Pensieri e riflessione di una giovane elettrice di Potere al Popolo
Il voto è un paradosso applicato perché è valido sempre ma sembra avere valore soltanto in funzione del numero: come le proprietà colligative studiate una volta a scuola, cambia il suo effetto in base alla quantità e allora ecco che tutti si spendono per convincere al voto utile, al voto che permette di fare, di attuare il programma o, al contrario, sembra altre volte avere valore soltanto perché residuale, di protesta, argine al malgoverno, simbolico.
Il tanto e il poco lo avvalorano mentre ne sfugge la sostanza.
Un voto che più che utile sia piacevole, sia espressione di sé, della propria generazione, dei propri bisogni, delle proprie fragilità?
Ecco, io ho sempre condiviso i miei propositi di voto nella speranza di testimoniare con la mia persona la bontà di una scelta, specie se spesso bistrattata dai media e osteggiata dalla “vecchia politica”.
Oggi sono convinta di votare Potere al Popolo non perché sia una forza “perfetta” o in prospettiva governativa, ma perché si tratta di un soggetto politico che incarna ciò che è per me propriamente “fare politica”.
I punti di un programma si possono più o meno condividere e vi dico per esperienza personale che quando lo si compila, l’entusiasmo spesso detta visioni e prospettive ardite difficilmente realizzabili, ma ciò che non si può dissimulare, ciò che non può essere patina retorica nella costruzione di una promessa elettorale, è la pratica partecipativa, la rete assembleare, l’attivismo dei beni comuni, il mutualismo fra ultimi.
Ecco, questa è per me l’essenza dell’agorà e mi piace pensare che un popolo di precari, di insegnanti sfruttati, di studenti derubati, di immigrati che parlano il dialetto e non dimenticano la propria lingua, di pensionati truffati siano il fiume che rompe gli argini della rappresentanza ed entra nelle istituzioni combattendo il neoliberismo, la corruzione e le grandi e piccole speculazioni che hanno impoverito culturalmente e umanamente un paese bellissimo.
Io domenica farò un voto “bello”, come sono belli i resti archeologici sotto cubature di cemento negli angoli più impensabili delle nostre città.
Il 5 marzo sarà un giorno triste perché vinceranno destre e destrorsi, continuando a svendere le vite delle e dei lavoratrici/tori, ma sarà anche un giorno bello se riusciremo a costituire il fiume, la rete, la marea degli ultimi.
Gramsci diceva di organizzarci e studiare perché sarebbe servita tutta la nostra intelligenza.
E questo è il presupposto perché il 5 marzo non sia giorno di sconfitta ma di mobilitazione, lotta, attivismo, riscoperta di solidarietà, umanità.
Il mio voto è bello…”come una rondine che nidifica sotto la grondaia di un carcere in demolizione” (Benjamin Péret)