Dice: – Gli scacchi hanno regole certe.
Il re è legato mani e piedi,
è la regina che fa e disfà a suo piacimento.
Io preferisco la vita diagonale del pedone.
Negli scacchi non muore di rabbia il cavallo,
non c’è una rivolta di pedoni
né è possibile la follia passeggera
di un alfiere che uccide i suoi o se stesso
per disperazione o per amore.
E così accade che i pezzi rispondono
a un disegno esterno, alla mano che li muove.
Umano è soltanto l’arrocco,
il nascondersi quando fuggire non è possibile.
Che sarebbe dei pezzi, se fossero liberi?
.
Se gli scacchi seguissero regole umane di vita?
O se, viceversa, noi seguissimo le regole degli scacchi?
È la domanda che si pone, nell’indagine sul ruolo dell’uomo nel mondo contemporaneo, il giovane poeta asturiano Martín López-Vega (Po de Llanes, 1975).
Ragionando per assurdo, riconosciamo le caratteristiche di ogni pezzo, dalle limitate capacità del re a quelle smisurate della regina.
Ma ogni cosa è certa, un pedone può muoversi solo così.
Un alfiere può prendere solo i pezzi avversari o cadere.
Tertium non datur, come dicevano i latini.
Rimane però quella mossa curiosa, il piccolo escamotage che consente di arroccare in difesa il re – una sola volta a partita e solo se re e torre non si sono mossi in precedenza: il lato umano del gioco, la piccola viltà che altrimenti i pezzi degli scacchi non mettono in pratica.
Ah, quanto è bello l’arrocco…
fonte: cantosirene.blogspot.com