RACCONTO DI NATALE – “In quel tardo pomeriggio io entravo nella città del Natale, ma in realtà respiravo lacrime e sangue….”
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RACCONTO DI NATALE – “In quel tardo pomeriggio io entravo nella città del Natale, ma in realtà respiravo lacrime e sangue….”

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Nel buonismo imperante di stagione…. un racconto che evoca atmosfere bukowskiane, ma li rende tenere ed umane. Una sceneggiatura immaginaria imperniata, tra interni – dell’anima – ed esterni  metropolitani che potrebbero essere anche le facciate dei quartieri borghesi messinesi,  alla ricerca di una relazione tra la fisicità umana e l’immaterialità dei pensieri e delle idee si concretizza, tra tristezze e angosce, ma anche mai che si cercano e si accolgono, la Città del Natale.

 

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In quel tardo pomeriggio io entravo nella città del Natale, ma in realtà respiravo lacrime e sangue, senza scorgere quella civiltà di lucine, assorto sul mio peso, assoggettato dall’interiore, dotato da un algida armatura, fardello, anch’esso, fin troppo ingombrante per la mia esile figura…

Un ombra, frattanto, assistette la resa, quella tensione che scagionava il mio corpo, in un rantolo di apocrifa baldanza.

Respirai un ricordo, poi un altro, come assistito da una lenta processione di un altro me; e la cosa non smetteva di biasimare la mente, talmente ovattata, dal clamore bellico della nostalgia.

Una lacrima di mondo, bevve dai miei occhi, per annettere il lutto, l’irrealtà, l’irrompere aspro del presente.

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E allora, mentre tutto precipitava nella folla – tra bimbi festanti, e gioiosa armonia, la città del Natale, per un attimo, smise di urtare le pareti nere della mia fisicità. Un muro, soffocò quella divampante sopravvivenza, ma nessuno in quella ressa umana, scorse l’annebbiarsi delle mie facoltà.

La magia sovrastante ne arrestava ogni capitolazione, e riprendendo coscienza nella bucolica armonia altrui, portai a compimento il mio umile lavoro di fattorino. Non dimenticai di elargire un vasto sorriso, sulla soglia di quella abitazione, ove le decorazioni natalizie, facevano bella mostra, e quando tornai con rarefatto stupore, dentro la Città del Natale, il freddo sembrò essersi attutito dalla confusione composta.

Una banda musicale, più in là, celebrava la magia di quel momento, mentre scendeva la sera, sulla Vigilia terrestre. Lo scomparto ibrido della mia carne, sovrappose sguardi misericordiosi, per poi essere urtato continuamente; ma sul bordo di un marciapiede, presi uno scampolo meno vivace, per sfuggire al sovrabbondare di felicità.

Fu lì, che trovai rifugio in un androne buio, alcova provvidenziale, finalmente libero – pur soffocante, dalle maschere platoniche di religiosa conversione al consumismo.

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Gettai un velo, sul sordo ricatto della vita, stretta repentinamente, allo scambio velleitario dell’istante, scandendo un largo giro di paralisi, ove tornai a indossare vecchie emozioni, a stanare tarli inauditi, ad avvertire il calore di una casa, la nostra casa, l’affetto, il nostro affetto, le piccole cose di ogni giorno.

Sì, tutto tornava apposto, senza neppure un grido sgomento.

Ella giunse, placando l’ingiusta abiura del tempo.

Il reale, sovrappose un cartello senza più rancori, e docile, morse i sensi funesti del mio irretire la realtà. Parlami ancora, mentre il mondo espone la sua danza.

Fammi udire la voce della mia infanzia. Un caldo bagno di lacrime, mi ridestò da quel torpore riflesso della mente.

Fu ancora la sera, a giostrare, prepotente, la distrazione, quando rialzatomi da quella feritoia, scorsi il quieto vivere invecchiare.

Ora tutto era puro intuito.

Il respiro spianò l’asfalto circostante, e la brezza affievolita come neve, giunse come polvere sulle mie guance scavate.

Sul ciglio urbano ancora brulicante, la piccola mano di un bambino sposò la mia.

Fissai bene l’impatto di calore avvertito sulle mie gelide membra, e posando lo sguardo sulla sua innocenza, finalmente, 

Fummo pronti per andare incontro alla Città del Natale, un ultima volta ancora.

 

Erotavlas Esenocip

24 Dicembre 2016

Autore:

redazione


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