– di Cosimo Sframeli –
Ricordo con commozione Agostino Cordova, Giudice Istruttore a Reggio Calabria quando negli anni ’70 istruì il primo processo alla ‘ndrangheta (De Stefano + 59). Fu Procuratore capo a Palmi per indagare su massoneria e P2 (Propaganda due) e poi a Napoli.
Al processo contro i sessanta boss, celebratosi nel 1976, il G.I. Agostino Cordova annotò nella sentenza Istruttoria: «Quel che è sorprendente è il riconoscimento ufficiale del costo della mafia, trattandosi di circostanze, oltre che notorie, apprese presso la Direzione Generale delle Ferrovie dello Stato». Fu una specie di manna dal cielo per la ‘ndrangheta che, nel periodo del nuovo grande esodo di massa di molti emigranti calabresi verso il Nord, iniziava ad avere a che fare con cifre veramente rilevanti, in confronto agli spiccioli che potevano essere estorti a modeste imprese locali della Piana, di Reggio e di poche altre località costiere, o delle cifre irrisorie che si potevano ottenere nei paesini dell’interno, con un’economia ancora legata alla pastorizia, a una agricoltura per niente meccanizzata.
A Palmi, negli anni bui e di piombo, la Procura retta da Agostino Cordova coordinò carabinieri e polizia in indagini congiunte mirate alla liberazione di Maria Graziella Belcastro, sequestrata dall’Anonima dentro la sua casa. In montagna la pressione aumentò e le perlustrazioni, le battute e i rastrellamenti proseguirono finché Graziella non venne liberata.
In contemporanea, a Palermo, Giovanni Falcone si era candidato all’incarico di Alto Commissario per la lotta alla mafia e successivamente componente al C.S.M., ma entrambe le iniziative vennero respinte. Falcone, quindi, accettò la proposta del Ministro di Grazia e Giustizia, Claudio Martelli, di dirigere il dipartimento Affari Penali a Roma. Intanto, la Procura Nazionale Antimafia nacque da un’idea di Rocco Chinnici, concretizzata da Antonino Caponnetto, portata avanti dallo stesso Falcone. Un organismo con il compito di coordinare le inchieste contro Cosa Nostra. Ed era Falcone il naturale candidato, ma il C.S.M. lo bocciò ancora una volta, preferendo Agostino Cordova alla guida della nuova struttura Antimafia. In conseguenza, il Ministro non conferì il concerto, non firmando il decreto di nomina.
Nel mese di luglio del 1993, Cordova fu destinato a Procuratore Capo di Napoli. Dalla massoneria internazionale al malaffare delle istituzioni, passando per le corruzioni di altissimi funzionari del Viminale. La sua carriera professionale fu costellata da battaglie giudiziarie altisonanti che chiuse talvolta con sconfitte. Intelligente e scaltro, amava rappresentare se stesso come un indomito cavaliere che affrontava solitario il mondo della corruzione. Aveva un brutto carattere e non era un diplomatico. Considerava la diplomazia come una bellissima donna che voleva avere intimi rapporti con il compromesso e generare brutti figli che si chiamavano condizionamenti o ricatti.