“Possiamo dire che la piazza come luogo pubblico costruito e distinto dagli spazi liberi di risulta della città ha un carattere di necessità molto ampio e generale per il fatto che con essa la città rappresenta se stessa. La città o una sua parte espone se stessa nella piazza e questa è lo specchio, la rappresentazione di quella. Forse la storia architettonica di una città comincia da qui.”
E’ nella piazza, come ci spiega in epigrafe Agostino Renna, mai troppo compianto architetto, studioso e teorico dell’architettura italiana, più che altrove, che la città manifesta il suo intento rappresentativo, che si rende riconoscibile, che diventa teatro della vita degli uomini.
Purtroppo se guardiamo alla nostra città, alla situazione di degrado in cui versa piazza Cairoli, insieme a tanti altri spazi pubblici –pensiamo alla Galleria Vittorio Emanuele, ma anche a piazza Lo Sardo, ai tanti altri spazi urbani lasciati in uno stato di totale abbandono e, perché no, alle tante aree a verde, aiuole comprese- se immaginiamo questi luoghi “specchio” rappresentativo della nostra comunità, quello che ne desumiamo induce allo sconforto.
Piazza Cairoli è un luogo rappresentativo della struttura urbana della ricostruzione. E’ il centro commerciale, nodo urbano e “cuore” della città, che segna il passaggio tra la città “storica” e la nuova espansione post terremoto connotata dalla struttura insediativa a “isolati”. E’ uno spazio che necessita, con evidenza, di interventi urgenti e l’urgenza si sa, richiederebbe una pronta soluzione, un immediato riscontro operativo.
Di fronte a questo intollerabile degrado, noi architetti messinesi, con spirito civico, abbiamo interloquito con chi “governa” questa città. Sollecitati a indicare possibili interventi “tampone”, mirati a arginare uno stato di emergenza, abbiamo provato a dare il nostro contributo, condividendo alcune misure da adottare.
Ma in uno “stato di emergenza” queste azioni dovrebbero avere il carattere dell’immediatezza, per rispondere in modo tempestivo a una minaccia reale. Il declino ambientale, lo stato indecoroso in cui versano da tempo piazza Cairoli e gli spazi pubblici di Messina, rappresentano infatti una seria minaccia verso una condizione civile dell’abitare.
NON POSSIAMO ASPETTARE OLTRE. Viviamo da troppo tempo un degrado urbano intollerabile ma ancora tollerato, accentuato da comportamenti incivili di molti che sembrano come assuefarsi a un irreversibile destino.
Non possiamo, da architetti e abitanti di questa città, desistere da una vigorosa azione di contrasto a questo decadimento, attraverso atti e comportamenti indirizzati alla difesa del decoro della città.
Tuttavia crediamo anche si debba superare la logica dell’”urgenza”, gli interventi non possono essere solo quelli “tampone” per la cosiddetta “messa in sicurezza”. Per quanto necessari -quando si faranno- non possiamo come cittadini accontentarci solo di questi.
Tamponata l’emergenza dobbiamo provare a impostare programmi mirati che introducano e favoriscano il ricorso allo strumento del “concorso di idee” per stimolare il confronto e il sugli spazi pubblici ed evitare che Messina ricada in tanti errori compiuti in alcuni interventi di riqualificazione realizzati.
Dobbiamo provare a ”venir fuori” dal presupposto che dovrebbe prevedere quantomeno una condizione dignitosa della nostra città e tentare di immaginare come poter intervenire per ritornare a considerare le nostre piazze lo “specchio” che possa “riflettere” una città da amare.
Possiamo dire che, come architetti in generale, propendiamo verso modalità di intervento che prevedano un atteggiamento avverso al progetto inteso come atto invasivo, interprete di un atto di sfida verso l’ambiente. Prediligiamo un atteggiamento che sappia però esprimere la realtà dei luoghi, senza mimetismi e fraintendimenti. Un atteggiamento favorevole allo “scarto linguistico” quando il tema lo richiede o lo consente, un atteggiamento che sappia sempre essere del “proprio tempo”.
Dobbiamo acquisire quella sensibilità che ci permetta di intendere la città come palinsesto. Un palinsesto aperto a modifiche, integrazioni, sovrapposizioni: è proprio la natura sincronica della città definita attraverso un principio di nessi acausali che la rende un “organismo vivo” e ogni operazione di “ripristino” porta con sé una perdita di valore.
Riconoscere la natura architettonica di uno spazio della città, comprenderne il valore e le potenzialità, darne un “senso”, coglierne l’intima essenza delle forme in relazione allo scorrere della vita, guiderà l’intera comunità a non commettere più errori.
Tutti istintivamente intuiamo, perché inconsciamente recepiamo il carattere di un certo “tipo” di spazio, che piantare alberi in piazza San Pietro a Roma sarebbe “inopportuno”. In modo forse meno intuitivo, dovremmo però anche riuscire a saper valorizzare uno spazio urbano, o sapere dove e come impiantare un giardino, o dare giusto risalto e valore a un monumento, una scultura, una fontana.
“Il medico può seppellire i propri errori, ma un architetto può soltanto suggerire ai propri clienti di piantare dei rampicanti”, sosteneva il leggendario Frank Lloyd Wright. Sosteniamo con vigore che non vorremmo più “piantare rampicanti”, ci impegniamo perché si arrivi ad auspicate trasformazioni solo dopo attente riflessioni da parte dell’intera comunità. In tal senso, ribadiamo il nostro impegno provando a stimolare il dibattito (abbiamo già organizzato un incontro pubblico su questi temi nel dicembre dello scorso anno) e incoraggiamo –lo ripetiamo- il ricorso al concorso di progettazione come un valido strumento per il confronto.
Da queste breve riflessioni sul caso di piazza Cairoli, ma più in generale sulla gestione dello spazio pubblico a Messina, si coglie l’essenza delle questioni aperte su questa città e sul suo territorio.
I problemi da affrontare sono tanti, se riflettiamo si comprende lo sradicamento dal passato come dal futuro di questi luoghi.
Uno sradicamento che, come ha scritto Vincenzo Consolo, ha purtroppo determinato, nella nostra età moderna dopo il sisma del 1908, e -a differenza della prodigiosa invenzione barocca seguita al terremoto della Val di Noto- l’incapacità di volgere “l’orrore in bellezza, l’irrazionale in fantasia creatrice, l’anarchia incontrollabile della natura nella leibniziana illuministica anarchia prestabilita”, e per questo Messina, “pur ricostruita, pur attiva, sembra sempre una città precaria”.
Ma da queste impressioni, se pur vere, intrise di pessimismo, cerchiamo di dare –da architetti “messinesi” un piccolo contributo, per cercare di uscire fuori da quella sgradevole sensazione d’essere continuamente in balia di un “terremoto”. Cerchiamo di superare quelle contingenze che rischiano di trasformarsi in una provvisorietà senza sbocchi.
Crediamo che, nonostante tutto, la città “non dimentichi mai nulla”; riteniamo che un inconscio collettivo presieda a trasmettere o far trasmigrare la memoria urbana, i suoi “luoghi” ed i suoi riti. E’ l’ora di “scendere in piazza” per dare tutti il nostro contributo.
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