di Nino Lo Iacono
Con costante insistenza e noiosa dovizia di particolari , ci viene ogni anno raccontata la cronaca della prima del teatro “ Alla Scala” di Milano.
La città di Milano ha monopolizzato l’Opera italiana, esportando nel mondo anche l’attività e l’immagine del proprio teatro. Milanesi Indubbiamente bravi, come sono in tutto ciò che produce ricchezza.
La cultura però non è depositata solo nei teatri, nelle chiese né tanto meno, nei caveau delle banche della Lombardia.
Il più grande patrimonio artistico-culturale dell’ Italia è in Sicilia; in questa nostra tanto bella quanto sfortunata Isola, che non riesce a capitalizzare e fare fruttare le sue ricchezze.
Ho preso spunto dalla prima del teatro Lombardo per cercare di capire i motivi secondo i quali, il più grande teatro d’Italia, che è anche il terzo d’Europa e sicuramente fra i più belli, non riesce a far parlare di se: il teatro Massimo Vittorio Emanuele di Palermo.
Il sontuoso e bellissimo edificio, realizzato dagli architetti Filippo ed Ernesto Basile, padre e figlio , fu inaugurato il 1 maggio del 1897.
Il fregio sull’elegante pronao riporta la scritta:“L’Arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire”.
La scritta rivela per la prima parte la storia della nostra isola; la seconda parte è un augurio, che non ha trovato e ancora non trova riscontro nella storia della città di Palermo e di tutta la Sicilia.
Rimase infatti puro diletto, perché dalla cultura che si irradiò da questo teatro, le classi politiche Palermitane e Siciliane non furono in grado di ricavare impulso per realizzare un dignitoso avvenire.
La madre della cultura Italiana, dopo l’unità, non seppe produrre nulla.
Non seppe mettere a frutto il proprio potenziale, costituito non solo da ciò che di bello e di unico madre natura e i nostri avi ci diedero in eredità, ma anche dalle intelligenze dei giovani che, disperati, lasciarono questa terra e continuano a farlo in cerca di quella sopravvivenza dignitosa che qui la politica ha loro negato.
Mai un giornale di rilievo nazionale ha parlato della prima al teatro Massimo di Palermo, né del teatro Bellini di Catania, perché? La domanda che mi pongo penso sia ricorrente fra gli attenti Siciliani.
E’ la risposta che lascia a desiderare. Essa si perde nella notte dei tempi, nella storia dei chiaro-scuro della politica siciliana e dei suoi protagonisti.
Non curanti della scritta sul fregio del pronao del Massimo, i politici palermitani prima e regionali dopo, hanno da sempre sottovalutato la potenza e l’importanza della cultura, subordinandola a fatti economici con reddito immediato in grado di incrementare gli interessi economici propri e quelli dei politici di turno.
Non fu e non è mancanza di istruzione, ma solo sciatteria.
Un fenomeno questo che da sempre ha infettato gli occupanti a vario titolo dei palazzi della politica palermitana , dal “camminaturi” al capo del palazzo.
Una malattia che si è incancrenita nel sistema tanto da paralizzarne anche la parte sana.
Dal dopoguerra in poi, la politica degli ascari e degli arruffoni ha, quasi sempre, occupato le poltrone e le stanze dei bottoni, distruggendo persino le stesse banche, compreso il glorioso istituto di emissione qual era Il Banco di Sicilia.
E’ stato fin troppo facile scaricare responsabilità sui fenomeni criminali che hanno infestato e che ancora infestano l’Isola sotto varie forme, anche legalizzate, mai però la politica degli ascari e degli arruffoni ha ammesso i suoi limiti e i suoi errori, né ha saputo riscattarsi sfruttando la parte bella e produttiva della nostra terra, anzi la criminalità, in molti casi, è stato alibi per coprire immobilismo ed inefficienze.
A nulla è servito l’Istituto dell’Autonomia che doveva essere lo strumento per recuperare il tempo perduto e imprimere quell’accelerazione sulla via dello sviluppo e del progresso, anzi ha generato mostri di inefficienza e di sprechi i cui danni graveranno per decenni sulle spalle dei siciliani.
Ancora oggi si strombazza di perseguire una legalità con sforzi non indifferenti; si pubblicizzano episodi che sono solo figli del dovere, enfatizzandone momenti ed effetti, per mascherare, forse, le voragini e gli errori che l’attuale politica ripete.
Sui palcoscenici dell’intera Isola sta recitando il silenzio, generato dai tagli che le vari finanziarie regionali hanno imposto. Silenzi cui fanno eco e contrasto gli scomposti rumori di feste e sagre, estranee anche alle culture locali, ma strettamente imparentate con i padrini della politica e generatrici di voti e clientele.
La prima del teatro Massimo forse non sarà mai raccontata da nessuna testata giornalistica nazionale, a meno che gli interpreti non siano gli stessi stanchi e nauseati cittadini di Palermo e dell’intera Sicilia.
A Milano tredici minuti di applausi per la prima di ieri, per una rinata Sicilia ne basterebbero di meno, ma convinti e sinceri.
Intanto dai nostri teatri solo le prime di un assordante silenzio.
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