PRIMO MAGGIO A BROLO – Quando la banda suonava e sfilava sotto la Bandiera Rossa
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PRIMO MAGGIO A BROLO – Quando la banda suonava e sfilava sotto la Bandiera Rossa

Altri tempi. Altri Uomini. Da rivedere anche il film di Italo Zeus, uno spaccato di storie e passioni, che ricorda lo “status” dei braccianti, che parla di povertà e delle “ricche famiglie” dei padroni. Resta il ricordo della dignità di chi, per un ideale, li sfidava, marciando, per un’ideale, il primo maggio, anche se erano davvero in pochi.

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“Primo maggio di festa”.Cantava così Claudio Lolli, pensando anche al Viet-Nam, e aggiungendo “e  forse in tutto il mondo“.Ed era un giorno di festa anche a Brolo, e non perchè, negli anni settanta, le scuole erano chiuse come oggi, e tutti ne approfittano per andar  scoprire quale paese qui vicino, quasi un anticipo di turismo e vacanze, ma perchè gli operai rivendicano un loro spazio. Era la loro festa.E c’era anche il corteo.set zeus dal film (2)

Si, perchè allora i lavoratori, quelli che festeggiavano, erano quelli che lavoravano nelle piccole fabbriche senza icurezza nè garanzie, come quelle di “spirito”, o del sapone, alla fornace con gli schizzi della “calce viva” pronti a bruciare occhi e pelle,  o nei magazzini, a rspirare l’acetilene delle stufe, quelli che zappavano la terra dei “padroni” o che caricavano i vagoni allo scalo ferroviario, di patate e arance.

Era gli operai, a cavallo degli anni sessanta\settanta che votavano PCI, i Socialisti, che ne frequentavano la sezione, che conservavano come immaginette sacre le figurini di Stalin e Togliatti e che dai giardini era passati a lavorare nell’edilizia, sempre sotto padrone o che si erano “sindacalizzati” lavorando nei nuovi cantieri dell’autostrada.

Erano tempi difficili, con grandi contraddizioni sociali anche a Brolo.

C’era l’Eca che forniva libri e scarpe ai più poveri, che guarda caso erano i figli dei braccianti e dei proletari; c’era il “voto segnato” per le elezioni che con cinu preferenze era un gioco individuarlo, ed il “sabbenedica” con la coppola in mano andava di moda.

Ed allora con umiltà il pensiero va, ancora una volta, ai fratelli Lenzo, Vittorio e Michele  (nella foto in alto)  e a quei pochi che con lo sguardo fiero sfilavano il primo maggio.

Per i Lenzo, braccianti, con poche scuole nel cervello ma un grande cuore nel petto, dalle mani callose, dallo sguardo onesto, sfilare il primo maggio nera un impegno e scendendo da Piana e da Iannello, spesso da soli.

La bandiera rossa in mano, la banda – alle loro spalle – che suonava l’internazionale, e sfilavano per le vie di Brolo, rivendicando il diritto al lavoro.

Uomini dallo sguardo fiero, mai domo, pur sapendo che l’indomani, nei magazzini, nell’agrumeto o semplicemente andando a comprare il sale sarebbe stato un giorno più duro degli altri.

Ci fu l’anno in cui quel primo maggio, a Brolo, servì anche a ricordare, nel 1969, i morti di Avola del dicembre precedente.  La vernice su pezzi di cartone, che diventavano cartelli, ne rammentava i nomi ed i carabinieri seguivano il corteo, mentre qualche donnina impaurita chiudeva gli scuri di casa al passaggio del corteo, mentre i notabili della Dc, seduti davanti la loro sezione, li schermivano.

Storie di lavoratori brolesi.. come quelle raccontante nel docu-film di Italo Zeus che raccontò un pezzo di storia del paese.Quei moti del ’21, la morte di una bambina, i tumulti per il pane.Storia vissuta sulla pelle degli operai, riscoperta e rispolverata on un tardivo processo alla storia, con le riabilitazioni postume di quei braccianti.

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La storia di quel che avvenne e che ancor oggi pochi conoscono e di qul primo maggio diverso a Brolo, nel 1999, quando il paese fece il processo alla storia, riabilitando i 15 operai condannati nei moti del ’21.
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In quel primo maggio, festa del lavoro,  Brolo, volle chiudere – facendo pace –  i conti con un passato inopportunamente dimenticato da tanti e per troppo tempo. Un gesto di coraggio storico e correttezza politica.

I fatti a cui si fece riferimento nell’incontro-convegno-processo, accaddero il 14 marzo del 1921 quando una folla di dimostranti protestarono per il licenziamento di un giovane operaio, Carmelo Mirenda che lavorava in una  “carcara” – la fornace dove si realizzava il citrato di calcio –.

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Ai dimostrati guidati dall’allora segretario della locale Camera del Lavoro, Salvatore De Riu, si erano uniti anche tanti cittadini che protestavano contro l’Amministrazione Comunale del tempo per la mancanza nel paese di una farmacia e del medico condotto.

