Intervista realizzata da Giulia Quaranta Provenzano
Oggi la nostra collaboratrice Giulia Quaranta Provenzano – anche songwriter e fotografa d’arte nonché attrice caratterista e ideatrice dei pattern di un brand d’abbigliamento – ci propone un focus sul cantante Fracasso, all’anagrafe Cristian Andrea Rado. Al momento il giovane biellese si trova impegnato a replicare ai messaggi privati e social inviategli dall’avvocato e star del web Andrea Diprè…
Ciao e ben ritrovato! Ti chiedo subito, se dovessi descrivere metaforicamente la tua vita, quale colore e quale canzone assoceresti rispettivamente a ciascuno dei periodi più significativi che hai attraversato finora e a questo tuo attuale. “Ciao Giulia! Il bianco, oltre a essere il mio colore preferito, è il colore che mi rappresenta. Ho anche la casa completamente bianca in quanto, appunto il bianco, sta bene con tutto e mi trasmette positività… un po’ come la luce del sole. Lo associo inoltre a ogni periodo della mia vita perché persino quelli negativi, dopo un po’ di tempo, passano e dopo il buio c’è sempre stata e c’è la luce che ricollego proprio al bianco”.
Nella nostra prima chiacchierata mi hai spiegato che hai cominciato a fare musica all’età di 13 anni, poco dopo aver visto un video di Fedez su YouTube. Mi sorge dunque spontaneo domandarti di quale video si tratta e che cosa ti colpì a tal punto da innescare – citandoti – la tua voglia di rivalsa. “Il video in questione era ANTHEM PT.1 [clicca qui https://youtu.be/MuNg_WBre7I]. Vidi Federico che, con tanta rabbia, si sfogava contro lo Stato e che cercava di rappresentare i giovani perché voleva una sua rivalsa in primis e poi anche una rivalsa generazionale. Ne rimasi estasiato, quindi provai – da ragazzino immaturo qual ero – a emularlo. Col passare del tempo però quel mio gioco è diventato un lavoro e ora non voglio più essere il nuovo Fedez bensì, prima di tutto, me stesso”.
Hai affermato di aver vissuto male la scuola, perché eri diverso dai tuoi coetanei. Tu, infatti, già da bambino pensavi al tuo futuro professionale e a concretizzare i tuoi sogni. Come cioè te la immaginavi la tua quotidianità di adulto e, ad esempio, codesta diversità d’approccio all’esistenza rispetto ai tuoi compagni di classe – piuttosto che una condizione economica differente rispetto ad alcune famiglie ricche e benestanti – ha fatto sì che tu sia stato bullizzato? “Durante gli anni della scuola superiore e cioè quando ho iniziato a fare musica, di colpo, i miei compagni di classe hanno iniziato a vedermi come una persona inferiore… per loro ero solo un povero illuso, che credeva in qualcosa d’impossibile. Probabilmente non sono stato oggetto del medesimo bullismo che si vede in molti film però le battute, le prese in giro e l’essere completamente isolato da tutti l’ho vissuto e ciò ha fatto sì che io mi sentissi inutile e davvero inferiore. Per me anche la tale è una forma di bullismo e sinceramente, per la persona che sono, non penso e non ho mai pensato di meritarmi nulla di simile”.
Una delle cose che mi è rimasta più impressa di quello che mi hai raccontato è il fatto che, da bimbo, tu abbia dovuto utilizzare una cartella usata con disegnato sopra Winnie the Pooh, mentre avresti tanto voluto quella di Dragon Ball che era il tuo cartone animato preferito. Ciò, come tu stesso hai dichiarato, ha contribuito ad alimentare il tuo fuoco in direzione d’un riscatto personale quale maschio e quale cittadino e pertanto ti domando perché hai scelto proprio la musica come canale di elevazione sociale e non solo. “Ho scelto la musica come mio canale di elevazione sociale e non soltanto sociale perché sentii che in ciò avevo possibilità di riuscita, ossia con tutta probabilità potevo essere e dimostrarmi bravo musicalmente parlando, anche se non avevo alcuna nozione a riguardo della suddetta materia. Nello sport facevo cagare e a scuola idem… In generale qualsiasi cosa facessi la facevo male e non solo perché non m’impegnavo, ma in quanto proprio faticavo a portare a casa risultati concreti quale che fosse il campo d’applicazione da me intrapreso. Mi serviva una direzione, un qualcosa in cui credere. La musica è arrivata per caso, è stata un flash nella mia testa. Ci ho messo due secondi per sceglierla e subito mi sono detto <<Ok, d’ora in poi sarò questo! Persino a costo di sembrare un pagliaccio, io sarò un cantante>> [clicca qui https://instagram.com/officialfracasso?igshid=MTIyMzRjYmRlZg==]”.
