– di Corrado Speziale –
Con il progetto “Oltreoceano” l’orchestra – laboratorio jazz messinese, nonostante le difficoltà oggettive dettate da questo momento storico, si è rivelata un ensemble d’eccellenza, sempre più affiatato, arricchito da varie esperienze, seguendo il percorso della condivisione musicale allo stato puro. Il concerto dello scorso 8 agosto nello spazio del Museo regionale di Messina, nell’ambito della centesima stagione concertistica della Filarmonica Laudamo, per la rassegna “REState al MuMe”, ha evidenziato importanti risultati dovuti al costante esercizio di ricerca e riproposizione delle più importanti “storie” musicali americane del Novecento. Merito innanzitutto del lavoro instancabile e appassionato di Luciano Troja, co-fondatore e coordinatore del gruppo assieme a Filippo Bonaccorso, nonché direttore dell’orchestra, composta da valenti musicisti e musiciste di varie età ed estrazioni, sia classica che jazz.
Cosicché, Monk, Strayhorn, Bernstein e Zindars, raccolti in un lavoro di cinque anni, rivisitati con gli arrangiamenti di Luciano Troja, hanno trovato degli ottimi interpreti in riva allo Stretto. Ogni area dedicata ad ogni singolo compositore è stata introdotta da improvvisazioni che hanno deliziato la platea.
“Pannonica”: mai titolo per un’orchestra-laboratorio di questo genere fu più sensato. L’orchestra jazz – laboratorio, fondata e coordinata da Luciano Troja e Filippo Bonaccorso, ha da poco splendidamente superato i vent’anni di vita, divenendo il più longevo ensemble della città, collocandosi tra le eccellenze messinesi. Quanto all’apprendimento, occorre rimarcare la partecipazione di grandi della musica di stampo internazionale quali Kenny Wheeler e Salvatore Bonafede.Ma il laboratorio è anche parte integrante della Filarmonica Laudamo Creative Orchestra, che negli anni si è arricchita della collaborazione di Richie Beirach, Fred Hersch, Marc Copland, Karl Berger, Ingrid Sertso, l’Instant Composers Pool, Blaise Siwula, R.J. Iacovone, etc.
Della baronessa Pannonica de Koenigswarter, famiglia Rothschild, mitica mecenate e benefattrice dei jazzisti, l’ensemble messinese incarna lo spirito: conoscenza, passione, generosità e indipendenza, soprattutto. Dopodiché, leggerezza e pensiero libero non possono mancare come caratteri fondamentali di chi esercita la musica partendo dal passato con lo sguardo sempre rivolto alla contemporaneità.
L’ultima volta il Pannonica Jazz Workshop in epoca pre-Covid si era esibito in città alla Sala Laudamo il 20 febbraio 2020, quando ebbe come ospite la soprano americana Helene Zindarsian, figlia proprio del grande Earl Zindars, compositore e protagonista di primo piano nella vita artistica del mitico Bill Evans per il quale ha composto fior di brani. Tra Helene e il “Pannonica” messinese, grazie ai continui contatti tenuti da Luciano Troja, ormai esiste un invidiabile rapporto d’amicizia e collaborazione: è stata presente a Messina nei concerti delle ultime tre stagioni. Il pianista messinese, direttore artistico della Filarmonica Laudamo, a Zindars ha dedicato un esclusivo album monografico di piano solo con brani incisi a New York tra il 2006 e il 2009: “At home with Zindars”, un’opera che segna lo speciale coinvolgimento di chi, come Troja, con la famiglia Zindars è proprio “di casa”. Cosicché, le composizioni di Earl Zindars non potevano mancare tra le protagoniste della serata al Museo regionale di Messina, domenica 8 agosto, assieme a quelle di Thelonious Monk, Billy Strayhorn e Leonard Bernstein, dentro una sensazionale antologia del Novecento “Oltreoceano”.
Ma agli appassionati più attenti e curiosi presenti in platea, non è certo sfuggita una frase pronunciata dal palco da Luciano Troja: “Avremmo dovuto realizzare un concerto su Armstrong, ma oggi far provare un ensemble di queste dimensioni non è semplice…” Da qui i ringraziamenti per l’impegno e la collaborazione a Il Cantiere dell’InCanto, condotto da Giovanna La Maestra e Francesca Billè. Quanto, invece, al progetto su Satchmo, in quanto novità mancata, per il momento, l’attendiamo con grande interesse per il prossimo futuro.
Il concerto è stato dedicato a Lelio Giannetto, musicista che vedeva “oltre…”, anima dell’associazione Curva Minore di Palermo, portato via prematuramente dal Covid. A tale dedica, si è aggiunta quella alla signora Margherita, madre del clarinettista dell’orchestra Giuseppe Corpina, deceduta nei giorni a ridosso del concerto. Circostanza affrontata dal figlio con estremo senso del dovere partecipando alle prove, nonostante tutto.
