IL LIBRO NERO. IL RACCONTO DI PATTI, TRA FATTI E RICORDI SCRITTO DA ENZO RUSSO, – la seconda pubblicazione – . UNA STORIA CHE PARTE DAGLI ANNI SESSANTA. LA STIAMO PUBBLICANDO IN PIU EPISODI UTILIZZANDO LE FOTO CONCESSE DA DARIO LAGUIDARA.
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Sia la libreria dello zio Tano che il Bar avevano anche un’uscita sul retro che dava in una grande piazzetta con una statua della Madonnina al centro. Con il bar finiva la via Regina Elena che si immetteva nella Via Verdi anch’essa molto breve. Se si girava a sinistra la strada era in discesa e costeggiando il lato superiore del bar arrivava fino alla grande Via XX Settembre. Come detto subito dopo il lato superiore del bar si apriva la piazzetta della Madonnina che si chiamerebbe Piazza Sturzo, ma che tutti conoscevano come “Piazzetta Nasonti”, dal soprannome di una famiglia che ci abitava. Nell’angolo opposto tra la Via XX settembre e l’inizio della Via Verdi c’era il negozio di stoffe di mia zia Maria, sorella di mia nonna, sposata con lo zio Nello che teneva una stupenda lunga bianchina verde con gli intarsi esterni in legno e il portellone posteriore sempre posteggiata nella piazzetta e dalla quale dovevamo tenerci ben lontani se giocavamo a pallavolo o a palla prigioniera per non scatenare le sue ire. Quando il pomeriggio andavo in piazzetta, spesso passando dall’interno del bar Galante, dovevo dire a mia zia Maria che ero lì e che la mamma le mandava a dire di guardarmi di tanto in tanto.
Al centro della via Verdi, dove si immetteva la mia via c’era l’antico bazar del sig. Romeo, gestito dal nipote e dalla sua affascinante moglie Elena, che al tempo mi sembrava un luogo immenso e che oggi, rimasto un vecchio magazzino abbandonato, mi fa sorridere per le sue piccole dimensioni. Era sempre strapieno con oggetti appesi ovunque e negli scaffali laterali era ammassata qualsiasi tipo di mercanzia che si cercasse. All’interno c’era un lungo bancone e alcune biciclette, che tutti sognavamo, pendevano dal soffitto dove erano assicurate con dei ganci e altre ancora venivano esposte davanti alla porta sempre appese nella parte alta. Ne ricevetti una in regalo proprio nel Natale del 1966. Salendo sulla sinistra, dopo il bazar, c’era una piccola bottega di alimentari del sig. Micale che teneva di fronte alla porta due enormi sacchi di legumi che prendeva con una pala di acciaio aperta a metà, li metteva in un sacchetto di carta e poi li pesava dentro una antica e bellissima bilancia con due grandi piatti di rame e immancabilmente diceva: “bonu, vinniru vinti grammi chiussai ma non ci faci nenti”. Il sig. Micale aveva un figlio, “Pitrittu” che lavorava con lui nel negozio e che è stato senza ombra di dubbio il più accanito e fedele tifoso che la Juventus abbia mai avuto in tutta Italia. Quell’anno “Pitrittu” era triste perché il grande Omar Sivori aveva lasciato la Juve per andare a giocare nel Napoli, ma da lì a pochi anni sarebbe arrivato in squadra a riempire il suo cuore e quello di mezza Italia il nostro “Petru” Anastasi e “Pitrittu” Micale lo avrebbe amato di un sincero amore e con devozione per tutto il resto della sua vita.
Sul lato opposto, dove la strada curvava leggermente c’era il tabacchino di mia cugina Damiana, figlia del mitico “miscala ca passa Puglisi”, sposata con Natale che era una guardia carceraria. Damiana era figlia di un’altra sorella di mia nonna che era già morta quando io ero piccolo. Naturalmente quando andavo nella Piazza dove finiva la breve Via Verdi dovevo passare da lei e dirle che mia madre chiedeva per favore di controllarmi. A volte quando mia madre, insegnante, doveva uscire o andava a studiare da una sua amica per il concorso a cattedra di matematica, mi mandava da mia cugina e io dovevo dirle se per cortesia mi dava “deci liri di ‘ntrattenimentu”, che consisteva nel rimanere dentro il tabacchino magari a fare qualche compito o a giocare con delle macchinine e alla fine del “’ntrattenimentu” mi venivano date le dieci lire che io andavo subito a spendere al biliardino o al ping-pong della sala parrocchiale. Accanto al tabacchino vi era la tipografia Panta, una delle attività commerciali più importanti del mio paese che aveva ben tre porte sulla via e almeno dieci stanze sul retro e anche un ampio ammezzato, dove era possibile trovare tutto quello che avesse a che fare con gli uffici, la scuola, e qualsiasi tipo di stampa. Dentro c’era un odore particolare che ti avvolgeva appena entrato, misto tra quello del legno, dell’inchiostro, della carta e del grasso delle macchine da stampa. I proprietari erano due vecchietti gentilissimi e i figli erano amici intimi dei miei genitori, cresciuti insieme a mio padre e dei quali uno era suo compare in quanto ne aveva battezzato il figlio mio coetaneo. Li chiamavo zii e pensavo che davvero i loro figli fossero miei cugini.