Durante la manifestazione, nei pressi della Chiesa Madre si accesero gli animi, ci furono le cariche dei carabinieri, molti giunti, per dar rinforzo a quelli della regia stazione, anche con il treno direttamente dalla compagnia di Patti.

Da un lato i manifestanti con bastoni e pietre dall’altro militari ed agrari ben armati.

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Furono sparati colpi d’arma da fuoco. Di fatto , alla fine si contarono diversi feriti e contusi da ambo i lati, ma  rimase sul selciato anche il corpo di quella ragazzina che assisteva, dal marciapiedi, allo svolgersi della scena.

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Con questo grave epilogo sanguinoso si chiudeva dunque il tumulto che determinava due distinti procedimenti, uno a carico di Domenico Gembillo, sospettato di essere l’autore del colpo fatale che determinò l’omicidio della Barà , ed un altro a carico di quindici tra operai e popolane (Giuseppa Marzullo, Calogero Ricciardi Calderaro, Carmelo Ricciardi Calderaro, Calogero Svelti, Nunzio Tramontano, Sebastiano Scaffidi Militone, Giuseppe Ceraolo,  Giuseppe Princiotta,  Vincenzo Avena, Carmela Casella,  Carmelo Maniaci, Teodoro Fonti, Cono Pizzino,  Salvatore Di Riu e Giuseppe Starvaggi Casella) che avevano partecipato agli scontri.

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Ovviamente al tempo  a Brolo i braccianti, i pescatori e i “rimmunnatori” vivevano, come dice in alcune memorie Gaetano Piccolo, che assistette ai fatti, un clima di sudditanza ed il rapporto tra le famiglie degli agrari e degli operai era fortemente sbilanciato: Questo influenzò anche i rapporti con la magistratura ed il Gembillo venne prosciolto in camera di consiglio mentre gli operai e le donne che avevano partecipato alla protesta, a vario titolo vennero condannati e poi in appello i giudici calcarono ulteriormente la mano con condanne tra i tre ed i cinque anni e con ammende pecuniarie pensantissime per i tempi.

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Ma il fatto oltre alla cronaca degli avvenimenti si ammantò di aspetti oscuri sui ruoli che alcuni protagonisti ebbero a partire dal mancato arrivo di un centinaio di operai che dovevano venir da Messina a dar manforte ai colleghi brolesi e che scesero a Patti; al ruolo del maresciallo Bollani; sul perché si tentò di uccidere il De Riu, poi ferito a bruciapelo con una pistolettata allo stomaco, che dopo 25 giorni d’ospedale fu bollato come sovversivo e di fatto si ritrovò disoccupato; ma dubbi e interrogativi sussistono anche sui reali motivi che determinarono il fallimento di tentativo di riapertura del processo, nel dopoguerra.

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Questi brevemente i fatti che vennero ricostruiti sotto il profilo storico, inquadrandoli nel contesto delle lotte socialiste degli anni venti sui nebrodi nel corso della commemorazione dei fatti dall’avvocato Michele Manfredi Gigliotti  che effettuando un’attenta ricerca storica, anche attraverso inedite e dimenticati atti processuali offrì gli incartamenti alla difesa degli operai che venne affidata all’avvocato Cristina Manfredi Gigliotti, che anche alla luce della nuova normativa sulle sicurezza dei luoghi del lavoro e sul diritto allo sciopero trovò le motivazioni dell’assoluzione di quei quindici condannati, che in forza di una sentenza iniqua,  si trovarono precluse tante altre opportunità di lavoro.

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L’evento, una vera e proprio ricostruzione storica di un episodio importante, che scosse la vita di un paese, allora di poco più di 1200 anime, ma oggi pressoché dimenticato, nacque da una riflessione dell’allora consigliere comunale Basilio Scaffidi, pronipote di Basilio Germanà, il proprietario della fornace, che allora evidenziò come “oggi la verità serve a ridare dignità alla storia del paese e che questa è da inquadrarsi in quel tempo, era appena finita la Grande Guerra, ed anche in un contesto storico ben preciso”.

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Le foto d’epoca, fornite da Giusy Piccolo, prelevate dall’archivio del padre l’avvocato Giuseppe Piccolo, arricchirono la documentazione sui fatti e sul “vento socialista” che serpeggiava anche a Brolo e che avvertito nelle classi più povere del paese, testimoniava il bisogno di riscatto sociale e morale che queste avvertivano.

Nel corso di quella manifestazione, curata dall’Ufficio Turistico Comunale, e che rientrava nei progetti di “Brolo città educativa” venne anche presentato un pre-demo del film che poi venne realizzato da Italo Zeus proprio sui questi fatti, mentre Enzo Avena recitò un sua poesia su Angela Barà alla presenza di sindacalisti, esponenti del mondo del lavoro, e dei parenti dei “quindici”.

