Recentemente, un’ondata di rabbia, incertezze, paura e confusione ha travolto molte donne dopo la consegna “ritardata” dei risultati relativi allo screening oncologico pervenuti con più di quattro anni di ritardo.
Il caso è crescente.
Questo, visti i casi, non è un episodio isolato nè riconducibile ad un piccolo numero di donne, ma sembra essere solo la punta dell’iceberg di un sistema che è andato in tilt o, peggio ancora, trascurato e disattento.
La lettera\referto pur recante la data del passato ottobre viene recapitata, in queste ore, a diverse donne che nel settembre del 2019 (duemiladiciannove non è un errore) avevano effettuato un PAP TEST nei vari consultori che ricadono sotto l’egida dell’Asp ( noi parliamo di casi riscontrati a Patti e Brolo)
Questo test di routine è vitale per la prevenzione del tumore del collo dell’utero, soprattutto nelle donne di età superiore ai 50 anni, secondo i protocolli sanitari nazionali.
Tuttavia il ritardo di consegna dei referti, il contenuto primario di queste lettere e dello stessa azione di screening, ha sollevato più domande che risposte.
Alcune donne, il cui test ha riportato un risultato positivo per il test HPV, che potrebbe, con alte probabilità, degenerare in tumore al collo dell’utero, anche se informate che l’esito era negativo cioè senza la presenza di cellule maligne, hanno letto del suggerimento – oggi suona quasi in un verso ironico – di ripetere il test HPV dopo un anno.
Ma a distanza di tanto tempo sarà ancora così?
Una beffa, considerato il tempo trascorso.
Questa tardiva comunicazione non solo ha generato preoccupazione e timore nelle donne coinvolte nello screening ma ha anche minato la fiducia nell’efficacia delle azioni preventive.
La domanda ora è: cosa farà l’ASP (Azienda Sanitaria Provinciale) per affrontare questa situazione?
Si scuserà con le donne che hanno subito conseguenze per la mancata prevenzione?
Riproporrà una nuova azione preventiva?
Introdurrà procedure più rigorose per evitare simili disguidi in futuro?
In Italia, il carcinoma della cervice uterina è il quinto tumore più comune nelle donne sotto i 50 anni. La probabilità di guarire da questa patologia dopo la diagnosi è del 64%. Dati che confermano la necessità delle azioni preventive
È fondamentale che le donne siano consapevoli della prassi da compiere in caso di risultati positivi al Pap test. E quando sia necessario sottoporsi ad ulteriori esami di approfondimento come la colposcopia, un esame che consente di visionare la cervice uterina ingrandita per confermare la presenza di lesioni. (Successivamente, potrebbe essere necessaria una biopsia per confermare definitivamente la natura della lesione sospetta).
In conclusione, è indispensabile che l’ASP e altre istituzioni sanitarie si impegnino a garantire tempestività, precisione e affidabilità nei risultati degli screening oncologici. Solo così sarà possibile preservare la salute e la fiducia delle donne nel sistema di prevenzione oncologica.
Ed intanto la corsa al ginecologo di fiducia per dissipare paure e dubbi è iniziata augurandoci per tutti che sia solo paura.
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