La via finiva e si apriva nella grande piazza di San Nicola di forma rettangolare, detta “u chianu di Santa Nicola”, vero cuore pulsante del nostro stupendo centro storico, con al centro una antica fontana e su due lati vi erano una miriade di attività commerciali. La grande Chiesa si trova subito sulla sinistra entrando da Via Verdi e accanto alla chiesa c’era la sala parrocchiale dove sono cresciute intere generazioni del mio paese. Sul lato destro della piazza nasceva la via Roma pavimentata ancora oggi con delle stupende basole di pietra di Mirto che era il vero centro della città con numerosi negozi di abbigliamento, primo fra tutti quello di mio zio Angelino, altro fratello di mia nonna e commerciante anche lui come quasi tutti nella famiglia poiché la mia bisnonna aveva tenuto un antico negozio di tessuti. Poi vi erano una storica oreficeria, un’edicola, la Farmacia del Dr. Gugliotta con vasi e scaffali antichissimi, il salone del barbiere, un negozio di elettrodomestici, il banco del gioco del lotto sempre affollatissimo, un negozio di giocattoli, e tanto altro ancora. Il barbiere era anche il posto di tortura dove ogni tanto mio padre mi mandava e dove nacquero le mie prime pulsioni sessuali guardando i piccoli calendarietti tascabili, impregnati di acqua di colonia dall’odore disgustoso, dove donne seminude mi sorridevano ammiccanti e che venivano dati come omaggio ai clienti ogni inizio anno. C’era sempre tanto da aspettare e ci sostavano anche tanti uomini che non dovevano fare alcun servizio ma si intrattenevano a parlare di calcio e, soprattutto, di donne. Il negozio aveva una grande vetrata che dava sulla Via Roma e ad ogni donna che passava era riservato un commento seguito da una serie di risate. Avevo una zia bellissima e quando capitava che lei passasse, sempre elegante, con i tacchi e con solo le caviglie visibili, si faceva silenzio assoluto. Un pomeriggio un signore con i baffetti che stava sempre nel salone con il cappello e la sigaretta in bocca, rompendo il momento di attenzione e di pensieri proibiti che si era venuto a creare al passaggio di mia zia, disse ad alta voce che l’avrebbe morsa e leccata tutta dalla testa ai piedi e subito dopo tutti a si sganasciarono dalle risate. Io da allora pensai sempre a mia zia come qualcosa di dolce, come lo zucchero filato delle feste, da mordicchiare e leccare.
“Nto chianu di Santa Nicola” si svolgeva la parte più importante della vita di tutta la città e un giorno la settimana si teneva il variopinto mercato degli ambulanti. C’era il negozio di Don Liu Siminzaru, vero paradiso dei bambini, dove compravamo tutti i giocattoli, i palloni e soprattutto le bustine della Panini per le varie raccolte, con in testa quella delle figurine dei calciatori, delle quali poi ci scambiavamo i doppioni con un’intensa attività o ce le giocavamo al tocco, al muretto, al soffio, alle “ciappe”, a pozzetto o in altri mille modi. Sul lato alto della piazza, prima dell’ingresso in Via Roma, c’era il negozio di abbigliamento del compare Cavaliere Greco che elegantissimo in vestito scuro e cravatta sostava spesso davanti la porta, sempre sorridente e benevolo con tutti e con me in particolare. Era compare di mio padre che i suoi figli chiamavano “patrozzu”. A fianco del suo negozio una scalinata portava alla più alta piazzetta Greco al tempo chiamata “du piscistuccaru” per la bottega dello stoccafisso che la inondava di un odore, per non dire puzza, molto intenso.
continua 2
da leggere il primo episodio