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PALCOSCENICI – Scoprire “che cos’è l’amor” tra musica e poesia

 

Se l’arte è catarsi di sentimento, e se definire l’amore è talmente complesso da risultare pressoché impossibile, è anche vero che musica e poesia riescono laddove ogni sforzo sterilmente semantico fallisce.

Allora, anche un piccolo palco può divenire scenario di un’impresa così grande, facendo semplicemente da cornice alle strofe di grandi poeti e agli accordi di una chitarra.

Grazie all’iniziativa dell’associazione gioiosana Officine Lucore e dell’associazione messinese Arknoah è andato in scena, presso l’Auditorium comunale di Gioiosa Marea,  “Che cos’è l’amor”, spettacolo di musica e poesia, di Mario Parlagreco e Ivan Trischitta. Il primo, attore teatrale, ha dato voce ai versi di Prevert, Neruda, Trilussa, Benni; il secondo, cantante e chitarrista, ha interpretato alcuni tra i brani più noti di Fabrizio De Andrè.

Lo spettacolo, articolato in due parti, è stato essenzialmente una descrizione delle mille sfaccettature, e forse più, che compongono questo sentimento così pieno di contraddizioni, talvolta estremo. Ogni sfumatura si è presentata allo spettatore per mezzo della suggestiva commistione tra parole e musica: sul palco hanno preso dunque forma le figure tremanti degli amanti di Prevert con il loro primo amore, i giorni felici ed in totale armonia con la bellezza della natura, cantati da Pablo Neruda e la tristezza dell’abbandono. Dell’amore, si è narrata la natura fortemente contraddittoria, il vacillare dall’emozione dell’innamoramento all’incertezza di una durevolezza futura.

L’amore inteso, quindi, come un Giano bifronte, che mostra da una lato la passionalità violenta, dall’altro l’estrema fragilità, la sicurezza e l’irrisorietà, la felicità e la disperazione. Quest’ultima caratteristica descritta anche in modo tale da suscitare, nello spettatore, il sorriso grazie agli splendidi “quadretti” di vita matrimoniale “fallita” di Trilussa, tra convivenze forzate, frutto dell’avventatezza giovanile, le tanto agognate separazioni, i tradimenti colti in flagranza e le allusioni al confine della misoginia.

Uno spettacolo cui nulla è mancato, nel filo logico che legava versi e musica e che rendeva l’idea dell’eterogeneità ed al contempo della continuità.

Una rappresentazione ben strutturata ed assolutamente originale, variegata quanto variegate sono le emozioni amorose per loro natura impossibili da definire: meglio lasciarsi trascinare, del resto,  nell’andirivieni di un sentimento in  continuo movimento, che si perde e ritrova, che può assumere le vesti più umili così come quelle più sfarzose, che trasforma la notte da una semplice condizione temporale a condizione dell’animo, che sia felice o abbandonato, in fondo, poco importa.

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