Dopo la tua collaborazione con Filippo Marco Bologni, che ha portato al rilascio – nel 2016 – del singolo intitolato “FINO ALLA FINE”, cos’è cambiato dentro di te e per ciò che concerne il tuo modus operandi nel fare musica? Sei un autodidatta, o hai preso lezioni di canto e di scrittura creativa? “Dal 2016 fino a oggi, non è cambiato nulla dentro di me e nemmeno per quello che concerne il mio modus operandi nel fare musica però – sotto parecchi punti di vista – sono cresciuto molto e ho anche appreso tantissimo. Ho imparato ovvero a conoscere cos’è e come funziona il mondo dello spettacolo e, di conseguenza, ho capito come lavorare all’interno d’esso. Sono un autodidatta, non ho mai preso alcuna lezione di alcunché ahahah”.
So che non sei un appassionato di equitazione, nonostante il tuo aver collaborato con il sopracitato Filippo Marco Bologni. Quando tuttavia ti capita di ricevere offerte lavorative inedite e decidi di affrontare un argomento di cui non ti sei mai informato, come procedi nel tentare di immedesimarti in cosa/chi devi rappresentare? “Semplicemente mi lascio trasportare dai miei pensieri. Nel caso dell’equitazione, ho provato a immedesimarmi in Filippo e ho scritto quello che mi veniva sul momento”.
Quale aspetto ami particolarmente dell’atmosfera che si viene a creare ai concerti, piuttosto che alle partite di calcio e di basket? E, dal tuo punto di vista, come mai l’arte – citandoti nuovamente – riesce ad aiutare i giovani che prendono una strada sbagliata ed escono di carreggiata a tornarvi? “Durante le partite di calcio e di basket, mi piace l’atmosfera che si crea ossia mi piace vedere che la gente mette letteralmente in campo il cuore per la propria squadra. Penso che, questo, sia un bel modo per provare delle belle emozioni. L’arte, come lo sport e come qualsiasi altro sogno che una persona in generale ha, porta i giovani sulla giusta carreggiata e – se ci si crede davvero e ci si concentra – non si possono non ottenere dei risultati concreti… tutto ciò allontana dalle cose negative che si stavano facendo precedentemente o che si sarebbero potute fare ed ecco perché bisogna indirizzare innanzitutto i giovani su simili strade e insegnare loro a sognare”.
C’è chi sostiene che le opere d’arte che trovano seguito in fruitori e compratori siano, più facilmente e soprattutto per la maggiore, quelle che trasmettono serenità e armonia. Tu sei d’accordo ossia, esemplificando, appenderesti mai in casa tua un quadro dalle tinte cupe e che induce a riflessioni cosiddette pesanti e persino di acre denuncia o con soggetti cruenti e vessati? “Sono d’accordissimo con quello che hai riferito infatti, a casa mia, ho i muri e tutto l’arredamento bianco. Credo che i colori condizionino il nostro pensiero, soprattutto nei momenti di cosiddetto down. Non appenderei mai un’opera dalle tinte cupe e di acre denuncia o con soggetti cruenti nella mia abitazione, così come non dipingerei mai le pareti con toni scuri e ciò anche se oggi è invece qualcosa di molto frequente vedere tale pittura”.
Hai ammesso: “Penso di possedere una grande poliedricità artistica. Io passo letteralmente dal pop al rap, dal pezzo dance a quello per Sanremo. Non mi do limiti. Amo sperimentare, sentirmi sempre diverso e non avere etichette”. Da cosa e da quale occorso hai idea che si sia originata e derivi questa tua capacità di muoverti in molteplici e multiformi campi e la tua predilezione nei confronti della sperimentazione? E come mai – riportando le tue parole – il Festival di Sanremo, ogni anno, è sempre la solita solfa? “Quando ho iniziato a fare musica ascoltavo Fedez, lui passava dal pop al rap e viceversa. Ho dunque cominciato anch’io a sperimentare molto e immediatamente mi ci sono trovato bene… da qui deriva la mia poliedricità. Il Festival di Sanremo – a mio avviso – è ogni anno la solita solfa perché vi hanno sempre luogo i soliti discorsi, vengono immancabilmente presentate le solite canzoni che provocano e vi si verificano i soliti scandali. Per adesso tale contesto sanremese lo vedo ancora molto lontano dalla mia persona però certo, nonostante ciò, se potessi parteciparvi come artista ne sarei felice”.
Cos’è, dei talent, che ti annoia e perché il tuo percorso preferisci farlo da solo sino a che non sarai più un artista emergente? Inoltre, per quale specifica ragione ambisci a diventare pure un opinionista, un giudice, un attore tant’è che curi l’immagine ma non pianifichi una tabella di marcia in tal senso e reputi che la progettualità non sia un aspetto rilevante? “I talent mi annoiano nella veste di artista, ma non come spettatore, poiché lì non sei libero di fare quello che vuoi… mentre sui social sì. In rete ti costruisci il tuo personaggio e decidi tu il tuo viaggio, a costo però di non avere una vetrina tanto ampia come quella che invece fornirebbe la tv. Vorrei fare televisione semplicemente perché mi piace, è un’esperienza che un giorno vorrei appunto fare”.
