Cari occupanti,
Mi chiamo Silvia, e faccio l’economista dello sviluppo.
Tre parole che sintetizzano un lavoro non semplice: al momento vivo a Thiruvananthapuram, capitale dello stato indiano del Kerala, e mi occupo di un programma di distribuzione di beni alimentari, volto a raggiungere i 12 milioni di cittadini keraliti sotto la soglia di povertà.
Tre mesi fa mi trovavo in Sierra Leone, nell’Africa dell’est, dove mi occupavo della ricostruzione di villaggi interamente distrutti da una sanguinosa guerra civile.
Sei mesi fa mi trovavo a Chatila, campo profughi palestinese in Libano, a prestare servizio logistico in una ONG locale, che si occupa di garantire ai giovani rifugiati l’istruzione di base.
Mi chiamo Silvia, faccio l’economista dello sviluppo, e ho fatto la Bocconi.
Vi diro’ di piu’, e forse la cosa suonerà ancora più “borghese” (?) e criminale.
Non ho solo studiato alla Bocconi, ci ho lavorato.
Un anno da ricercatrice tra il master e il dottorato.
Un anno a novecento euro al mese, in cui un secondo lavoro – call center delle Pagine Gialle – mi permetteva di far quadrare i conti.
Quello e’ stato l’ultimo anno della mia vita a Milano, prima di trasferirmi a Londra: ed in quell’anno, il 2009 della crisi piu’ nera, il movimento di protesta insorto in Europa, in Italia, e nella mia Milano, ha trovato in me un proattivo supporto.
L’anno in cui l’Italia, come altri Paesi cosiddetti industrializzati, ha potuto toccare con mano la crisi e le sue conseguenze, l’anno in cui le piazze di Londra risuonavano con lo slogan “we won’t pay for their crisis”. Un anno difficile, ma che, come pochi altri, nella ricerca estenuante di un impiego e nella vita non semplice a Milano, mi ha fatta sentire vicina al mio Paese, da cui spesso manco a causa di un lavoro tanto itinerante.
Vedendo questa protesta, volta ad un target tanto impreciso quanto raffazzonato, quella vicinanza al movimento milanese non la sento piu’.
Chi e’ l’obiettivo?
La Bocconi e tutto cio’ che essa rappresenta?
Un’occhiata ai curriculum delle altre universita’ di economia italiane vi permettera’ di realizzare la differenza, pressoche’ inesistente, tra gli insegnamenti “bocconiani” e non.
Forse i “bocconiani” stessi?
Una cosa e’ certa: se due anni fa, quando lavoravo presso l’universita’, avessi trovato al mattino quattro ragazzini a tentare di sbarrarmi l’ingresso in ufficio, a suon di slogan rimati e confusi, non l’avrei presa nel migliore dei modi.
Fose Monti, dunque?
Allora il principio e’ quello di colpire l’istituzione per colpirne la dirigenza.
Benissimo: applicando il principio medesimo, se siamo contro Berlusconi e la sua malgestione governativa, tanto vale attaccare l’Italia intera.
Ma non vi scrivo questo messaggio per esprimere la mia delusione, verso un “movimento” che ha costituito il mio primario ambiente di crescita dal liceo in avanti.
Semplicemente, lo scrivo perche’ vorrei capire che cosa e’ andato storto, che cosa e’ accaduto tra un movimento che indirizzava obiettivi sensati ed uno che, come oggi accade, sfoga la sua generale insicurezza – condivisa e piu’ che naturale in un momento di crisi profonda – su obiettivi tanto sbagliati. Ragazzi, non e’ la Bocconi la causa dei problemi che ci colpiscono tutti!
Che cosa si vuole dimostrare con un atto tanto confuso e generalizzante?
L’umano smarrimento dei momenti di crisi profonda colpisce tutti noi, ed è a questo che voglio attribuire questa confusa iniziativa: ad un momento di collettivo smarrimento.
La mia speranza è che promotori e sostenitori della campagna “anti-bocconiana” se ne rendano conto, e tornino presto ad indirizzare obiettivi plausibili, con altrettanto plausibili metodi di lotta.
Vostra,
Silvia Masiero
PS: e’ stato difficile spiegare la vostra iniziativa ai miei colleghi indiani, in uno stato afflitto da livelli estremi di povertà.
Vedere i volti perplessi di chi ha davvero bisogno, di fronte ad idee tanto balzane, mi porta a pensare che forse non è la mia visione “bocconiana” ad essere distorta.
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