OPERAZIONE “PROVINCIALE” – Pippo Scandurra di Sos Imprese a fianco delle vittime di racket e usura
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OPERAZIONE “PROVINCIALE” – Pippo Scandurra di Sos Imprese a fianco delle vittime di racket e usura

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A MESSINA. SCANDURRA: “RETE PER LA LEGALITA’ A FIANCO DELLE VITTIME DI ESTORSIONE”.

il più sentito ringraziamento a magistratura e forze dell’ordine

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“Esprimo il più sentito ringraziamento a magistratura e forze dell’ordine per aver ancora una volta inferto un durissimo colpo alla criminalità organizzata sotto la cui egemonia, in questo caso nella città di Messina, finivano soggiogati numerosi cittadini ed imprenditori onesti, costretti a subire le estorsioni”.

Lo afferma il vice presidente nazionale di “Sos Impresa – Rete per la Legalità”, Pippo Scandurra, in una nota congiunta insieme al coordinamento regionale siciliano ed all’associazione di Messina, presieduta da Giuseppe Ruggeri, a seguito dell’operazione condotta da Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia di Stato di Messina, in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia di Messina.

“Purtroppo il fenomeno estorsivo per mano della criminalità organizzata è ancora diffuso e radicato nel nostro territorio – prosegue Scandurra – ma accanto al lavoro di magistratura e forze di polizia, le stesse denunce sempre più frequenti di commercianti ed imprenditori che trovano il coraggio di ribellarsi, ci fanno capire come il vento stia sempre più cambiando. Come Sos Impresa – Rete per la Legalità ribadiamo quindi la totale vicinanza nei confronti delle vittime di racket e usura, disponibili a stare a fianco a loro in ogni momento di un percorso, certamente duro ma meno arduo se compiuto assieme, che partendo dalla denuncia conduce fino alla definitiva liberazione da ogni oppressione per mano criminale”.

 

L’OPERAZIONE PROVINCIALE. I DETTAGLI

33 arresti a Messina. Estorsioni, droga e voti di scambio. I nomi degli indagati

“L’operazione è il risultato di autonome e convergenti indagini del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Messina, del Gico del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Messina e della Squadra Mobile della Questura di Messina che hanno consentito di documentare l’attuale operatività dei sodalizi mafiosi operanti nella zona centro della città dello Stretto, nel settore delle estorsioni in danno di esercizi commerciali, del traffico di stupefacenti e del controllo di attività economiche nel campo della ristorazione, del gioco e delle scommesse su eventi sportivi”, dicono gli inquirenti.

In particolare, le indagini dei Carabinieri di Messina hanno riguardato la consorteria mafiosa egemone nel rione messinese di “Provinciale” capeggiata dal noto esponente mafioso Giovanni Lo Duca, attiva, fra l’altro, nelle estorsioni in danno di esercizi commerciali e nel traffico di sostanze stupefacenti e hanno portato al sequestro di un bar utilizzato come base logistica dell’associazione mafiosa.

Le indagini della Guardia di Finanza di Messina hanno riguardato le attività del gruppo criminale capeggiato da Salvatore Sparacio, operante nel rione “Fondo Pugliatti”, documentando il controllo di attività economiche e portando al sequestro di una impresa operante nel settore del gioco e delle scommesse.

Le indagini della Questura di Messina hanno riguardato il sodalizio mafioso capeggiato da Giovanni De Luca, attivo nel rione di “Maregrosso” nel controllo della sicurezza ai locali notturni e nel traffico di sostanze stupefacenti, sodalizio già oggetto dell’indagine “Flower” conclusa nell’ottobre 2019.

Il provvedimento cautelare del gip del Tribunale di Messina ha disposto la custodia cautelare in carcere per 21 persone, gli arresti domiciliari per 10 persone e l’obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria per 2 persone, nonché il sequestro di 2 imprese, operanti nel settore del gioco e delle scommesse e della ristorazione.