Il 21 aprile è uscito il tuo nuovo singolo dal titolo “LA FINE” [clicca qui https://youtu.be/oxnF5jvYNtk], in cui c’è parecchia autobiograficità… al punto che, nella seconda strofa, descrivi la ragazza con la quale sei uscito la scorsa estate. Nonostante la canzone sia nata per sfogarti, visto che – successivamente a un vostro bacio – la lei in questione è sparita dalla tua vita, il pezzo non è un dissing… come mai e come ce l’hai fatta a non far prevalere la rabbia? “Non so perché sia sparita, comunque ammetto che all’inizio mi sono incazzato molto per questo suo comportamento nei miei confronti. Dopodiché, però, ho deciso di usare la rabbia per fare qualcosa di bello e così effettivamente è stato. Secondo me, proprio la rabbia bisogna incanalarla nel modo giusto e utilizzarla per compiere qualcosa di utile per se stessi… altrimenti essa ci rovina solamente. Mi chiedo sempre, visto che appunto la rabbia crea una grande energia dentro di noi, perché non adoperarla per realizzare qualcosa di più costruttivo e appagante rispetto al logorarsi”.
Tu t’immaginavi una relazione stabile e non superficiale con la ragazza che è protagonista del tuo singolo “LA FINE”. Hai dichiarato tuttavia che eravate troppo diversi poiché tu sei una persona seria, determinata, che pensa a concretizzare i propri obiettivi mentre lei era completamente l’opposto di te e le interessava soltanto fare festa e divertirsi. Per stare (bene) insieme al/la proprio/a partner, secondo te, è necessario e imprescindibile avere gli stessi valori e interessi e anche voler percorrere la medesima strada lavorativa o ognuna delle parti coinvolte può avere un approccio diverso all’esistenza e pure nutrire il piacere di muoversi e occuparsi di ambiti professionali differenti? “Io penso – data la mia esperienza – che per una relazione seria, per forza di cose, le persone che poi vanno a costituire una coppia debbano avere uno stile di vita simile. Nella mia vita, faccio determinate scelte e prendo talune decisioni piuttosto che altre perché il mondo dello spettacolo me le impone. Una ragazza che ha un lavoro normalissimo queste scelte, non essendo dentro al mio medesimo ambito professionale, probabilmente non le capirebbe e quindi inizierebbero le litigate e le incomprensioni… ed ecco che, stante ciò, dopo un po’ inevitabilmente l’amore finirebbe”.
Hai evidenziato che reputi di poter dire di amare solamente dopo tanto tempo che frequenti una persona, perché se senti quel senso di affetto costante – nonostante sia finita l’attrazione fisica – allora sei certo di provare davvero amore. Non a caso hai sottolineato che, per quello che ti concerne, l’amore non è semplicemente attrazione fisica bensì è un sentimento profondo che si avvicina molto all’amicizia ed è tuttavia diecimila volte più potente e intenso. Se dovessimo fare i farmacisti, qual è la percentuale d’importanza che attribuisci all’esteriorità e quale alla personalità e non le consideri dipendenti e connesse vicendevolmente fra loro? Cosa intendi poi non l’espressione diecimila volte più potente e intenso? “Inizialmente attribuisco un 50% d’importanza alla fisicità e l’altro 50% alla personalità che una ragazza possiede, ma poi la personalità sale ad almeno un 60/70% di peso dacché diversamente risulta difficile che sia e che si dimostri essere amore vero e duraturo. L’amore è più intenso rispetto all’amicizia perché in sua presenza, oltre appunto ad avere un’intesa mentale con la propria partner, si sperimenta e prova altresì un’attrazione fisica non indifferente – soprattutto nella fase iniziale di conoscenza ed è allora che, per me, nasce e si ha la differenza tra amore e amicizia”.
Infine quale motivazione attribuisci all’evidenza che spesso e volentieri attrai le ragazzine al di sotto dei 24-25-26 anni d’età e non le tue coetanee? Qual è la mentalità che hai tu rispetto sia alle une che alle altre e quale tuo atteggiamento/portamento fa sì che la gente pensi che tu sia una persona che si crede chissà chi, sebbene invece sei pieno di insicurezze e hai tanti problemi di autostima? “Ho quasi venticinque anni d’età e, anche se abito da solo, è come se fossi un quindicenne. Vivo la vita in maniera completamente differente dai miei coetanei. Io penso a fare musica, a farmi le foto, ad avere un’immagine sui social… insomma risiedo in questo mio mondo incantato, con la consapevolezza però che il tale mondo centra poco con la realtà. Le ragazze adulte, quindi, mi vedono come un ragazzino e non come un uomo – ma ciò è dovuto soprattutto alla nostra cultura, sono sicuro che ad esempio in America le giovani donne hanno una visione differente di chi è come me e negli USA non sarei ritenuto tanto diverso dai miei coetanei. Non è tanto l’atteggiamento, quanto l’immagine che do sui social, a far pensare alle persone che io me la tiri. Sì, è tutta una questione d’immagine ché oggi conta solo questa e il più della gente le dà tanto peso …sebbene chi mi conosce sa che non sono quello che mostro e che anzi sono esattamente l’opposto perché un conto è l’artista e un conto è la persona”.