“Ci si perde per anni, com’è stato con il chitarrista cagliaritano Bebo Ferra, e poi ci si rincontra e si decide di mettere su un gruppo assieme a Paolino Dalla Porta e Stefano Bagnoli, come quello dei Devil che oggi viaggia per i palcoscenici del mondo. In musica le cose non basta volerle.
Devono capitare.” Sono parole che rendono perfettamente l’idea del rapporto umano ed artistico tra Paolo Fresu e Bebo Ferra, quelle incise a pag. 121 di “Musica dentro” (Ediz. Feltrinelli, 2009), bellissimo libro autobiografico del trombettista di Berchidda, un’opera appassionante in cui il jazz associa e asseconda i più autentici valori della vita. Ed è proprio dall’unione di questi ultimi con l’impegno ed il talento che si costruisce la straordinaria intesa tra i due musicisti, sardi entrambi, amici e protagonisti indiscussi del jazz contemporaneo.
La strepitosa esibizione di questo fantastico duo, sabato a domenica scorsi, al Brass Jazz Club “La Cartiera” di Catania, resterà sicuramente nella mente e nella storia di chi ha avuto la fortuna e l’abilità di assicurarsi per tempo un posticino nel locale del centro storico della città etnea, ottimamente gestito da Renato Lombardo, art director ed “anima” dell’evento, curato dal Brass Group. E non finisce qui, perché domenica prossima è prevista l’esibizione di un altro importante duo, stavolta siciliano: Francesco Cafiso e Dino Rubino.
E andiamo alla performance di sabato. Bebo Ferra, chitarrista cagliaritano, classe 1962, nella sua carriera ha collaborato con diversi artisti italiani e stranieri, anche d’oltreoceano, di grande fama, e vanta delle importanti incisioni, due delle quali, bellissime, di chiara ispirazione etnica, con il sassofonista Javier Girotto: “Mari Pintau” (Egea, 2003) e “Kaleidoscopic Arabesque” (Dasè Sound Lab & Accademia del Suono/Egea, 2011).
E’ il chitarrista del “Devil quartet”, una delle formazioni di Paolo Fresu più attive in circolazione, ed è anche molto conosciuto per la sua attività didattica: insegna chitarra jazz all’Accademia del Suono ed al Conservatorio “G.Verdi” di Milano.
Presentare Paolo Fresu, alla luce delle sue ormai infinite produzioni, impegni ed attività, nel segno di un’eccellenza artistica che lo fa svettare in cima al mondo, diventa un’impresa sempre più ardua. Ci limitiamo, allora, a citare il suo ultimissimo lavoro, fresco di produzione: “Birth Of The Cool”, prodotto e distribuito dalla rivista Musica Jazz con il numero di Marzo.
Nessuno meglio di lui, “davisiano” universalmente riconosciuto, dopo aver trascritto e ripreso alla grande in due distinti progetti “Porgy & Bess” di Gershwin dall’originale storica interpretazione del 1958 di Miles Davis e Gil Evans, avrebbe potuto ripetere l’impresa, rivisitando, stavolta, un altro capolavoro del mitico trombettista dell’Illinois: “Birth Of The Cool”, appunto, un’antologia musicale, pietra miliare del cool jazz. E c’è da dire che anche stavolta, come allora, Paolo Fresu ha lavorato assieme ai musicisti dell’Orchestra jazz della Sardegna, diretta da G.A. Frassetto. Un’ottima operazione, destinata anch’essa ad essere proposta nei palcoscenici che contano. Non a caso Fresu, a stretto giro, ha già incassato l’apprezzamento sincero ed appassionato di Carla Bley e Steve Swallow.
L’esibizione catanese ha più volte dimostrato di articolarsi al di fuori da scalette e stereotipi su cui si basano in genere i concerti, poiché il contesto offriva situazioni di grande familiarità e contiguità tra i musicisti ed il pubblico. Improvvisazioni, quindi, espresse nella forma delle jam session per eccellenza, durante e a margine dei brani, hanno contraddistinto gran parte degli stessi, più delle volte estratti dal loro repertorio all’ultimo istante, interagendo con la sala ed assecondando un criterio dettato anche dal calore e dallo stato d’animo generale.
