Dieci anni fa moriva in un incidente motociclistico Peppe Dimitri.
Qui di seguito pubblico integralmente il lungo paragrafo che gli ho dedicato nella seconda edizione di Fascisteria.
Il titolo lo avevo preso dalla canzone che gli dedicò Francesco Mancinelli su testo di Cesare Massimo Ruggeri.
A chiarire alcuni punti controversi della personalità di un leader giovanile che ha lasciato traccia profonda di sé (lui vivo, sono convinto, il sistema Alemanno avrebbe retto molto meglio …) segnalo la testimonianza di Stefano Delle Chiaie, in occasione del meeting per il terzo anniversario della morte.
In particolare il fondatore di Avanguardia nazionale afferma la totale indipendenza di Lotta studentesca (smentendo certe dicerie infamanti sul ruolo di ‘infiltrato’ di Peppe), ricostruisce il suo ritorno in Italia nel 1979 e il loro tentativo congiunto di creare le condizioni per un passo indietro dei camerati partiti per la “via breve” della lotta armata, riconosce l’integrità del suo percorso militante in tutti i passaggi compiuti.
La potete ascoltare qui.
Per l’anniversario è in programma un memorial, la sera di sabato 2 aprile, mentre la famiglia ha celebrato una messa di commemorazione nella chiesa di Santa Maria della Consolazione, in piazza della Consolazione, il 30 marzo alle ore 18.
Peppe Dimitri, la figura più complessa del nuovo terrorismo nero, proviene dai ranghi di Avanguardia nazionale.
La sua prima esperienza associativa è nei boy-scout; a 14 anni, per una stagione, milita nel collettivo dell’estrema sinistra al liceo Vivona dell’Eur; nel ’71 entra con Dario Pedretti in Avanguardia nazionale.Da cattolico, supera le perplessità sulla violenza, convincendosi che l’uso di spranghe e martelli sia purificato dal suo idealismo, qualità che anche gli avversari gli riconoscono.
Valerio Fioravanti, che ce l’ha con tutti i leader e non esita ad ammazzare per uno “scazzo” da poco un altro dirigente di Tp, Mangiameli, gli renderà merito per l’assoluto disinteresse e dedizione alla causa nonostante il risentimento per un contenzioso sulla gestione delle armi rapinate all’Omnia sport.
Allo scioglimento di An, Dimitri scegli il movimentismo: a 20 anni è già uno dei più noti capisquadra.
Dal giorno che, per mettersi alla prova, si lancia all’assalto di un plotone di compagni brandendo un’accetta, gli attacchi solitari divengono la sfida più ambita per gli squadristi romani.
Al suo seguito decine di tozzissimi picchiatori scoprono il valore ascetico e purificatore dell’alpinismo, sulla falsariga dell’intuizione evoliana sulla metafisica delle vette; bande di fasci da bar sono iniziati alla fascinazione delle rune e della continua ricerca di simboli magici, esoterici e militanti. Dimitri è tra i fondatori di Lotta studentesca, il gruppo dal quale figlierà Terza posizione, il più originale tentativo di rifondazione militante dell’area nazionalrivoluzionaria. Il gruppo nasce come federazione di tribù, aggregando tre gruppi umani: il suo, che controllava l’Eur, il pariolino, guidato dall’imberbe Roberto Fiore, un adolescente brillante cresciuto alla scuola di Sergio Caputo (poi noto cantante swing, che negherà accanitamente una militanza giovanile a destra) nel cosiddetto “covo” di corso Francia e quello di Trieste-Salario che faceva capo a Gabriele Adinolfi.
