L’appuntamento è per il prossimo 22 marzo, domenica, dalle ore 19,00 al Circolo Comunitario Nautilus – Tel. 3271254343 –
Dopo la proiezione del film, del 2008 – Il primo capolavoro di Steve McQueen con Michael Fassbender racconta della rivolta attuata nel carcere nordirlandese di Maze all’alba degli anni Ottanta, quando i detenuti dell’IRA, per costringere il governo inglese a dargli lo status di prigionieri politici, diedero prima il via a uno sciopero dell’igiene e successivamente, per iniziativa di Bobby Sands, ad uno sciopero della fame che portò alla morte dello stesso Sands e di altri nove detenuti.
A seguire serata irlandese con: – BIRRA SCURA San Patrick Beer Contest – MUSICA IRLANDESE Tradizionale
la scheda del film
http://video.panorama.it/Cult/cinema/hunger.flv
Claustrofobico, duro, difficile da reggere per gli stomaci delicati, e proprio per questo potente e viscerale, Hunger diSteve McQueen.
Debutto cinematografico del regista. Inflessibile, McQueen non risparmia nulla agli spettatori e ci porta in uno spaccato di storia recente, nella prigione di Long Kesh, conosciuta come The Maze (Il Labirinto), nell’Irlanda del Nord degli anni ’80.
Qui, in uno dei famigerati H-Blocks, i detenuti repubblicani stanno effettuando la “protesta delle coperte” e la “protesta dello sporco” per ottenere lo status di prigionieri politici.
La camera si sofferma con cura e ostinazione sui dettagli più crudi, sugli escrementi che formano cerchi concentrici sulle pareti delle celle, sui vermi bianchi che proliferano tra avanzi di cibo ammuffito e rifiuti organici o che si muovono tra le dita dei carcerati, sui buglioli svuotati sui corridoi della carcere, sulle coperte sporche di sangue e umori corporei. Ci vuole una bella capacità di sopportazione davanti allo schermo. Eppure McQueen riesce a far risultare un’operazione di forte estetismo anche questa fotografia sudicia e maleodorante.
Come ha fatto pure in Shame, il corpo nudo è mostrato, senza verecondia, con frequenza, e diventa mezzo della lotta. È vittima, nei patimenti, nelle violente e cruente percosse fisiche, ma è anche arma tramite cui la protesta si muove. Dopo un fallito tentativo di sciopero della fame, infatti, i prigionieri dell’IRA ne provano un altro, più rigido.
Li guida Bobby Sands , nel 1981. Sarà il primo “martire” di uno sciopero individuale ma a oltranza: nel caso di morte, lo sciopero viene portato avanti da un altro detenuto, e così via.
Dopo 66 giorni di sciopero Sands muore di inedia nell’ospedale della prigione. Un episodio che colpì molto McQueen ragazzino, che ha raccontato: “La sua immagine appariva sullo schermo della televisione praticamente ogni sera, con un sottotitolo che indicava un numero, e mi è rimasta impressa quella determinazione appassionata e il livello di quello scontro alzato fino alla morte”.
Dopo Sands altri nove uomini (sei dell’IRA e tre dell’INLA) morirono tra maggio e agosto del 1981.
Il ruolo di Sands è interpretato all’attore feticcio di McQueen, lo stesso superbo Michael Fassbender a cui poi ha affidato Shame.
Aspro, dal realismo poetico e dalle tinte caravaggesche, Hunger è estremo e brutale, indimenticabile. E riesce a fornirci non solo la prospettiva dei carcerati, ma anche quella dei secondini che quotidianamente vivono la deprimente e feroce realtà di The Maze.
Al talentuoso McQueen si può rimproverare solo un qualche autompiacimento nel suo cinema esteta e non aver attribuito nome e cognome agli altri nove repubblicani morti dopo Sands.
