Il giovane legale pirainese discute la testi “Doping e normativa sportiva antidoping: analisi, critiche e prospettive tra esigenze sanzionatorie e maggiori tutele per l’Atleta” dibattendo anche sul caso Pantani e Schwazer
Giovedì 15 marzo alla Sapienza di Roma
Federico Venuto ha conseguito il Master di primo livello in Diritto e Sport
il dottore in legge si è specializzato nella gestione dei rapporti e del fenomeno sportivo. Il costo di formazione professionale si è svolto tra febbraio 2023 e marzo 2024 ed alla fine, l’ex assessore al turismo pirainese, ha discusso la testi: “Doping e normativa sportiva antidoping: analisi, critiche e prospettive tra esigenze sanzionatorie e maggiori tutele per l’Atleta”, conseguendo la votazione di 110 e lode.
Diversi i docenti del master diretto dal Prof. Mezzacapo, avvocati esperti in diritto sportivo che hanno tenuto le lezioni: Sandulli, Lubrano, Iudica, Sanino, Rombolà, Taucher, Pittalis, Grassani, Vigna, e tanti gli argomenti trattati: dalla giustizia sportiva, a calcio scommesse, al doping, alla riforma del lavoro sportivo fino al caso Juventus e alla Superlega.
Soddisfatto il dottore Federico Venuto, sia del corso in se stesso che dell’esperienza formativa, ed ha evidenziato, come si legge nella sua tesi conclusiva: Il doping esiste, è generalizzato, viene sempre più spesso percepito come una necessità, ma è incontrovertibilmente un aspetto devastante dello sport:
1) perché capace di nuocere gravemente alla salute con conseguenze sia immediate che future, spesso impreviste e imprevedibili;
2) perché lo sport è l’unica pratica sociale in cui regna la meritocrazia, in cui ognuno accetta le regole e cerca di rispettarle, impegnandosi, in uno spirito competitivo, sino al raggiungimento dei propri limiti fisici naturali attraverso l’allenamento e la fatica, chi si dopa infrange la lealtà, le leggi etiche e sportive, e si pone in contrasto con il principio di giustizia inteso come equità;
3) perché è una truffa non solo rispetto agli altri ma anche verso lo stesso individuo che si dopa, è fare qualcosa che altrimenti non si potrebbe fare, è apparire come non si è, e il rischio è quello di creare uomini sbandati, persone fallite.
Storicamente si è sempre associata al doping la figura dell’atleta che, se trovato positivo ad un controllo, viene etichettato come mela marcia, emarginato, squalificato, licenziato, criminalizzato e condannato, con conseguenze spesso devastanti per la propria dignità e la propria vita.
Questo lavoro si propone di analizzare il fenomeno doping e la conseguente normativa antidoping assumendo un punto di vista diverso, che veda lo sportivo non solo come soggetto attivo del doping ma come oggetto e quindi come anello debole del sistema sportivo contemporaneo.
Federico Venuto ha anche precisato: Al di là della retorica ufficiale che sbatte l’atleta “dopato” in prima pagina e lo espone al pubblico ludibrio con a corredo una lunga sfilza di altri attori (dirigenti federali, giornalisti, medici, tecnici, direttori sportivi) pronti a prendere le distanze e a condannare, senza appello, quanto accaduto; esiste un fuori scena della realtà, che non viene mostrato e che rimane esterno alla cornice edittale della storia sportiva.
Dietro le quinte dello sport moderno l’atleta è, in realtà, una vittima del doping, utilizza sostanze o pratiche dopanti, non solo come potrebbe sembrare ad un primo superficiale giudizio, per vincere o spingere sempre oltre i propri limiti fisiologici, ma perché è indotto, spinto, coartato a farlo, all’interno del sistema sportivo che abbiamo creato, dalle sollecitazioni di natura economica e dalle continue pressioni di vittoria ad ogni costo da parte di tecnici, società e sponsor, da cinici dirigenti federali, da ambiziosi apparati statali e da apprendisti “stregoni” pronti a sacrificare la dignità e la salute di una persona dinnanzi ad interessi commerciali, economici e politici.
In questo contesto, l’antidoping, nato per essere uno strumento di controllo, un baluardo a difesa di giustizia ed uguaglianza, come tutti i fatti umani si è invece, spesso, trasformato in uno strumento di potere e di corruzione al servizio di Stati, Federazioni, Organismi sportivi e privati, con la conseguenza che, a volte, gli atleti “non allineati” o “ingombranti” sono stati “beccati” positivi ai controlli antidoping mentre ad altri è stata garantita una “rete di protezione”.
Durante la discussione conclusiva il giovane dottore in legge pirainese ha analizzato il caso Pantani e il caso Schwazer