Per il capo della polizia – Franco Gabrielli – questi suoi uomini – che lui ha sempre difeso – hanno evidenziato un «chiaro esempio di coraggio e abnegazione» oltre a «eccezionali capacità professionali e straordinario senso del dovere ingaggiando incuranti del pericolo, un conflitto a fuoco con alcuni malviventi, salvando la vita al presidente dell’ente Parco dei Nebrodi, fatto oggetto di un attentato di stampo mafioso». Sebastiano Proto, Giuseppe Santostefano e Tiziano Granata sono stati promossi al grado di vicesovrintendente mentre Daniele Manganaro a quello di primo dirigente che oltre alla promozione, ci sarà anche il trasferimento dalla guida del commissariato di Tarquinia, nel Viterbese, a quello di Carrara.
Una promozione che apre anche altri scenari. Primo fra tutti sul fronte della commissione parlamentare antimafia nazionale e siciliana
Dopo le polemiche, nei mesi scorsi, seguite alla relazione della Commissione d’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia, l’attentato Antoci è tornato alla ribalta lo scorso martedì quando la Commissione parlamentare antimafia ha convocato Maurizio De Lucia, procuratore della Repubblica di Messina. Sui fatti di quella notte, il magistrato ha idee chiare, precise, nette:
«È chiaro che l’indagine sull’esecuzione, sul verificarsi di quell’attentato — perché attentato è — non ha consentito di arrivare a identificare i colpevoli».
E affonda il colpo «Ciò non vuol dire che le indagini si fermino perché solo la prescrizione ferma l’azione penale, non il decreto di archiviazione del Gip che in qualsiasi momento può consentire una riapertura delle indagini medesime».
Poi il procuratore non è avaro di dettagli: «sull’attentato ad Antoci il mio ufficio ha svolto un’attività investigativa durata oltre due anni ed è stata fatta utilizzando il contributo di reparti d’élite dei carabinieri, il Ros, e anche strutture di élite della polizia di Stato, non solo il servizio centrale operativo ma anche il gabinetto centrale della Polizia scientifica. Sono state profuse significative energie nel tentativo di ricostruire la dinamica dell’attentato e scoprire i reali autori».
Gli inquirenti hanno fatto trapelare che fra i moventi più plausibili ci fosse quello della reazione dei mafiosi al cosiddetto «protocollo Antoci» che ha alzato il velo su una serie di truffe miliardarie perpetrate ai danni dell’Unione europea e dell’Agenzia per l’erogazioni in agricoltura (Agea).
Il Ros e il procuratore
Anche per il comandante dei Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, il generale Pasquale Angelosanto, «le investigazioni hanno consentito di contestualizzare l’attentato all’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, che ha adottato il protocollo e inciso concretamente su questo grumo di interessi mafiosi, impedendo che le organizzazioni conseguissero queste enormi ricchezze attraverso l’erogazione di fondi pubblici».
Il generale ha anche detto «il protocollo ha bloccato tutto questo, quindi incide sulla contestualizzazione ed è un movente che può aver determinato l’attentato».
Sull’argomento De Lucia è esplicito: «Tengo sempre separati i campi di azione dell’attività inquirente dalle altre attività di inchiesta, che più che legittimamente la politica fa – questo l’ha detto davanti la Commissione parlamentare antimafia — perché i fini sono diversi. Il nostro è quello di accertare i reati e di individuare i colpevoli» mentre quello di una commissione d’inchiesta «non è di rifare il lavoro dell’autorità giudiziaria ma di individuare quali possono essere i suggerimenti per il potere politico e, quindi, per il legislativo per adottare rimedi che possono essere offerti alla legislazione siciliana in materia di infiltrazione e di appalti. Quindi i due piani sono separati totalmente perché i poteri sono diversi».
Per De Lucia: «le uniche indagini complete sono quelle dell’autorità giudiziaria e quello che mi sento di dire serenamente è che tutto il lavoro fatto è stato fatto con il massimo di coscienza dal mio ufficio, anche prima di me quando era diretto da un fior di magistrato quale è il procuratore Guido Lo Forte». In conclusione il magistrato, ha ribadito la sua visione sull’attentato: «le altre istituzioni hanno occhiali diversi per poter comprendere il fenomeno e non hanno lo stesso grado di focalizzazione che l’autorità giudiziaria ha». Una focalizzazione, condivisa dalla Polizia che con la promozione ha ribadito che non solo si sia trattato di un attentato ma che lo sia stato di natura mafiosa.
Il primo commento di Antoci
«Le promozioni per merito straordinario per gli uomini della mia scorta e per il dottor Manganaro mi sembrano la giusta risposta a chi ha tentato in tutti modi di delegittimare ed offuscare il valore di grandi servitori dello Stato, di una valente magistratura e di eccellenti reparti di élite delle forze dell’ordine — racconta Antoci al Corriere —. Io ho ancora nelle orecchie il fragore dei colpi di fucile, le lacrime, le urla di quella tremenda notte che hanno segnato hanno segnato indelebilmente la mia vita e quella degli uomini della mia scorta. Il mio pensiero e la mia gratitudine eterna va a loro che, salvandomi la vita, mi hanno permesso di continuare a lottare contro le mafie producendo anche atti normativi oggi di valenza europea.
Ringrazio di cuore il capo della polizia che in questi anni, da grande uomo dello Stato, non ha mai fatto mancare il suo appoggio, dimostrando sempre vicinanza ed attenzione. Penso oggi anche a Tiziano Granata, uno dei poliziotti che quella notte, insieme agli altri, mi ha salvato la vita e purtroppo prematuramente scomparso». Antoci va oltre: «Non posso, inoltre, non pensare a quanto accaduto in questi anni e in questi mesi durante i quali il tentativo di delegittimazione e depistaggio ha avuto il suo massimo culmine. È successo a tutti ma l’attacco e la messa in discussione soprattutto degli uomini della mia scorta, rimarrà fra le più volgari attività di “mascariamento” degli ultimi anni.
Oggi quei tentativi di delegittimazione sono stati relegati nell’alveo, come detto dal procuratore generale, delle “congetture e non meritevoli di apprezzamento. In un Paese normale dopo gli arresti e le dichiarazioni di magistratura, delle forze dell’ordine e dopo le importanti promozioni per merito straordinario, qualcuno si sarebbe già scusato. Ma questo, come detto, in un Paese normale. La verità su questo è arrivata e ci sarà tempo per vedere chi ha attivato la solita macchina del fango pagarne il conto alla giustizia, a quella stessa giustizia che spero presto possano venire assicurati i mafiosi che quella notte tentarono di ucciderci».