Lenzo, braccianti, con poche scuole frequentate, nessun diploma da appendere alla parete, ma un grande cuore nel petto. Uomini dalle mani callose, dallo sguardo onesto. Per loro sfilare il primo maggio era un impegno civile, scendendo da Piana e da Iannello, spesso da soli, con la bandiera rossa in mano e la banda – alle loro spalle – che suonava l’internazionale, sfilavano per le vie di Brolo, rivendicando il diritto al lavoro, ma anche tanto altro.
La voglia di essere liberi, di dire sono Socialista. Sono comunista.
Uomini dallo sguardo fiero, mai domo, pur sapendo che l’indomani, nei magazzini, nell’agrumeto o semplicemente – per le loro moglie – andando a comprare il sale sarebbe stato un giorno più duro degli altri.
Ci fu l’anno in cui quel primo maggio, a Brolo, servì anche a ricordare, nel 1969, i morti di Avola del dicembre precedente con i cartelloni scritti con la vernice e tenuti su dai “manici du pichu”.
Pezzi di cartone che rammentavano i nomi dei caduti con i carabinieri che li seguivano, mentre qualche donnina impaurita chiudeva gli scuri di casa al passaggio del corteo, mentre i notabili del paese, seduti davanti la loro sezione, o al bar di Donna Rosa, li schermivano continuando a giocare il loro Tresette
Quei moti del ’21.
Così in quel primo maggio diverso a Brolo, nel 1999, il paese fece il processo alla storia, riabilitando i 15 operai condannati nei moti del ’21.
I fatti accaddero il 14 marzo del 1921 quando una folla di dimostranti protestarono per il licenziamento di un giovane operaio, Carmelo Mirenda che lavorava alla “carcara” – la fornace dove si realizzava il citrato di calcio- buono per fare case e facciate ma anche per “ripulire” dai parassiti gli agrumeti.
Il mestiere del carcararo era ritenuto tra i più umili
Ai dimostrati guidati dall’allora segretario della locale Camera del Lavoro, Salvatore De Riu, si erano uniti anche tanti cittadini che protestavano contro l’Amministrazione Comunale del tempo per la mancanza nel paese di una farmacia e del medico condotto, della rete fognaria estesa per tutto il paese.
Durante la manifestazione, nei pressi della Chiesa Madre si accesero gli animi, ci furono le cariche dei carabinieri, molti giunti, per dar rinforzo a quelli della regia stazione, anche con il treno direttamente dalla compagnia di Patti.
Da un lato i manifestanti con bastoni e pietre dall’altro militari ed agrari ben armati.
Furono sparati colpi d’arma da fuoco contro chi protestava. Di fatto , alla fine si contarono diversi feriti e contusi da ambo i lati, ma rimase sul selciato anche il corpo di quella ragazzina che assisteva, dal marciapiedi, allo svolgersi della scena.
Con questo grave epilogo sanguinoso si chiudeva dunque il tumulto che determinava due distinti procedimenti, uno a carico di Domenico Gembillo, sospettato di essere l’autore del colpo fatale che determinò l’omicidio della Barà , ed un altro a carico di quindici tra operai e popolane (Giuseppa Marzullo, Calogero Ricciardi Calderaro, Carmelo Ricciardi Calderaro, Calogero Svelti, Nunzio Tramontano, Sebastiano Scaffidi Militone, Giuseppe Ceraolo, Giuseppe Princiotta, Vincenzo Avena, Carmela Casella, Carmelo Maniaci, Teodoro Fonti, Cono Pizzino, Salvatore Di Riu e Giuseppe Starvaggi Casella) che avevano partecipato agli scontri.
Ovviamente al tempo a Brolo i braccianti, i pescatori i raccoglitori di agrumi vivevano, come dice in alcune memorie Gaetano Piccolo, che assistette ai fatti, un clima di sudditanza ed il rapporto tra le famiglie degli agrari e degli operai era fortemente sbilanciato: Questo influenzò anche i rapporti con la magistratura ed il Gembillo venne prosciolto in camera di consiglio mentre gli operai e le donne che avevano partecipato alla protesta, a vario titolo vennero condannati e poi in appello i giudici calcarono ulteriormente la mano con condanne tra i tre ed i cinque anni e con ammende pecuniarie pesantissime per i tempi.
Ma il fatto oltre alla cronaca degli avvenimenti si ammantò di aspetti oscuri sui ruoli che alcuni protagonisti ebbero a partire dal mancato arrivo di un centinaio di operai che dovevano venir da Messina a dar manforte ai colleghi brolesi e che scesero a Patti; al ruolo del maresciallo Bollani; sul perché si tentò di uccidere il De Riu, poi ferito a bruciapelo con una pistolettata allo stomaco, che dopo 25 giorni d’ospedale fu bollato come sovversivo e di fatto si ritrovò disoccupato; ma dubbi e interrogativi sussistono anche sui reali motivi che determinarono il fallimento di tentativo di riapertura del processo, nel dopoguerra.
“Nessun processo sommario ai protagonisti di quei fatti – disse allora Salvo Messina il sindaco del tempo – oggi non servirebbe a nessuno anche perché è passato tanto tempo, ma semplicemente un atto di giustizia sociale per chi venne condannato ingiustamente perché semplicemente stava protestando per diritti negati … del resto la storia ed il tempo hanno già emesso quelle condanne morali che nei fatti non ci furono”
Alcuni scatti tratti dal film di Italo Zeus.
Un film che coinvolse tutto in paese che divenne un grande set. Venne anche realizzato un libro.