Il gruppo: Luciano Troja, pianoforte e direzione musicale; Giuseppe Corpina, clarinetto; Antonino Cicero, fagotto; Giovanni Randazzo, sax tenore e soprano; Maria Merlino, sax alto & baritono; Erika La Fauci, pianoforte; Deborah Ferraro, arpa; Giancarlo Mazzù, chitarra; Domenico Mazza, basso elettrico; Filippo Bonaccorso, batteria; Federico Saccà, batteria. Arrangiamenti: Luciano Troja. Coordinamento: Filippo Bonaccorso e Luciano Troja.
Nel concerto, ogni area dedicata ad ogni singolo compositore è stata introdotta da improvvisazioni da parte di mini-formazioni di musicisti differenti, che hanno deliziato la platea.
L’inizio è dedicato a Thelonious Monk: “Pannonica”, titolo simbolo, con carisma e qualità indiscusse, è un classico con introduzione improvvisata in maniera corale, avviata dal sax di Maria Merlino. I fiati e il piano di Erika La Fauci si faranno apprezzare per tutto il brano.
Quello che segue apparterrà già alla seconda area dedicata a Billy Strayhorn.
“Isfahan aka Elf”, scritta con Duke Ellington, di cui Strayhorn era una sorta di “organo vitale”, si avvale dell’introduzione con improvvisazione al clarinetto di Giuseppe Corpina, affiancato dal fagotto di Antonino Cicero e dal sax di Giovanni Randazzo. Nel brano si evidenzia la chitarra dello special guest Giancarlo Mazzù e del sax di Giovanni Randazzo. Poi sarà un ottimo jazz animato da buon ritmo e da una vivace strumentazione. La chiusura è un gioco prelibato al baritono di Maria Merlino.
“Day Dream” si mantiene ben distante dalla versione originale del 1968 scritta da Strayhorn per Ellington. Questa presenta un jazz brioso che esalta le qualità dell’ensemble dove risalta l’eccellente chitarra solista di Giancarlo Mazzù.
In “Lush Life”, con Luciano Troja al pianoforte, l’inizio è straordinario: l’America è nel suo cuore e nelle sue corde. Il pezzo, dall’arrangiamento raffinato, si distinguerà, tra l’altro, per il bel duetto con Giovanni Randazzo al sax.
L’introduzione dedicata a Earl Zindars è riservata all’arpa di Deborah Ferraro, alla batteria di Filippo Bonaccorso e al sax di Maria Merlino. L’assolo della prima è avvolgente, di quelli che regalano stupore alla platea. Il sax di Maria Merlino incontra la sonorità di quelle corde come fosse una voce. Poi prende il sopravvento e lo scenario si trasforma. Gli farà seguito il clarinetto raggiunto da tutti gli altri elementi. “Lullaby for Helene” sarà un pezzo soffice e corale. La ninna nanna scritta da papà Zindars per la figlia Helene è emozionante, coinvolgente. È sempre l’arpa a fare la differenza. Dopodiché, si vira su piano, chitarra e basso. Con l’arpa si è iniziato e con l’arpa si finisce: l’epilogo è quello del racconto di un viaggio immaginario, a lieto fine.
“How my heart sings” è stata scritta da Zindars per la moglie Anne, che diede le parole al brano. Si tratta di un incedere leggero e progressivo. Alla fine, un piano intenso, in bella evidenza anticiperà la chiusura con i fiati.
“Leonard Bernstein è stato un rappresentante fondamentale della cultura americana della seconda parte del 900. È stato soprattutto un grande divulgatore”, ha detto il direttore Troja. Ma soprattutto è famoso per la sua West Side Story dalla quale sono tratti i tre brani del repertorio.
Trio dell’introduzione con improvvisazione: Erika La Fauci al pianoforte, Domenico Mazza al basso e Federico Saccà alla batteria. Un piano deciso, dal buon carattere e la batteria con ritmi adeguati prendono bene quota e rivelano intensità espressiva.
In “Tonight”, rivisitazione elaborata della versione originale, si tasta il sapore di Broadway e si evidenzia la fluida chitarra di Mazzù assieme ai fiati in cui spicca il clarino di Giuseppe Corpina.
Sulla stessa linea, “Maria” è un crescendo di piano ben articolato e fiati in un incontro corale. Il brano è sapientemente contaminato anche in modo un po’ eccentrico. Centrale è il ruolo della batteria spazzolata.
“America”, così arrangiato è il brano più completo e articolato dell’ensemble. Colpisce il ritmo creato con tutto ciò che si ha a disposizione. Taglio piacevolissimo, etnico, che ricorda “immagini” che riconducono a Gillespie. In mezzo a dialoghi perfetti Maria Merlino con il suo sax urla e improvvisa sul brano anche in assolo. Così fa anche il bassista Domenico Mazza. È un viaggio collettivo. Bravi tutti.
“Lush Life” sarà il bis di una splendida serata di musica ed amicizia con sguardi e pensieri Oltreoceano, purtroppo spesso guastata da “disturbi sonori” provenienti da qualche circolo privato ubicato lungo il viale della Libertà. Ma questa, purtroppo, non è una novità in queste serate estive, laddove ad esibirsi in certi luoghi è, innanzitutto, la maleducazione.