Lo facciamo noi: Francis Hughes, Raymond McCreesh, Patsy O’Hara, Joe McDonnell, Martin Hurson, Kevin Lynch, Tom McElwee, Kieran Doherty e Mickey Devine
Altro da vedere al cinema:
La questione Irlandese al Cinema – “Jimmy’s Hall” & “’71”
Il conflitto che ha infiammato per oltre trenta anni le sei contee del Nord dell’Irlanda è stato oggetto di varie trasposizioni cinematografiche: drammi, film-documentario, commedie e fiction televisive. Gli ultimi due film usciti.
Da vedere.
Fonte recensioni: http://movieplayer.it
Molti registi si sono pertanto cimentati con la questione nordirlandese e tutti questi tentativi, alcuni più fortunati di altri, hanno comunque contribuito in qualche modo ad illustrare i vari aspetti del conflitto, anche i meno noti, ma soprattutto a rimarcarne l’incidenza sulle storie di vita vissuta non solo dagli abitanti delle estates di Belfast, Derry, Portadown o delle campagne del South Armagh, ma anche dai soldati britannici di stanza in Ulster.
Quest’articolo riporta le recensioni di alcuni di questi films, con l’intenzione di favorirne la visione per far meglio comprendere le dinamiche di fondo del conflitto, viste attraverso una prospettiva diversa: l’occhio della cinepresa.
Jimmy’s Hall
Nel 1921, un’Irlanda sull’orlo della guerra civile, Jimmy Gralton aveva costruito nel suo paese di campagna un locale dove si poteva danzare, fare pugilato, imparare il disegno e partecipare ad altre attività culturali.
Tacciato di comunismo era stato costretto a lasciare la propria terra per raggiungere gli Stati Uniti.
Dieci anni dopo Jimmy vi fa ritorno e sono i giovani a spingerlo a riaprire il locale.
Gralton è inizialmente indeciso ma ben presto cede alle richieste. Chi gli era stato ostile in passato torna a contrastarlo.
Ken Loach torna nell’Irlanda che aveva messo al centro del suo cinema ne Il vento che accarezza l’erba e lo fa in modo apparentemente inusuale.
Perché al centro di questa storia ci sono uomini e donne che difendono quello che un tempo avremmo definito un dancing.
La musica che accompagna le dure immagini della Depressione americana potrebbe aprire un film di Woody Allen ma il contesto è e resta quello più amato dal regista inglese: la vita di uomini e donne che cercano nella condivisione di idee e di spazi quel senso della socialità che altri vorrebbero irregimentare per poterlo controllare il più possibile.
Quello che Jimmy Granton (attivista socialista realmente esistito) edifica per due volte è di fatto un centro sociale ante litteram in cui si possono condividere saperi ma anche la gioia dello stare insieme. Definire ‘peccaminose’ le danze che vi si praticano è, per la chiesa locale e per gli esponenti della destra, solo un pretesto per impedire la circolazione di idee ritenute pericolose.
Chi frequenta la Pearse-Connolly Hall è spesso anche un buon cristiano che partecipa alla messa domenicale. È proprio questo che va colpito e debellato da quel potere ecclesiastico che però, a differenza dei reazionari più retrivi, è ancora capace di comprendere l’onestà degli intenti dell’avversario.
Il film esce in un tempo in cui a Roma siede un pontefice che ha dichiarato di saper ballare la milonga e di non sostenere ovviamente il comunismo ma anche di aver conosciuto tante brave persone che erano comuniste. Jimmy’s Hall potrebbe piacergli.
- DATA USCITA:
- GENERE: Drammatico
- ANNO: 2014
- REGIA: Ken Loach
- SCENEGGIATURA: Paul Laverty
- ATTORI: Barry Ward, Andrew Scott, Simone Kirby, Jim Norton, Brian F. O’Byrne, Aisling Franciosi
- FOTOGRAFIA: Robbie Ryan
- MONTAGGIO: Jonathan Morris
- MUSICHE: George Fenton
- PRODUZIONE: Sixteen Films, Element Pictures, Why Not Productions
- DISTRIBUZIONE: BIM
- PAESE: Francia, Gran Bretagna, Irlanda
- DURATA: 106 Min
’71
A differenza di altre pellicole che hanno affrontato la delicata questione irlandese, ’71 non ha paura di mostrare i torti di entrambe le fazioni, sia dell’IRA che dei Lealisti protestanti.