Pur essendo i tre assai poco inclini al cazzeggio e alla mondanità, il gruppo nasce in birreria e in un paio di anni raggiunge i trecento militanti a Roma, con consistenti presenze a Palermo, Venezia, Padova, nelle Marche, in Basilicata e piccoli nuclei di diffusori e simpatizzanti a Bologna, Milano, Torino, Napoli e Genova. Ma Dimitri è insoddisfatto: dopo un periodo di carcere per rissa nel 1978, il servizio militare è l’occasione per un lento distacco. Si ritaglia uno spazio nella Legione, ordine ascetico-militare interno al gruppo, per i giudici un superclan terroristico, per Dimitri una comunità elettiva.
A un certo punto mi convinsi di essere immortale. Gli altri, i miei camerati mi vedevano come un guerriero senza sonno e io mi sentivo tale. Della mia vita fisica non mi importava un bel niente. Il mio spirito sarebbe vissuto in eterno con le mie idee.
Infaticabile attivista, gira come una trottola: continua a frequentare cenacoli rautiani grazie al legame con Germana Andriani, figlia di un vecchio ordinovista, l’avvocato Paolo, presidente della Fondazione Evola (sarà arrestato nell’inchiesta sull’omicidio Amato per favoreggiamento di Signorelli) e al tempo stesso è tra i “duri e puri” che compiono la scelta delle armi dopo Acca Larentia.
Nell’autunno 1979 Dimitri preme sull’acceleratore: in pochi mesi organizza una mezza dozzina di rapine. La prima la compie sotto casa, all’Eur, a volto scoperto. I soldi servono a finanziare le strutture operative, pagare la latitanza agli esuli come Delle Chiaie ma anche a liberare i camerati dalla schiavitù del lavoro. Racconterà che il primo rapporto con il denaro – lui, figlio di un agrario pugliese – lo ha sviluppato dopo il carcere. L’arresto a metà dicembre, mentre recupera un carico di armi in un palazzo del quartiere Trieste, rappresenta un brusco ritorno alla realtà: il linciaggio sfiorato comincia a scalfire le sue certezze.
Con lui è catturato Roberto Nistri, responsabile del (modesto) apparato clandestino di Tp, che, decapitato, si aggrega alla banda Fioravanti. L’episodio ha dato la stura a una serie di voci e di dicerie paranoiche, tutte tese ad accreditare l’ipotesi di un complotto (dei servizi segreti, della P2, della “guardia bianca”) per liquidare l’impetuosa crescita dell’unica organizzazione rivoluzionaria. La proclamata ostilità di Tp verso An, considerata asservita alle logiche golpiste e stragiste, con gli arresti di via Alessandria trova una clamorosa smentita. Nello stesso palazzo ha sede l’Assierre, società in accomandita che ha tra i soci gli avanguardisti Tilgher, Romano Coltellacci, Saverio Saverino Morelli. I locali della ditta ospitano Confidentiel, rivista trimestrale di politica, strategia e conflitti, diretta da Mario Tilgher, padre di Adriano e spedita a numerose personalità tra cui Gelli. L’editore, l’Istituto di ricerche e di studi politici e sociali, ha uffici di corrispondenza in Spagna (il responsabile è Ernest “Bicio” Milà, proconsole spagnolo di Delle Chiaie) e in Francia ed è distribuita anche in America latina. Proprietaria dei locali, come dello scantinato-arsenale, è una signora, il cui patrimonio immobiliare è amministrato dall’avvocato Stefano Caponetti, un altro ex di An. Fra le proprietà anche i locali di via della Panetteria affittati per la redazione del giornale di Tp.
