Patrik Modiano legge, dopo 50 anni, su un vecchio giornale del 1941 l’annuncio della scomparsa di una ragazza, Dora Bruder.
Chi era Dora, qualcuno l’ha vista, perché era scomparsa?
Dora era fuggita solo da un collegio di suore o fuggiva da un pericolo oscuro e incombente nella grigia Parigi occupata dai nazisti?
Modiano inizia la ricerca, vuole ricostruire un’identità scomparsa; di Dora restano qualche foto ingiallita, un certificato di nascita da cui si sa che era ebrea, si conosce la via dove abitava e si ha qualche vaga notizia della scuola frequentata, del collegio di suore dove avena trascorso qualche mese; poi si ritrova anche un numero identificativo riservato agli ebrei, quindi la polizia sapeva che Dora era ebrea.
La ricerca si snoda nelle strade di una Parigi che ha già dimenticato gli anni dell’occupazione. Modiano si muove nei luoghi che Dora aveva frequentato; come erano quei posti 50 anni prima, conservano ancora qualche labile memoria?
Tassello dopo tassello Modiano ricostruisce la presumibile vita di Dora, la sua quotidianità in cui irrompe la “banalità del male”: impiegati che schedano gli ebrei e distribuiscono le stelle da cucire sui vestiti, vigili che ne segnalano la presenza, poliziotti che li arrestano, altri impiegati che si limitano a registrare nomi e numeri.
Tutto segue una tragica routine che si ferma solo nel campo di raccolta di Drancy da dove il 18 settembre 1941 Dora viene caricata su un treno per Auschwitz; da quella data non si hanno più notizie della ragazza che i genitori cercavano con l’annuncio su un giornale.
Di Dora restano solo frammenti di identità che emergono dopo 50 anni, quasi una voglia di sopravvivenza, un tentativo di sfuggire all’oblio del tempo.
Da cosa fuggiva Dora?
La fuga “è una vertigine che non può durare a lungo. Senza futuro.. Di lì a poco, il vostro slancio viene bloccato di colpo. La fuga, a quanto pare, è una richiesta di aiuto e in certi casi una forma di suicidio. Ciò non toglie che per qualche istante si provi una breve sensazione di eternità.
Oltre ai legami con il mondo, avete rotto anche quelli con il tempo. E capita che alla fine di una mattinata il cielo sia di un azzurro tenue e nulla abbia un peso su di voi”. Forse per qualche attimo Dora ha provato questa vertigine prima di “patire pene di ogni sorta per consentire a noi di provare solo piccoli dispiaceri”.
Un romanzo da leggere per capire cosa sia “la banalità del male” e come il “male” irrompe nella quotidianità.
Un libro da leggere per capire quanto strade anonime, frequentazioni quotidiane, attività “banali” incidono nel formare un’identità.
Le ultime righe del romanzo sono di una intensità struggente, leggendole si ripercorrono le tappe di una ricerca che conduce all’abisso, un abisso in cui ogni numero identificativo aveva un’identità che vuole essere ricostruita, ma contiene anche segreti che chiedono discrezione:
“Ignorerò per sempre come passava le giornate, dove si nascondeva, in compagnia di chi si trovava durante l’inverno della sua prima fuga e nelle poche settimane di quella primavera in cui scappò di nuovo.
E’ il suo segreto.
Povero e prezioso segreto che i carnefici, le ordinanze, le autorità cosiddette d’occupazione, il Deposito, le caserme, i campi, la Storia, il tempo – tutto ciò che insozza e distrugge – non sono riuscite a rubarle”.