Una sporca guerra
Che nei conflitti – di qualsiasi tipo – non sia mai tutto bianco o nero non è una novità. Che laquestione irlandese sia uno dei momenti più drammatici della storia europea neppure. Ma ad aprirci gli occhi sulla complessità della guerra tra cattolici e protestanti combattuta nell’Irlanda del Nord arriva oggi una nuova pellicola intitolata ’71. Un’opera prima dirompente, presentata in concorso al Festival di Berlino che subito mette una seria ipoteca sul palmares. A colpire è la scoperta che l’autore di questo lavoro, con i _troubles, non ha niente a che fare. Yann Demange è un regista parigino cresciuto a Londra che si è fatto notare con la serie tv britannica Top Boy. Alle spalle, per il suo film d’esordio, ha la solida sceneggiatura firmata dal drammaturgo scozzese Gregory Burke, tradotta sullo schermo in immagini concitate, aggiaccianti e realistiche. Gli eventi chiave di ’71 si consumano in una manciata di ore. Demange e Burke scelgono di affrontare la questione irlandese adottando il punto di vista di un osservatore esterno catapultato nel conflitto suo malgrado. Gary, un giovane soldato inglese, viene inviato in missione nelle strade di Belfast per scortare la polizia dell’Ulster, intenta a fare irruzione nelle case del quartiere cattolico in cerca di armi dell’IRA. All’improvviso la piazza si infiamma, i vicoli si riempiono di cattolici che aggrediscono i soldati, a cui è stato dato l’ordine di non sparare sulla folla, e questi ultimi fuggono lasciando indietro Gary. Per il giovane inizia un lungo calvario che, in un’estenuante fuga notturna, lo porterà a contatto con le varie fazioni, con l’IRA che lo cerca per ucciderlo, con i Lealisti Protestanti e con un medico irlandese che, insieme alla figlia, lo soccorre e lo accoglie nella propria casa.
Sangue per le strade di Belfast
Per raccontare la Belfast del ’71, Yann Demange adotta un approccio realistico e uno stile concitato. La macchina a mano si getta nel bel mezzo degli scontri filmando i dettagli dei corpi, dei volti, le urla rabbiose della folla, gli spari, gli schizzi di sangue. L’estetica documentaristica, supportata dalla splendida fotografia sgranata e virata in seppia, conferisce potenza acuendo l’impatto devastante della visione. Demange non ha paura di sporcarsi le mani. Il suo film profuma di pietra, terra, sangue e ricrea con accuratezza l’atmosfera di tensione che si respirava all’epoca dei troubles. Se si esclude la presenza costante di Gary (interpretato da un convincente Jack O’Connell), ’71 è attraversato da una galleria di personaggi, tutti fortemente caratterizzati, che appaiono e scompaiono con rapidità. Dallo spavaldo bambino lealista che accompagna Gary al pub al ragazzino taciturno che collabora con l’IRA fino alla bella figlia del medico appassionata di musica inglese, ogni figura rimane impressa nella mente dello spettatore proprio in virtù della sua autenticità. Tutte le interpretazioni sono notevoli, in particolare quella di Jack O’Connell, giovane promessa del cinema britannico scelta da Angelina Jolie per interpretare il suo secondo lavoro da regista, il biopic Unbroken. Nel suo viaggio disperato attraverso la Belfastnotturna, Jack esplora la gamma delle emozioni che il suo soldato sperimenta riuscendo a non far mai venire meno la propria umanità e vulnerabilità anche se la posta in gioco è la sua sopravvivenza. Una prova di grande maturità per un attore appena ventitreenne.
