La tragedia del Vajont, il 9 ottobre 1963. Una diga per un bacino idroelettrico, fu costruita in una zona franosa sul monte Toc, il quale cedette e cadde nel lago artificiale a 100 km orari, e cancellò con un’onda creata dalla frana, il paese di Longarone. Tanti morti, tra questi anche un brolese, Vincenzino Gumina. Può considerasi un morto alla ricerca di un lavoro… come Ninitto Ziino. Un altro capitolo tra gli articoli della nostra rubrica dedicata ai “brolesi”.
Al cimitero delle vittime del disastro del Vajont (1918 morti dei quali 450 erano bambini) c’è la lapide che ricorda anche Vincenzo Gumina, 33 anni, trasferito nella cittadina per il suo primo incarico a scuola. Anch’egli travolto dalle acque.
Vincenzo Gumina, era un professore fresco di laure. Suo padre, aveva tirato su tre figli, un medico – Pippo – che fece fortuna in america, poi Enrico, un magistrato, quindi lui.
Prima il liceo, poi l’università, quindi l’abilitazione all’insegnamento, poi l’attesa della prima nomina alla ricerca di una cattedra che qui, nè a Brolo, nè il Sicilia c’era.
Così in un periodo difficile per il paese, dove in tanti emigravano per la Germania, per le miniere francesi o con il sogno di un posto fisso nella “catena” della Fiat anche Vincenzo fece una scelta difficile.
Emigrare per un lavoro.
Per lui scelse la sorte.
Una cattedra libera era quella di Longarone e il figlio di Donna Cona restò lì, sotto la piena del Vajont.
La sua vita si fermò quando la frana che si staccò, alle ore 22.39 del 9 ottobre del 1963, insieme ad altri 1918 abitanti della valle.
Non trovarono nulla di lui, solo qualche oggetto su cui piangere.
Ora una piazza, a Brolo, lo ricorda, quando per un’ottusa burocrazia scolastica si negò, su richiesta dell’amministrazione del tempo, di intitolargli la scuola media.
Altra storia.
La foto in testa all’articolo, quella della lapide nel cimitero-museo di Longarone è dello scrittore Luciano Armeli.
Ma parlando di morti per il lavoro, tra i Brolesi di quegli anni, non si può non rammentare Ninitto Ziino.
Anche lui emigrò. Era ragioniere. Si era diplomato da poco.
Aveva cercato lavoro a Brolo, ma non c’erano le aziende. Per restare poteva far solo l’operaio nei magazzini di limoni, tossire di fronte le stufe dell’acetilene se andava bene.
A Brolo doveva ancora arrivare la nuova frontiera della piccola industria, dell’edilizia, dell’iva e degli studi dei nuovi ragionieri .. e lui , non avendo nessuno per piazzarlo alle Poste o all’ospedale “Piemonte”, scelse il Nord-Est.
Ci andò con una tessera di “accertatore” Siae in tasca, per non pagare al cinema.
Ci andò sorridendo, ma con un velo di tristezza, enorme, nel cuore.
Fu investito da un camion, era in moto, tornava dal lavoro, l’autista non si fermò, e rimase sul ciglio della strada nell’inizio dell’estate del 1966.
Una ghirlanda di fiori di bronzo, ultimo pensiero degli “gli amici del nord” testimonia il grande affetto e la stima che anche lì si era conquistato.
Due storie di “ragazzi” brolesi, Vincenzo 34, Nino appena 26 anni, due tombe al cimitero.
Storie dimenticate o non conosciute da tanti – come ne conserva il cimitero, e che a poco a poco andremo a scoprire.
Storie che restano un ricordo per gli amici del tempo.
Storie che ci dicono che ieri come oggi, ancora, si può morire per inseguire il sogno di un vero lavoro.
Non è una domanda.
Ma il “si” – ieri come oggi – è la giusta risposta.
E tornando al Vajont, quella diga fu uno degli esempi più incredibili di malagestione italiana, costruita dove si sapeva che non avrebbe dovuto stare.
Le autorità all’apparenza si ribellarono, ma la moglie del sindaco di Longarone, in segreto, vendeva i terreni alla SADE, la società che acquistava per costruire la diga.
Sapevano tutti che la zona era da evitare.
Infatti Vajont, significa proprio “viene giù”, e Toc, il nome del monte, significa proprio “marcio” o “pezzo”.
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