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PROVINCIA MESSINA – La rivolta palermitana del “sette e mezzo”

Nota del consigliere provinciale degli autonomisti di base, Tonino Calabrò sull’istituzione di una giornata commemorativa. Il consigliere provinciale degli “Autonomisti di base”, Tonino Calabrò, ha predisposto una mozione per l’istituzione della giornata commemorativa dell’eccidio dei giovani siciliani durante la rivolta del “Sette e mezzo”, in raccordo con le altre Province siciliane.
“Il 16 settembre 1866, a Palermo esplode la rivolta del “Sette e mezzo”, definita così perché dura sette giorni e mezzo prima di essere soffocata nel sangue per mano dei Piemontesi. Garibaldini, reduci dell’esercito meridionale, partigiani borbonici e repubblicani formano una giunta comunale formata da uomini di sinistra e di destra, uniti insieme a cittadini e clero, per cacciare i Savoia ed i Piemontesi dall’isola.
La Sicilia, in quella fase storica, è colpita da un’estesa epidemia di colera che ha mietuto circa cinquantatremila vittime, dalla povertà crescente della popolazione e dall’integralismo dei funzionari sabaudi.
Successivamente al 1861 l’Isola è uno stato di polizia ed è ben lontana dall’essere quella realtà politica progressista che molti si aspettano.
Le attese sono disattese.
Dall’attenta lettura del saggio storico: “La Nazione che non fu. Operazione verità”, si evince che circa quattromila persone esasperate assaltarono la Prefettura e la Questura di Palermo, con l’uccisione dell’ispettore generale e di trentadue agenti di polizia.
La città restò in mano agli insorti e la rivolta si estese nei giorni seguenti anche nei paesi limitrofi di Monreale e Misilmeri.
La Sicilia insorse contro l’Italia dei Savoia e la rivolta del “Sette e mezzo” ebbe molti punti in comune con la battaglia di Savenay, a partire dal fatto scatenante che fu l’obbligo di leva.
Oltre diecimila i ragazzi rimasti senza tomba e senza nome, bruciati vivi mentre dormivano nei pagliai.
La rivolta di Palermo, da alcune interpretazioni storiografiche, è ricordata non come una “legittima seppur violenta rivoluzione popolare”, ma come episodio di “malandrinaggio collettivo”, distorcendo la storia ed offendendo i martiri` siciliani che da rivoluzionari che chiedevano solo l’applicazione di forme di autonomia siciliana diventarono banditi e mafiosi.
Il 22 settembre del 1866 il generale Raffaele Cadorna senior viene nominato “regio commissario con poteri straordinari” dal presidente del consiglio Bettino Ricasoli, al fine di ristabilire l’ordine tra i “rivoltosi briganti siciliani”.
Cadorna impartì l’ordine di sparare a vista su qualsiasi passante. Così fino al febbraio del 1867 furono migliaia le fucilazioni e la popolazione fu costretta ad assistere al passaggio di colonne di detenuti in catene, spinti a calci e bastonate verso i luoghi di detenzione.
Le navi della Regia Marina e quelle inglési bombardarono Palermo, molti dei rivoltosi furono arsi vivi e i Piemontesi andarono casa dopo casa ad uccidere i palermitani, distrussero la città che fu poi riconquistata da circa quarantamila soldati”.
Il consigliere provinciale “Autonomisti di Base”
Tonino Calabrò

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