Nè santi né eroi
A differenza di altre pellicole che hanno affrontato la delicata questione irlandese, ’71 non ha paura di mostrare i torti di entrambe le fazioni. Sia l’IRA che i Lealisti sono tormentati da conflitti interni con i rispettivi gruppi paramilitari che portano a scissioni, cambi di fronte e tradimenti. Questa intricata rete di rapporti e conflitti rappresenta il background in cui si inserisce la disavventura del soldato Gary, rendendo talvolta difficile la comprensione degli eventi allo spettatore che non conosce a fondo la storia dei troubles. Un prezzo da pagare perché il film risulti così autentico. A magnificare gli eroi del conflitto ci hanno pensato altri. Da estraneo ai fatti narrati, Yann Demange sceglie di descrivere nel modo più realistico possibile la complessità dell’epoca rinunciando a scorciatoie o semplificazioni. A muovere i soggetti coinvolti nella lotta non sempre sono l’amore per la propria gente o gli ideali indipendentisti, ma gli interessi economici, la brutalità, talvolta la stupidità. Col suo stile diretto, ’71 gratta via la patina epica che ammanta gli eventi storici per far affiorare la sporcizia. Un film tanto duro quanto necessario.
Con Jack O’Connell, Paul Anderson, Richard Dormer, Sean Harris, Martin McCann. Charlie Murphy, Sam Reid, David Wilmot
durata 100 min.
Gran Bretagna
2014.
ED ANCORA …. Film da vedere
2012 – Doppio gioco
2009 – L’ombra della vendetta
2008 – Fifty Dead Men Walking
2008 – Hunger
2006 – Johnny Was
2006 – Il vento che accarezza l’erba
2005 – Breakfast on Pluto
2005 – Il silenzio dell’allodola
2002 – Bloody Sunday
1997 – The Boxer
1997 – L’ombra del diavolo
1996 – Michael Collins
1994 – Blown Away – follia esplosiva
1993 – Nel nome del padre
1992 – La moglie del soldato
1992 – Giochi di potere
1987 – Una preghiera prima di morire
BOBBY SANDS – a 30 anni dalla morte
Troubles in Irlanda del Nord
I Troubles in Irlanda del Nord, un periodo buio della storia del Nord Irlanda. È nell’agosto del 1969 che iniziò quella definita come la fase più recente dei troubles in Irlanda del Nord.
I lealisti residenti lungo Newtownards Road, ad East Belfast, attaccarono la chiesa diSaint Matthews e le abitazioni cattoliche dell’adiacente ghetto di Short Strand, vero e proprio isolotto nazionalista in mezzo ad un mare “arancione”. Poi nel pomeriggio dello stesso giorno gli scontri proseguirono nella periferia nord della città, nel quartiere diArdoyne, proprio a ridosso di Crumlin Road, per poi propagarsi nei giorni successivi con feroce violenza a tutta l’Irlanda del Nord.
Troubles in Irlanda del Nord
Tali offensive protestanti ebbero il logico effetto di portare i cattolici, i più giovani e combattivi, a riunirsi in comitati locali di difesa e ad organizzare una sorta di resistenza, quartiere per quartiere, casa per casa, mediante la costruzione di rozze e primitive barricate per meglio fronteggiare le incursioni degli unionisti.
Sebbene erette soprattutto a scopo difensivo, le barricate rappresentavano un’imbarazzante presenza per il governo ed ancora di più furono considerate come un’implicita sfida da parte della comunità cattolica nei confronti dello stesso Stormont regime e della Royal Ulster Constabulary (RUC), entrambe accusate di non difendere i diritti dei cittadini di credo cattolico.
Quando il 9 settembre dello stesso anno il Primo Ministro, l’unionista Chichester-Clarke, diede l’ordine di smantellare le barricate, la tensione nei quartieri nazionalisti crebbe: prevedibilmente i cattolici si rifiutarono di obbedire ed i protestanti, dal canto loro, iniziarono ad ammassare vecchi mobili, rottami, carcasse di auto e quant’altro lungo le vie di accesso alle loro zone.