Dimitri, dal carcere, si affanna disperatamente a far fare macchina indietro ai camerati. Quando viene a sapere che si prepara un agguato contro Rauti, ritenuto un delatore, mette in campo il suo prestigio per scongiurarlo e ne ricava in premio un’imputazione di omicidio. Cristiano Fioravanti lo accuserà, con Pedretti, di essere il mandante dell’agguato al giornalista Michele Concina, che avrebbe sostituito come “obiettivo” il vecchio leader (a morire fu poi un tipografo del Messaggero, Maurizio Di Leo, uscito dal giornale di corsa dopo una telefonata trappola e scambiato dal commando per il cronista). A tentare di gettare ombre sulla sua figura adamantina, concorre – con la presunta “resa”: in realtà aveva cercato di prendere la pistola dal borsello ma era stato bloccato – un dossier trovatogli addosso al momento dell’arresto, sulla presenza in Europa del Kgb, consegnatogli da Delle Chiaie per la pubblicazione su Confidentiel. Anche se su questo episodio in molti – dai giornalisti pistaroli agli avversari politici – hanno ricamato, tentando di appiattirlo sullo schema dell’avanguardista manipolatore e doppiogiochista, Dimitri aveva un saldo sodalizio umano con i suoi sodali di Tp: dei suoi rapporti erano regolarmente informati sia Fiore sia Adinolfi che pensavano di usarne i contatti internazionali senza problemi, ritenendosi – ingenuità giovanile – talmente “puliti” da poter restare senza macchia. La fiducia nei suoi confronti era totale.
Peppe era una figura di una solarità esemplare a livello di piazza e di comportamenti, una persona che si assumeva l’impegno per migliorarsi e per mettersi costantemente alla prova ed è stato per anni il punto di riferimento attivistico e fisico di quasi tutta la piazza romana.
Del suo rapporto non gratuito con l’uso della forza offre un’appassionata testimonianza Daniele Liotta:
Peppe incarnava quello spirito marziale mai scisso da una visione spirituale della vita secondo i principi tradizionali, ovvero uno kshatria Indù o un Vir romano. Una delle sue prime letture giovanili fu “Il mattino dei maghi” che lo colpì inesorabilmente. Da lì cominciò ad approfondire lo studio delle Rune, testi evoliani sulla Tradizione e Vie iniziatiche consone alla natura del guerriero. Era uno dei pochi che nella violenza quotidiana degli anni ‘70, assieme ad una decisa, competente e determinata capacità militare, coltivava letture di approfondimento e cercava di trasmettere una certa etica dell’azione. Teneva le sue “lezioni” alla Legione nei giardini adiacenti il Fungo dell’Eur. E nello scontro col “nemico” era sempre in prima fila, e spesso da solo. Amava il mondo celtico e nordico con le sue mitologie ed i suoi Dei pagani, sostenitore dell’uso del martello quale arma nello scontro fisico con i rossi in quanto ispirato “spiritualmente” al martello di Thor.
Quasi vent’anni dopo, in occasione della morte prematura di Dimitri, Adinolfi, affranto, dopo aver giocato a lungo sulla loro divisione del lavoro tipo triade tradizionale (lui bramino, Peppe guerriero, Fiore homo faber) ammetterà, in un accorato ricordo, il suo primato.
Nella sua schiva personalità Peppe ha sempre evitato di mettersi in mostra ma è stato davvero un Capo, uno dei pochi, forse l’unico della destra radicale degli ultimi decenni. Dei tre dirigenti assoluti di Terza Posizione, che furono tre per caso ma forse coprivano ciascuno, sia pure in forme e misure diverse, le tre funzioni tradizionali, colui che aveva connessione con la regalità (l’essere Rex) era proprio Peppe Dimitri. Ne avemmo una prova tangibile dopo il suo arresto nel 1979: Tp aveva ancora dei dirigenti ma non aveva più un Capo. E gli effetti della rimozione del Rex furono rovinosamente evidenti.
All’uscita dalla galera, dopo nove anni nel corso dei quali la madre si era tolta la vita a causa del mandato di cattura recapitato al figlio per l’omicidio Di Leo, Dimitri è ancora un mito: non si risparmia in assemblee e dibattiti nel difendere la memoria degli anni Settanta e dei camerati morti con le armi in pugno, affinché non sia rimosso quel periodo.
