– di Corrado Speziale –
L’evento era in cartellone nell’ambito della 102.ma stagione concertistica della Filarmonica Laudamo. Paolo Fresu e Dino Rubino, in duo per la prima volta a Messina, com’era prevedibile, domenica pomeriggio hanno entusiasmato il pubblico che gremiva la platea del Palacultura Antonello. È stata un’esibizione basata su un repertorio di qualità, tra l’altro, con brani tratti da “Ferlinghetti”, album in quartetto del trombettista sardo, appena pubblicato, dedicato al grande poeta americano della beat generation, scomparso nel 2021, e “Tempo di Chet”, progetto di successo, in trio, dedicato a Chet Baker, del 2018, entrambi con etichetta Tŭk Music. Proposti anche standard d’autore, eseguiti magistralmente, molto graditi alla platea, come La Canzone dell’amore perduto e Bésame mucho, arricchiti da un’improvvisazione raffinata e ben articolata. Note leggere, talvolta “sospese” tra jazz e poesia, hanno caratterizzato il pomeriggio domenicale al Palacultura.
“Messina è una città che ci accoglie. Qui ci sentiamo sempre a casa”. Paolo Fresu parla per sé e per Dino Rubino: quando due musicisti di tale valore umano e artistico si esibiscono dinanzi alla platea messinese, le note musicali si fondono con i ricordi e gli affetti in un abbraccio caloroso che produce sempre “effetti speciali”. Circostanza in cui la musica si arricchisce di note e sentimenti che penetrano nel cuore degli appassionati.
Paolo Fresu, alla tromba, flicorno ed effetti & Dino Rubino al pianoforte, erano tanto attesi a Messina per il secondo concerto della 102.ma stagione concertistica della Filarmonica Laudamo, con la nuova direzione artistica di Antonino Cicero.
Com’era prevedibile, i due artisti con la loro esibizione hanno lasciato segni indelebili di qualità musicali destinati a durare nel tempo. Ciò consolida e accresce l’amicizia tra la città dello Stretto e l’amatissimo trombettista sardo, stella internazionale di prima grandezza, che adesso intensifica ulteriormente il suo rapporto con la Sicilia grazie a Dino Rubino, pianista e trombettista originario di Biancavilla, che con Fresu ha ormai instaurato una collaborazione ultradecennale, partecipando a svariati suoi progetti e incidendo per la sua etichetta Tŭk Music.
Note leggere, talvolta “sospese” tra jazz e poesia, proposte dal duo, in questa veste a Messina per la prima volta, hanno caratterizzato il pomeriggio domenicale al Palacultura Antonello, con grande soddisfazione per il pubblico che gremiva la platea, come da tempo non succedeva.
Ad arricchire ulteriormente la qualità del concerto hanno contribuito le luci sul palco, progettate e gestite da Luca Devito, i cui effetti hanno accompagnato piacevolmente tutte le fasi dell’esibizione.
Già nel 2014, a Catania, il duo aveva iniziato il concerto con “Oh, che sarà, che sarà”, di Chico Buarque. Il brano ha subito deliziato la platea con un’armonia straordinaria, dove piano e flicorno si sono accompagnati vicendevolmente in un percorso dolce che ben presto ha preso quota. Dino Rubino riscalda i tasti e i cuori, mentre Paolo Fresu dà fiato e voce ai suoi effetti con la classe che il mondo gli riconosce.
Senza pausa, il pezzo si congiunge con il primo brano dall’ultimo album, “Ferlinghetti”: “I was an american boy”, scritto da Paolo Fresu, emana dal palco in versione ridotta ed “asciutta”, senza il contrabbasso di Marco Bardoscia. Sarà compito di Dino Rubino articolare e ampliare spazi in un dialogo non semplice, ma condotto straordinariamente dal duo con un interplay eccezionale.
Dopodiché, salto indietro di qualche anno: “The silence of your heart”, ballad composta da Dino Rubino per “Tempo di Chet”, già splendida in sé, ascoltarla davanti ai musicisti è un’esperienza unica. Note morbide e atmosfera cool: il pubblico gradisce e lo dimostrano gli applausi.
Sempre a… “Tempo di Chet”, va la lettera “scritta” da Dino Rubino al mitico trombettista di Yale. “Chat with Chet” è tutt’altro che un semplice gioco di parole: sin dalla preparazione il brano si colloca su una eccellente tradizione jazz, tra tecnica ed elaborazione su ritmi elevati. Solo un duo tanto affiatato, con un pianista che conosce magnificamente anche la tromba, può far apparire semplici situazioni altrimenti difficili. Sarà l’applauso più “jazz” della serata…
“Ferlinghetti”, il brano di Paolo Fresu che apre l’omonimo album, è la prima volta che viene eseguito in duo. Tanta poesia avvolge e coinvolge. La dedica al poeta – editore americano, morto a 101 anni, sulla cui biografia Vicentini Orgnani ci ha fatto un film con le musiche di questo progetto di Paolo Fresu, è particolarmente confacente.
Ma la poesia non si ferma qui, perché “La canzone dell’amore perduto”, partendo da De André, attraverso gli strumenti, l’animo e la raffinatezza di questo duo delle meraviglie, vola tanto alto da far pensare che su questo brano mai nessuno sia arrivato a tanto. Sono emozioni che si respirano. Il finale attraversa anche l’oceano sul suono circolare di Fresu: giusto due note di “Oh! Susanna” sono una chicca che incornicia un’opera d’arte straordinaria per trasporto ed intensità.
Tra una parentesi, un inciso jazz e tanto altro, “Bésame mucho”, in un intrecciarsi di sentimenti, passioni, giochi improvvisati e virtuosismi, Paolo Fresu e Dino Rubino accompagneranno la platea verso un finale energico e coinvolgente.
Dopodiché, Dino Rubino, fiero dei suoi trascorsi da boy-scout, che hanno anticipato il suo presente da polistrumentista jazz, vorrà salutare il pubblico col suo consueto titolo di coda: il primo rientro sarà “Il Canto dell’addio”… che non è un addio.
Il duo rientrerà ancora sul palco, invitato dal direttore artistico della Filarmonica, Antonino Cicero, con una perla, una ballata di Marco Bardoscia da ascoltare cento volte: note semplici per non smettere mai d’emozionarsi, composte dal bravissimo contrabbassista per “Ferlinghetti”: “Endless life”.
Vita infinita…Come la musica della serata, come i progetti e le visioni di Paolo Fresu.