Belfast ormai sembrava una città del Lombardo-Veneto durante le guerre di indipendenza contro i soldati del Generale Radetzky.
Nel giro di pochi giorni solamente lungo le aree del Lower Falls e di Shankill, di tali barricate se ne contavano circa duecento, dislocate in ogni strada o vicolo con un qualche accesso esterno. Il governo di Stormont cominciò a mettere pressione sull’esercito di Sua Maestà affinché questo cominciasse a riprendere il controllo delle strade. Così i soldati eressero vere e proprie barriere di filo spinato e sacchi di sabbia, dove posero le loro postazioni per controllare le rozze barricate ed i quartieri in fermento.
Sir Ian Freeland, all’epoca General Officer Commanding del British Army, affermò: “Non avremo mai un muro di Berlino o roba simile in questa città”.
E comunque durante i Troubles in Irlanda del Nord, nessuno credeva che tali barricate dell’esercito sarebbero rimaste in piedi così tanto a lungo. In realtà tali barriere si rivelarono tutt’altro che temporanee, le peacelines, così chiamate, si sono rivelate alquanto longeve nel tempo e, dalle prime erette lungo Cupar Street e nel Lower Falls, si sparsero anche in altre zone calde come Springmartin, New Barnsley, Lenadoon e Lady Brook a West Belfast, come New Lodge, Tiger Bay, Ardoyne ed Old Park a North Belfast ed infine, ad est, a Short Strand.
Inoltre, come è avvenuto per la zona intorno a Manor Street nel 1986, anche l’urbanistica della città ed il relativo sviluppo hanno dovuto tener conto di tutto ciò in varie occasioni alcune strade sono state letteralmente demolite e ricostruite con degli enormi muri in mezzo, come ad esempio Bryson Street.
Durante i Troubles in Irlanda del Nord, Le “linee della pace” da temporanee, fatte di sabbia e filo spinato, adesso sono vere e proprie strutture permanenti, in cemento, con l’aggiunta di barre d’acciaio e reticolati di ferro. Belfast è stata sempre caratterizzata dall’essere una città ad alto grado di segregazione, data la netta divisione e conflittualità fra le due comunità. Già a partire del tardo diciannovesimo secolo, in un periodo di forte sviluppo e crescita industriale, gli emigranti che si trasferirono in città dalle campagne in cerca di lavoro hanno sempre teso a stanziarsi nelle medesime aree dei loro correligiosi per di più gli sporadici tentativi dei sindacati, delle trade unions e delle forze progressiste del paese di riunire la classe operaia al di là delle differenze religiose hanno costantemente fallito.
Successivamente, i periodi di crisi politica ed economica, le rivolte del 1886 e degli anni seguenti, la Partition del 1921-22, che di fatto divise le sei contee del Nord dal resto dell’isola, ed i continui movimenti anti-cattolici degli anni ’20 e ’30 sono stati tutti fattori che hanno contribuito ad una ancora più profonda divisione della popolazione lungo due linee “settarie”.
Tutto ciò si manifestò in seguito, con conseguenze devastanti, dopo la creazione dellaNorthern Ireland Civil Rights Association (NICRA), nel febbraio del 1967, le cui richieste erano alquanto moderate:
– la riforma del governo locale (fino ad allora Stormont era stato decisamente un governo protestante di uno stato protestante per gente protestante)
– la cessazione di ogni forma di discriminazione dei cittadini di religione cattolica nella distribuzione delle case, del lavoro e di fronte alla giustizia.
Chiaramente i protestanti liberali erano in grado di accettare tali richieste, ma solo alcuni, molto pochi, lo fecero; tutti gli altri no, scegliendo di cavalcare, a causa del timore di perdere il proprio status e tutti quei privilegi che ne derivano, le considerazioni e le tesi di quei leaders politici unionisti che etichettavano gli attivisti della NICRA, ed in generale tutto il movimento per i diritti civili, come sovversivi sostenitori dell’IRA.