Il clan mafioso di Messina “esercitava un controllo capillare del territorio”, “tanto che qualsiasi iniziativa assunta nel rione era assoggettata al preventivo “placet” di Giovanni Lo Duca che si proponeva quale soggetto in grado di sostituirsi allo Stato nella gestione delle “vertenze” sul territorio”.

Lo Duca

Dopo avere trascorso tredici anni in carcere, al 41 bis, Giovanni Lo Duca è tornato in libertà e avrebbe ripreso il comando nella zona di Messina. “In particolare, le indagini avviate dopo la scarcerazione di Giovanni Lo Duca – dicono gli inquirenti – hanno documentato che questi aveva riassunto le redini dell’organizzazione, proponendosi quale riconosciuto punto di riferimento criminale sul territorio, capace di intervenire autorevolmente nella risoluzione di controversie fra esponenti della locale criminalità”.

Dopo quasi due anni di intercettazioni e servizi di osservazione, i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Messina hanno documentato come “il sodalizio capeggiato da Giovanni Lo Duca operava mediante il sistematico ricorso all’intimidazione e alla violenza, con pestaggi e spedizioni punitive, per affermare la propria egemonia sul territorio e controllare le attività economiche della zona”. Lo Duca si sarebbe impegnato anche “per recuperare i crediti derivanti sia dal traffico di sostanze stupefacenti che dalla gestione delle scommesse su competizioni sportive”.

In una circostanza, per esempio, è emerso come una donna del quartiere si fosse rivolta a Lo Duca “per ottenere la liberazione del proprio figlio minorenne che era stato trattenuto contro la sua volontà da un pregiudicato del posto che lo voleva punire per delle offese pubblicate dal ragazzo su Facebook”. Lo Duca “intervenne nei confronti dell’uomo, ottenendo l’immediata cessazione di ogni iniziativa ostile nei confronti del minore”. Non fu mai sporta alcuna denuncia.

La base operativa del clan mafioso di Messina sgominato dalla Dda guidata dal Procuratore Maurizio de Lucia, “era il Bar “Pino” gestito dalla sorella di Giovanni Lo Duca, il quale trascorreva le sue giornate presso l’esercizio commerciale, dove incontrava gli associati per pianificare le varie attività criminose della consorteria e dove veniva eseguita l’attività di raccolta di scommesse sportive in assenza di licenza e per conto di allibratore straniero privo di concessione”. Secondo l’accusa l’esercizio commerciale, che era “funzionale allo svolgimento delle attività criminali del clan”, è stato sequestrato dai Carabinieri.

In manette anche un candidato alle elezioni, accusato di voto di scambio

C’è anche un candidato al Consiglio comunale di Messina, non eletto nel 2018, tra gli arrestati della maxi operazione. In manette è finito Natalino Summa, 52 anni, che nella primavera del 2018 si era candidato al consiglio comunale nella città dello Stretto, senza essere però eletto.

L’uomo è accusato di voto di scambio, perché avrebbe pagato diecimila euro per il sostegno elettorale del clan Sparacio. Le indagini tecniche degli investigatori peloritani hanno consentito “di captare alcune inequivoche conversazioni”, inerenti proprio la prova dell’offerta di denaro, per una somma pari a 10.000 euro, effettuata al boss dal candidato politico, affinché procurasse un congruo numero di voti per la propria scalata elettorale, spiegano gli inquirenti.

Questa attività di procacciamento vedeva in Francesco Sollima, 52 anni, ritenuto trade union tra Natalino Summe ed il boss Salvatore Sparacio, che l’aspirante consigliere comunale incontrava con il padre Antonino di 81 anni”.

I riscontri eseguiti hanno consentito di documentare come l’accordo illecito raggiunto consentisse di raccogliere, nei quartieri di operatività del gruppo mafioso, ed altri a questo collegati, in totale, ben 350 voti, spiegano gli investigatori.

9 Aprile 2021

Autore:

redazione


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