di Nino Lo Iacono
Era il 22 agosto del 2007, il triste giorno che infiammò la Sicilia da ponente a levante, proprio come avantieri.
Le temperature massime allora furono di 44°. Stesse condizioni ambientali, stesse aree colpite dagli incendi, danni ingentissimi, vite umane perse durante una festa di compleanno al rifugio del falco.
Quando avantieri venni a contatto con l’aria esterna, istintivamente la mente tornò a quel giorno infausto, a quella tragedia, e mi assalì l’angoscia, anche se oggi non mi interesso più di protezione civile.
La mia scheda anagrafica dice che fisicamente devo rasserenarmi, ma alla mia mente è tornato l’incubo degli incendi, quasi la certezza di un replay.
Non c’è voluto molto perché i dubbi fossero fugati dalle certezze che cominciarono a pervenire attraverso i midia.
Il fuoco stava impazzando da Palermo verso Messina come se corresse in autostrada. Velocemente le immagini ci diedero contezza di ciò che stava accadendo.
Un perpetuarsi di situazioni già viste e riviste, quasi ogni anno, quasi negli identici siti. Danni ingentissimi, dichiarazioni, prese di posizione da repertorio.
Gli indici puntati contro i soliti ignoti: i piromani.
Politici e governati a strapparsi i capelli nell’individuare un improbabile capo espiatorio, a gridare alla favola dell’autocombustione.
Una voce unanime dell’antimafia di maniera e forse un po’ opportunista che ci rintrona nelle orecchie già sature delle promesse e degli impegni assunti ogni anno dopo simili catastrofici eventi, come quelle espresse nel 2007 sui corpi martoriati delle sei vittime e dei superstiti.
Una terra che registra gli stessi fenomeni, con quasi puntuale cadenza, in concomitanti circostanze, non può tollerare dichiarazioni già sentite e ripetute in tutte le salse e da tutti i pulpiti.
Una Sicilia martoriata e sistematicamente martirizzata sul rogo, alimentato con criminale cadenza da una politica assente, inadempiente e/o incompetente.
Nel nome dell’antimafia si sono bloccati servizi e prestazioni, contratti e procedure messe al vaglio di quell’occhio vigile di strutture che da decenni controllano, verificano, propongono, fanno e disfanno, anzi forse disfanno soltanto.
La croce si getta su tutti gli assenti, e si esclude a priori l’autocombustione.
Concordiamo sulle bassissime percentuali di incendi generati da autocombustione, ma non possiamo giustificare che si scarichino su generici soggetti, forse responsabili, ma sicuramente non meno di quanti, con il loro parassitismo e lo spauracchio della mafia, hanno bloccato servizi primari, provocando, indirettamente, più danni della stessa mafia.
La Regione pare non abbia attivato il servizio antincendio, quindi si è dovuto procedere improvvisando interventi, coordinati solo dalla buona volontà di chi sa che, comunque, deve compiere con serietà ed impegno il proprio lavoro, a prescindere dalle carte e dai provvedimenti.
Solo a loro e non ad altri va ascritto il merito di essere riusciti a limitare i danni e di aver salvato vite umane.
La responsabilità della disfatta politico-amministrativa della Sicilia va cercata nelle poche sedi dei partiti, ridotti ormai a club service di infima qualità, nelle scrivanie sgombre da carte, nelle poltrone vuote, nelle impolverate giacche appese da mesi, nei corridoi pieni di chiacchieroni e nei bar affollati da caffeinomani.
Le Procure della Repubblica dei territori percorsi dai fuochi hanno aperto fascicoli per cercare di individuare i colpevoli, ma oltre ai responsabili diretti, infami piromani, è necessario colpire chi, in questi anni di inutili promesse sulla riforma delle procedure, ha annullato o non dato corso o non ha rinnovato contratti di un servizio primario come quello della prevenzione degli incendi.
Bisogna individuare e perseguire i diretti responsabili, ma anche coloro che, con i loro silenzi, le loro disattenzioni, o peggio, con l’incertezza degli incompetenti, hanno provocato l’ennesimo gravissimo disastro.
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