Il “Tout va” a Taormina, prima, poi, i Teatri, quello di Verdura ed il Politeama a Palermo, quello “Antico” sempre a Taormina hanno visto, da sempre, Paolo Conte, in Sicilia, seguito, dal suo “popolo”.
L’hanno visto evolversi, cambiare, per rimanere sempre Paolo Conte.
Inossidabilmente Paolo Conte.
Venticinque anni, d’aprile, a Palermo quest’artista che nobilita anche il kazoo rendendolo indispensabile nelle sue melodie, passava dalle atmosfere intime e soffuse a quelle “regalate” anche dalla presenza di una grande band e delle voce delle coriste, non semplici animatori sul palco, ma parte vocale importante, erano i tempi di Aquaplano.
Da un Paolo Conte da piano bar, da palco del Tenco di Sanremo, amato dai francesi, si passava ad un Conte, sempre più raffinato, amante del gioco della fonetica e della parola, dai testi più difficili, dalle grande interviste, ma sempre con il fascino di atmosfere fatte di whisky e sigarette, di voce profonda, di sorrisi ironici, di una malcelata timidezza da nascondere dietro una barba non fatta.. quella del “Maestro”.
Paolo Conte, 74 anni compiuti il 6 gennaio, è ora così, anzi è ancora così… lo è sempre stato.
Uno che si piega sulla tastiera, che si arrotola sui ritmi, che sorride e che sembra prendere in giro, con superiorità galattica, il mondo degli “umani”.
Conte, a Messina, sotto la pioggia, è dunque così: poeta, amante dell’enigmistica, pittore, musicista, autore di canzoni, come ama definirsi rispetto ad un più diretto “cantautore”, che celebra “Nelson” il suo cane e che ricorda “Orazio” – il gatto di casa – , in quest’ultima sua grande fatica musicale.
I suoi “sandali” salgono e scendono le note di una scala musicale, con disinvoltura e irriverenza, come Bartali scalava le montagne, ed il suo concerto, (Messina è stata l’unica tappa in Sicilia), regala emozioni e brividi come il susseguirsi di ritmi dell’incedere della scaletta.
Allora nel teatro, al tuo fianco, potrebbe esserci la Minelli di Cabaret, o Ugo Prat con il suo Corte Maltese e la sua lunga corte di sciamani e pirati, ma anche Tex Willer ed i suonatori di milonga, fino a Roberto Benigni innamorato di una ormai arcinota “vieni via con me”.
Conte è stato a Messina ospite della stagione musicale diretta da Lorenzo Genitori, e dopo i due concertri, tutto esaurito, ovvimante, sabato e domenica, c’è spazio anche per un terzo, questo pomeriggio, sempre al Vittorio Emanuele.
Un concerto, lungo – due ore – e tutti i brani, hanno messo in evidenza dello spessore artistico della formidabile band, che accompagnava l’avvocato di Asti, composta dai maestri: Daniele Di Gregorio, Luca Enipeo, Nunzio Barbieri, Lucio Caliendo, Claudio Chiara, Daniele Dall’Omo, Massimo Pitzianti, Piergiorgio Rosso, Jino Touche e Luca Velotti .
Spulciando la scaletta
All’inizio Conte esegue “Cuanta pasion”, ricordando che il morbido sbandare delle donne arriva da vulcani antichi e dalle onde del mare. Poi, al pianoforte, mentre il sax-tenore la faceva da padrone, ha intonato “Sotto le stelle del jazz”, in cui non si capisce il motivo perche le donne odiano il jazz, che regala anche emozioni vicine a Jerry Roll Morton e a Duke Ellington.
Poi, in uno spettacolo che è davvero antologico c’è “Nina” in cui la luna è splendore del cuore e “L’orchestrina” abitata da un’odalisca che si sta spogliando da un’ora e poi una volta nuda muove i fianchi in qua e il là.
Le tre chitarre al centro del palco intonano anche “Comedie”, d’un jour e da ta vie, con l’apporto ancora del sax ed un violino “a brivido” come suggerisce Egle ( la mogli di Paolo Conte).
Ancora Conte è alle prese poi con una verde “Milonga” – per suonare ed amare e di nascosto a danzare – e di “Wanda” ( oltre trent’anni d’età ha questa canzone) – dalla faccia seria e gli occhi sorridenti-.
Nel concerto messinese ancora brani tratti da “Psiche” ed infine “Dancing” , per chi crede che la rumba sia l’allegria del tango e un’imparregiabile “Max” completano un concerto davvero unico…..