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“Nessun processo sommario ai protagonisti di quei fatti – disse allora Salvo Messina il sindaco del tempo – oggi non servirebbe a nessuno anche perché è passato tanto tempo, ma semplicemente un atto di giustizia sociale per chi venne condannato ingiustamente perché semplicemente stava protestando per diritti negati … del resto la storia ed il tempo hanno già emesso quelle condanne morali che nei fatti non ci furono”

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DAI DOCUMENTI PENALI DEL TEMPO

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L’ATTO D’ACCUSA

IN FATTO

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Ritenuto che da più tempo in Brolo gli operai iscritti in quella camera di lavoro erano in agitazione a causa che un loro compagno, tal Mirenda Carmelo, era stato licenziato da una fabbrica di citato di calcio colà gestito dai Sigg. Germanà, e non si era potuto riuscire a farlo riammettere al lavoro nonostante tutte le pratiche fatte al riguardo sia direttamente, sia anche a mezzo del Maresciallo dei Carabinieri. Stante tal ostinazione da parte dei proprietari della fabbrica, che d’altronde era giustificata dal fatto che il Mirenda era poco atto per malattia et inesperienza ad un lavoro proficuo, i dirigenti della Camera del Lavoro tra cui il cassiere Salvatore De Riu, decisero di fare una pubblica dimostrazione di protesta.

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E questa, infatti, deliberata nella sera del 13 marzo n.s. in una riunione tenutasi in detta Camera del Lavoro ebbe luogo nel mattino del giorno successivo. La folla dei dimostranti ebbe anche a crescere di numero, essendosi uniti molti altri cittadini coll’intento di protestare anche contro l’Amministrazione Comunale per la mancanza nel paese di una farmacia e del medico condotto, nonostante, però, il rilevante numero dei partecipanti alla dimostrazione, questa sull’inizio procedette calma e composta senza né strepito né grida, prendendo la via della Stazione Ferroviaria, dove si attendeva l’arrivo di alcuni compagni da Messina, che dovevano assumere la direzione del movimento.

 

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Le persone attese non arrivarono ed invece con quel treno giunse il Tenente  dei C.ri di Patti con un nucleo di militi di cui il Maresciallo di Brolo, Signor Bollani era venuto qui per sollecitarne personalmente l’intervento allo scopo di fronteggiare la dimostrazione ed impedire che questa degenerasse in tumulto come non era improbabile che accadesse, data la facile eccitazione delle folle. L’arrivo dei nuovi agenti della forza pubblica non provocò alcun atto ostile da parte dei dimostranti, i quali con lo stesso contegno i quali con lo stesso contegno pacifico e composto che avevano fin allora tenuto si posero in movimento per far ritorno in paese.

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Quivi  giunta la massa sostò nei pressi della Chiesa Madre dove il De Riu Salvatore ed altri che capeggiavano la dimostrazione entrarono in colloquio col tenente dei Carabinieri, e costui, promettendo che avrebbe procurato di compiere amichevolmente la vertenza, li avevi già persuasi a sciogliersi quando da una delle vie laterali sbucò una frotta di donne che si dette a gridare: “ Viva il Socialismo, Viva la Camera del Lavoro”.

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Nello stesso tempo una di esse e  propriamente certa Marzullo Giuseppa, raccattata una pietra, la scagliò in direzione del punto dove erano riuniti i Carabinieri, colpendo il Tenente alla testa.

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Fu quello il segnale della mischia, giacchè le donne seguitarono a scagliare sassi ed i dimostranti levarono alto i bastoni menandone qualche colpo sui Carabinieri, che a loro volta avanzarono per impossessarsi della bandiera rossa che i dimostranti portavano in giro. In quel momento echeggiarono varii colpi di arma da fuoco, alcuno per parte dei Carabinieri che temendo di essere sopraffatti, per intimidire la folla, spararono in aria ed altri da parte della popolazione. A quelle detonazioni i dimostranti presi da panico, si sbandarono fuggendo in tutte le direzioni; ma intanto, una vittima era rimasta sul terreno di quella breve lotta, una povera ragazza dodicenne colpita alla testa da un proiettile di rivoltella, mentre nei pressi della Chiesa assisteva allo svolgersi della scena.

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E con tale grave epilogo sanguinoso si chiudeva il tumulto che poscia aver luogo a due distinti procedimenti, uno a carico di tal Domenico Gembillo, quale sospetto autore dell’omicidio, ed un altro a carico dei seguenti individui: 1° Marzullo Giuseppa, 2° Ricciardi Calderaro Calogero, 3°  Ricciardi Calderaro Carmelo, 4° Svelti Calogero, 5° Tramontano Nunzio, 6° Scaffidi Militone Sebastiano, 7° Ceraolo Giuseppe, 8° Princiotta Giuseppe, 9° Avena Vincenzo, 10°  Casella Carmela, 11° Maniaci Carmelo, 12° Fonti Teodoro, 13° Pizzino Cono, 14° Di Rin Salvatore, 15° Starvaggi Casella Giuseppe.

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30 Aprile 2018

Autore:

redazione


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