REFERENDUM – Chi è a favore del sì, chi del no

Posizioni, quelle sul referendum di domenica prossima, relativo alle trivellazioni nel mare entro le 12 miglia marittime, che dividono maggioranza e opposizione al loro stesso interno. A favore del sì, naturalmente, animalisti, ambientalisti, categorie di persone interessate a far cessare le trivellazioni entro un certo periodo ed esponenti politici che, un po’ per partito preso, un po’ perché hanno fatto della lotta a favore delle energie rinnovabili e contro l’inquinamento uno dei punti cardine del proprio programma.
I favorevoli al no, perché…
Ma cosa cambia? Per molti, i favorevoli al “No”, oppure al mancato raggiungimento del quorum, il quesito referendario, l’unico “sopravvissuto”, all’inizio erano 6, non muterebbe la situazione delle trivelle in mare. Quelle che hanno già ottenuto una concessione, infatti, potrebbero continuare ad estrarre petrolio o gas fino al raggiungimento della scadenza della concessione, nel caso vincesse il sì, oppure fino ad esaurimento naturale del giacimento, nel caso dovesse vincere il no o non si raggiungesse il quorum.
A favore del no anche i sindacati del settore petrolchimico che, in caso di vittoria del sì, hanno calcolato la perdita di posti di lavoro per migliaia di persone ed inoltre, dice il segretario generale dei sindacato chimici della Cgil, Emilio Miceli, al Secolo XIX, il referendum “si fonda su un assunto che trovo sconcertante: sappiamo che il gas ci servirà ancora per molti decenni, ma a produrlo vogliamo siano altri. Noi, in fondo, compriamo. Siamo ricchi(!), no? E allora siano i poveri a produrre! Non è forse così per tutte le cose? Non c’è chi mangia e chi no? Chi è ricco e chi povero? Non ci sono i fortunati e gli sfortunati? Bene, altri estrarranno gas e noi compreremo”.
Il sì e la questione delle Royalties
Per molti petrolio e gas sono sinonimo di ricchezza. E in effetti, se si calcola che molti territori si sono arricchiti grazie alle royalties che le società titolari di concessioni devono cedere allo Stato, in teoria dovrebbe essere così. I sostenitori del sì, oltre agli aspetti ambientalistici della vicenda, hanno analizzato anche quello più materialmente economico. In Italia, i giacimenti di idrocarburi sono patrimonio indisponibile dello Stato. Tuttavia lo Stato non si impegna direttamente nella ricerca e nel loro sfruttamento, che lascia in concessione ad imprese private.
Il concessionario è soggetto al rispetto dei programmi di lavoro, al pagamento di canoni proporzionati alla superficie coperta dai titoli minerari e al pagamento di royalties, proporzionate alle quantità di idrocarburi prodotte. Cosa sono le royalties? La percentuale sugli utili corrisposta al proprietario di un giacimento, quindi allo Stato. Ma perché sono tanto rilevanti nel referendum? Ovviamente ogni concessionario ha l’obbligo di versare le royalties allo Stato solo se supera una certa quantità di materiale estratto annualmente, se rimane nel limite non è obbligato. Il limite è di 50.000 tonnellate estratte in mare per l’olio e di 80 milioni di metri cubi per il gas. Qual è il meccanismo che additano il promotori del sì: se una società privata, che ha ogni interesse a risparmiare, ha a disposizione un tempo indeterminato per estrarre petrolio o gas, perché in un anno dovrebbe superare la quota minima ed essere costretto a versare royalties che, per quanto concerne il mare territoriale, come in questo caso, andrebbero per il 45% allo Stato e per il 55% alla Regione interessata?

Redazione Scomunicando.it

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