Non occorreva impegnarsi più di tanto per scorgere tra i due musicisti un interplay a dir poco perfetto, generato dalla loro profonda conoscenza reciproca. I loro semplici sguardi, le informazioni ed i segnali che si lanciavano a vicenda, costituivano un tutt’uno con le note ed i tempi musicali. Le straordinarie, genuine, qualità di entrambi ne esaltavano, poi, il prodotto artistico fatto di forme condivise, raggiunte sulla base di un comune background culturale.
“Metafisica per le scimmie”, brano suonato per la prima volta dal vivo da Paolo Fresu, ha aperto la serata. La griffe è di Bebo Ferra, ma il brano è stato scritto, a quattro mani, da entrambi. Il valore del pezzo lo determina la sua collocazione: si tratta della colonna sonora di “Il mio domani”, film di Marina Spada, con protagonista Claudia Gerini, nelle sale da qualche mese, che lo scorso autunno ha concorso al Festival del Film di Roma.
“Bye Bye Blackbird”, classico americano degli anni ’20, è stato riproposto in chiave molto tecnica e vivace, con sprazzi in cui si evidenziavano anche aspetti “cool”, nel solco della tradizione.
“E se domani”, classico per eccellenza della canzone nostrana, è diventato ormai un piatto fisso del menù di tanti jazzisti. Ma tra questi Paolo Fresu merita un discorso a parte: l’atmosfera unica creata dal suo flicorno, unita alle sonorità nette e pulite della chitarra di Bebo Ferra, hanno reso davvero grande l’interpretazione del brano portato a suo tempo al successo da Mina.
La stessa cosa si può ben dire per “My Funny Valentine”, altro classico, ma d’oltreoceano, in cui Fresu si colloca tra i suoi due grandi storici “maestri”, Miles Davis e Chet Baker, ma è solo un’istintiva interpretazione dell’ascoltatore, poiché l’impronta del fuoriclasse sardo si manifesta in tutta la sua essenza.
“Giovedì”, bellissima ballata dai contenuti intensi e suggestivi composta da Bebo Ferra per i Devil, ha aperto la seconda parte della serata, dopo che la prima si era chiusa nel segno di altri classici jazz, in cui il chitarrista ed il trombettista avevano esaltato le loro capacità spaziando tra storia e modernità con classe ed energia.
Un lungo preludio d’effetti musicali, che hanno acceso l’immaginazione degli appassionati in sala, ha aperto “Estate”, di Bruno Martino, standard tra i più gettonati nel mondo del jazz.
Con “Elogio del discanto” siamo nel Paolo Fresu contraddistintosi anni addietro per la sua ricerca e rivisitazione in chiave jazz della musica barocca. Veloce, ben articolata e variegata, intrisa di virtuosismi di Ferra ed improvvisazioni che spaziavano liberamente verso la fusion, è stata la versione proposta in questa occasione.
“Ho appreso questo pezzo da un grande arrangiatore, Giulio Libano, che ha scritto buona parte della musica italiana dagli anni ’50 ad oggi”, dice Paolo Fresu presentando “Chet sings and plays”, proveniente, ovviamente, dal repertorio di Chet Baker. In questa, come in altre precedenti occasioni, il trombettista ha voluto premiare l’arte e la professionalità di chi ha lavorato per tanti anni nel silenzio, senza aver mai ottenuto la meritata ribalta.
Gli accenti forti e ben cadenzati di “Qualche anno dopo”, scritta per i Devil sempre da Bebo Ferra, che con la sua Gibson ha regalato davvero emozioni a non finire a tutti gli appassionati presenti, ha chiuso il concerto prima del rientro del duo per il gran finale.
“Fellini”, splendida ballad di sedici battute ispirata al regista riminese, composta da Paolo Fresu addirittura in treno tra Firenze e Bologna, appena appresa la notizia della sua scomparsa, nel 1993, è stato il primo dei due brani di chiusura. Quantunque sia un pezzo ricorrente nei concerti del musicista di Berchidda, anche stavolta la magica atmosfera provocata dall’armonia del brano ha avvolto la platea.
Su richiesta di una fan seduta ad un tavolo, Paolo Fresu e Bebo Ferra, come ultimo regalo dell’indimenticabile serata, hanno suonato “Summertime”. Per descrivere la qualità dell’interpretazione del mitico brano di Gershwin, tra l’altro rivisitato in chiave elettrica, esteso magnificamente e a tratti ben trasfigurato, è sufficiente ricordare che appartiene a quella “Porgy & Bess” sulla quale il trombettista sardo che il mondo ci invidia ha realizzato uno dei suoi progetti più importanti e vincenti.