Ai giovanissimi che gli chiedono “cosa possiamo fare?” la risposta è sempre di “non dimenticare”. Nei primi anni di libertà ha ancora disavventure giudiziarie, ma nel segno della buona sorte. Frequenta ancora gli ambienti militanti ma con più matura leggerezza: tenta di riprendersi – con quindici anni di ritardo – tra un’abbronzatura da lampada e la frequentazione di località balneari trendy – le piccole frivole gioie che si era negato in una gioventù vissuta nel culto – predicato e praticato – dell’ascesi guerriera, fino alla castità volontaria.
Continua intanto, a differenza di altri che hanno scelto la rimozione, a elaborare il lutto, interrogandosi sul senso di una vicenda che ha segnato nel profondo protagonisti e vittime. In un’intervista televisiva con il brigatista rosso Maurizio Jannelli, è l’unico ex terrorista a presentarsi in giacca e cravatta, pallido, il volto segnato da qualche tic, impegnato a porre domande piuttosto che a rispondere: “Chi mi darà riconoscimento per non aver tradito nessuno, per aver retto in tutti questi anni?” Molti non possono rispondere: alcuni sono morti, altri, scegliendo la strada della criminalità, hanno imparato a non porre, e non porsi, domande. Lui, come tanti altri, è tornato all’abbraccio della grande mamma, iscrivendosi ad Alleanza nazionale, dove finisce per ricoprire il ruolo di consigliere del Principe.
In questo caso non più Borghese ma il leader della Destra sociale, e poi ministro, Gianni Alemanno, che nei confronti del “comandante” ha un rapporto di assoluto rispetto, al punto di assorbirne la divorante passione per la montagna. Muore ancora giovane, alla soglia dei 50 anni, travolto con la sua motocicletta da un camerata che correva in ospedale per paura di essere stato colpito da un infarto. Sulla sua cerimonia funebre ha scritto pagine memorabili Nicola Rao, elevando l’episodio a evento simbolico della conclusione di un ciclo e di una vicenda storica, l’ultima grande manifestazione del neofascismo italiano (anche se pochi mesi dopo analoga cerimonia avrà valenza e caratteristiche in parte analoghe per Nico Azzi a Milano). Per la commemorazione del primo anniversario c’è invece la testimonianza di Gabriele Adinolfi, che nel rito funebre aveva ricoperto un ruolo di particolare rilievo simbolico.
La funzione religiosa a cerimoniale cristiano ha potuto legare strettamente a lui, in quel rituale di sacralità, i familiari e coloro che credono cristianamente; ma anche tutti quelli che, con Peppe, da sempre hanno un forte legame sacro e prisco con il sovramondo, legame che trascende i singoli veicoli di trasmissione dai quali non si lascia ossessionare. Poi la serata: un video per Peppe in una sala arredata da centinaia di bandiere appese al soffitto, sistemate a righe alterne, rosse con la Runa nera e nere con la Runa rossa. La Runa scelta è stata quella di Tiwaz, dedicata a Tir e, per assimilazione a Marte; Runa solare, guerriera e regale che Peppe amava particolarmente e che si era tatuata senza ostentazione su un polso. Fra le tante Rune che hanno segnato il percorso di Peppe, da quella di Avanguardia a quella di Terza Posizione, si è pensato di scegliere quest’ultima che, appunto, non ne esprime un segmento del percorso esistenziale ma in qualche modo un suggello. Dopo il concerto, in cui si è anche ascoltato il brano inedito arrangiato da Francesco Mancinelli su di una poesia preparata per Peppe dal suo camerata Cesare, è stato ricordato che la Falange quando acclamava i suoi morti li salutava uno a uno con il grido di “Presente!” Ma alla fine, nel chiamare José Antonio la sala si rivolgeva a lui gridando “Assente!” Si rifiutava di pensarlo morto e si attendeva che giungesse da un minuto all’altro per colmare quell’insopportabile vuoto. Così accade per Peppe: Roma Antica e futurista gli ha rivolto lo stesso saluto di José Antonio. “Comandante Dimitri: Assente!”