A seguito di ciò, gli attivisti per i diritti civili sono stati arrestati, attaccati, percossi, internati e minacciati: le foto dei poliziotti intenti a pestare e manganellare i dimostranti durante la marcia del 5 ottobre del 1968 fecero il giro del mondo.
Chissà cosa ne sarebbe stato della moderna storia dell’Irlanda del Nord se le richieste dellaNICRA fossero state accolte, lasciando alle spalle i giorni oscuri del regime di Stormont ma soprattutto chissà quante vite sarebbero state risparmiate.
La cosa, a mio avviso, più sconcertante di quegli anni fu il fallimento della classe operaia protestante, nel non fare fronte comune con l’equivalente cattolica, e nel farsi manipolare dalla propria classe dirigente, dall’Orange Order e dai politici unionisti per poi avere, in cambio dei voti e del sostegno dati loro, case scadenti, quartieri dormitorio e salari da fame.
Gli scontri dell’agosto e settembre del 1969 sono stati fra i peggiori di tutto il conflitto nordirlandese e della storia dei Troubles in Irlanda del Nord: 8 morti, circa 1500 famiglie cattoliche e 300 protestanti cacciate dalle loro case. Nel febbraio 1973, fu calcolato che circa 60.000 persone, circa il 10% dell’intera popolazione di Belfast, furono costrette ad abbandonare le proprie abitazioni, segnando al tempo il più grande spostamento della popolazione avvenuto in Europa dalla II Guerra Mondiale.
Da allora morte e distruzione sono state di casa nelle sei contee e la situazione nel corso degli anni passati andò addirittura peggiorando: degli oltre tremila morti, di cui la metà aBelfast, circa 750 sono stati ufficialmente considerati omicidi settari, la maggior parte dei quali commessi dagli squadroni della morte dei gruppi paramilitari lealisti (UVF, UDA/UFF, LVF e RHD) ai danni della comunità cattolica/nazionalista. Circa 130 i protestanti uccisi e più o meno 200 le vittime dell’Esercito Inglese e della RUC (oggi Police Service Northern Ireland).
La gente di Belfast durante i Troubles in Irlanda del Nord, ha costantemente vissuto in uno stato di ansia e tensione ed anche oggi, che la situazione è relativamente tranquilla, i problemi settari non sono andati via, soprattutto in determinate zone.
Le peacelines durante gli anni dei Troubles in Irlanda del Nord, hanno purtroppo dato espressione fisica e materiale ai pregiudizi già esistenti, alle divisioni ed a quelle incomprensioni che la costante presenza della guerra nella vita di tutti i giorni ha reso sempre più spiazzanti per le generazioni cresciute nelle estates.
Solo desolazione urbana e rabbia, è questo quello che tali barriere simboleggiano e generano in coloro le “vivono”: le peacelines in realtà sono state “battle-lines”, ossia linee di battaglia, simbolo di odio e vecchi rancori, usate come reti da tennis dalle opposte fazioni, con pietre, cocktails molotov e pipe bombs che volano al di là ed al di qua del muro, sempre e comunque, ancora oggi (anche se ormai non ricevono neanche più copertura mediatica).
Onestamente bisogna ammettere che la Belfast del XXI° secolo è effettivamente un ‘altra città rispetto agli anni precedenti e che alcuni passi avanti in termini di peace-process, anche se poco concreti, sono stati fatti: Anglo-Irish Treaty, Good Friday Agreement, Leeds Castle, e via dicendo.
Però anche se vi sono stati accordi su accordi, strette di mano e trattative infinite, lungo i muri di Belfast la segregazione continua.
Troubles in Irlanda del Nord, la colpa?
Ronan Bennet, noto scrittore e sceneggiatore nativo di Belfast ed anch’egli internato negli anni ’70 nel carcere di Long Kesh, ha affermato che le peacelines sono sotto tutti gli aspetti una creazione dello Stato Britannico, e che la loro presenza o eventuale demolizione è inestricabilmente legata alla presenza di quest’ultimo.
Qualcuno può dargli torto?