PALERMO – Fondazione Federico II – “Rituali del mito” di Enzo Venezia a Palazzo dei Normanni
Cultura

PALERMO – Fondazione Federico II – “Rituali del mito” di Enzo Venezia a Palazzo dei Normanni

Dal 18 dicembre 2010 al 14 gennaio 2011, in Sala Duca di Montalto, la mostra dell’Architetto Enzo Venezia, “Rituali del mito”.
La mostra è visitabile dal lunedì al sabato 8.15 – 17.40; domenica e festivi: 8.15 – 13.00. L’ultimo biglietto sarà emesso 45 minuti prima della chiusura.
Il mito può costituire per ogni siciliano un abito ideologico esistenziale che tende a metastorici vaneggiamenti voluttuosi e voluttuose manifestazioni oniriche di un’ideale aspirazione ad un’eterna immobilità storica.
Dal mito esplorato da Venezia emergono e si attualizzano degli archetipi, che sono delle forme costanti, delle possibilità di rappresentazioni che si ritrovano ripetute sempre e ovunque nelle sue narrazioni figurali. Sono dei principi formali che sembrano prendere avvio da un mitico inizio genetico nel quale ogni evento e ogni fenomeno trae origine; forme da assumere come modello, unità di misura per ogni valutazione, termine di confronto assoluto.
Parlare di archetipi originari, dunque di miti, serve a mettere in luce le pratiche analitiche e congetturali di senso archeologico utilizzate da Venezia nella sua opera. Proprio l’archeologia vede nel mito la proiezione collettiva, poetica, esagerata e affabulante di asciutte e incontrovertibili verità.
Venezia è fautore, attraverso la sua arte, di una rielaborazione perpetua e ossessiva di un’unica storia, ma narrata da molteplici punti di vista. Palermo, con i suoi simboli ed emblemi utilizzati come sineddoche, sono spesso il campo di applicazione privilegiato per compiere introspezioni nei paesaggi della memoria, utilizzando il proprio sentimento di interiorità come parametro di misura di ciò che sta oltre l’immagine apparente delle cose. Il suo rapporto con i luoghi mira alla comprensione e alla decodificazione delle figure che li definiscono, al fine di carpirne il respiro fisiologico. Della città Venezia ne ascolta “savinianamente” il cuore, per comprenderne la sua vera essenza, quel suo profondo carattere “fantasmagorico” conferito dalla magnificenza di un passato mai sopito che affiora attraverso tracce memorabili, scorie di una storia unica in cui diventa difficile distinguere il mito dalla realtà.
La sua opera riflette contenuti che vanno ben al di là dall’ambito puramente formale; contenuti che alludono al modo della mitologia – dall’epica antica alle tradizioni popolari – e al paesaggio antropologico, architettonico e naturale in cui questa si svolge. Tutte le opere partecipano, quindi, ad una sola logica: la ricerca di espressioni formali che proseguano la declinazione del mito.
Sono molti i fattori mitopoietici, trascendenti la mera fattualità, che costituiscono la sfera del suo immaginario. Oggetti e figure, trasformati in icone enigmatiche, popolano complessi scenari narrativi; l’esperienza li ha fissati in forme stabili e ormai quasi immutabili, tanto da poter essere considerati estranei all’iniziale processo formativo che li ha generati. Questi stessi oggetti compongono il variegato vocabolario del repertorio figurale di Enzo Venezia: spesso appaiono martirizzati o assoggettati a processi di erosione e a deflagranti esplosioni, ma esprimono una eccezionale qualità plastica e una straordinaria capacità evocativa.
Più sovente mette assieme repertori di forme diverse generando associazioni curiose: forme geometriche ed organiche assieme, in un medesimo spazio pittorico costituito da oggetti senza affinità apparenti in una dimensione prossima alla trascendenza. Proprio questa compresenza, che è innanzitutto dialettica tra forme, spiega un altro aspetto cruciale del mondo figurativo di Venezia, e cioè il repertorio di forme geometriche, usato per la costruzione di forme naturali.
La trasformazione del linguaggio plastico valorizza proprio la dualità esistente nella sua opera: dualità ed equilibrio tra geometria e natura, tra misura e lirismo, tra ragione e sensualità. Questa bipolarità informa per intero il suo lavoro, esalta l’aspetto creativo, ne costituisce il fattore determinante. La sua intera opera si potrebbe leggere come risultato di un ordine geometrico rigoroso che cela o, al contrario, mostra un’apparente libertà formale.
Venezia organizza il materiale del proprio immaginario poetico nello straordinario modo che conosciamo, e lo utilizza, in genere, per contrasti: contrapponendo morbidezza e plasticità a strutture dure, rigorose ed esatte, frutto di geometrizzazioni assolute.
Le forme vengono sottoposte ad un processo che le razionalizza, le controlla consapevolmente, le trasforma in complesse trame di segni mediante una translitterazione che traduce il reale in un sistema alfabetico di forme geometriche di arrivo assai differente dalla condizione originale, ma a questa connesso da relazioni puramente allusive e simboliche.
Nella visionarietà di Venezia affiorano operazioni intellettuali riconducibili alla sua formazione di architetto. Le sue opere appaiono, infatti, il frutto di intensi processi conoscitivi ed analitici che consentono di separare ciò che nella realtà si presenta come un fenomeno inestricabile, discernendo gli aspetti essenziali o necessari di una cosa rispetto a quelli accidentali; la dimensione temporale appare una contingenza del tutto accantonata.
Evidenti logiche compositive governano le grandi tele come le piccole narrazioni grafiche e rapporti di reciprocità si istituiscono tra linee, forme e colori: il tutto potrebbe apparire come un sapiente gioco di continue scomposizioni e di ricomposizioni.
Venezia tende al raggiungimento di una misura espressiva di carattere sovrapersonale attraverso la risoluzione degli elementi meramente singolari. Da questo punto di vista la sua arte si commisura in maniera diretta con il mito e il suo lavoro consiste nel declinare ininterrottamente, secondo diversi registri, primordiali metafore allusive come quelle che fanno riferimento all’archetipo del labirinto. Quest’ultimo è frequentemente assunto nelle sue rappresentazioni come immagine espressiva di una struttura concettuale analogica di un microuniverso concluso in se stesso, configurazione estrema di una condizione liminare e sublime; un archetipo che associa la razionalità all’ansia della ricerca e di avventura.
I labirinti disegnati da Venezia sono, innanzitutto, geometrie di carattere topologico-combinatorio, nel senso che si fondano su nozioni quali quelle di limite, ordine, continuità, inclusione.  Essi ci riportano al mito del Mediterraneo, a quello delle origini, della ragione primaria, in cui diviene prevalentemente il gioco poetico, l’allegoria del ritmo, e manifestano il desiderio di riscoprire le leggi astratte della bellezza; sono un pretesto immaginario per librarsi nel cielo con le ali di Icaro e ripiombare poi nelle acque omeriche delle peregrinazioni di Ulisse.

Giuseppe Di Benedetto

 

 

 

 

22 Dicembre 2010

Autore:

admin


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