“Il ferro dello speciale per redimerti. Il vetro del tribunale per esibirti”. Raccontava con queste parole la sua vicenda, Paolo Signorelli.
Il professore simbolo della malagiustizia italiana.
Dimenticato in un carcere per dieci anni, di cui praticamente la metà fatti in isolamento, mentre sulla sua testa pendevano le accuse di essere l’ideologo dei NAR, mandante di tre omicidi, complice nella strage di Bologna.
Solo per citare le più infamanti.
Ma cominciamo dall’inizio.
Paolo nasce in un giorno di fine inverno del 1934, in pieno ventennio.
A Roma.
Essere fascista sarà il “peccato originale” che gli impedirà di condurre una vita normale, ma non di rimanere coerente al suo Pensiero.
Da ragazzino entra nel Movimento Sociale Italiano.
Diventa leader del FUAN Caravella (l’organizzazione degli universitari del MSI)
Il professor Signorelli si laurea in Scienze Politiche.
Insegna storia e filosofia al liceo classico “De Sanctis”.
È un intellettuale, è colto.
Da sempre è impegnato politicamente.
A destra.
In un periodo, quello del secondo dopoguerra e degli anni di piombo, in cui essere dalla “parte sbagliata” si paga. +E lui l’ha pagata cara, l’ha pagata tutta.
La persecuzione da parte della magistratura comincia nel gennaio del ’79.
L’ordine di arresto è per “detenzione di armi”.
Sei giorni dopo viene assolto “perché il fatto non costituisce reato”.
Il 7 Giugno dello stesso anno, il sostituto procuratore Mario Amato firma l’ordine di arresto per ricostituzione del disciolto Partito Fascista.
Il 21 Agosto si accorgono di non avere nulla in mano. E Signorelli viene assolto in istruttoria.
Ancora non è successo niente.
Il 23 Giugno del 1980 i NAR uccidono in un agguato proprio Mario Amato.
Il 26 Agosto si inaugura la stagione delle accuse contro il “Cattivo Maestro” dell’eversione nera.
È firmato dalla Procura della Repubblica di Bologna.
Stavolta il capo d’imputazione è “associazione sovversiva e banda armata”.
Il 28 di Agosto scatta l’operazione. Signorelli è a Marta, vicino Viterbo, con la famiglia. Ore 4 del mattino. Una quantità inaudita di auto della polizia chiude i due accessi al paese. Più di cinquanta uomini circondano la casa. Fanno irruzione nella villetta. Paolo sente urlare il suo amico Gianni Andreotti. Capisce che cercano lui.
Viene circondato da un “nugolo di energumeni acconciati come marziani. Giubbotti antiproiettile e M 12 armati”.
Lo racconta proprio Signorelli nel suo libro, “Di professione imputato”, ripercorrendo le tappe di questa e di tutte le altre assurde vicende che lo hanno riguardato.
Vogliono ammanettarlo e portarlo via insieme a tutti gli altri uomini che ci sono in casa.
Nemmeno si sono accorti che è in mutande.
“La metà di quelli che hanno fatto irruzione in camera nostra erano ragazzini. Tenevano in mano i fucili e tremavano. Erano terrorizzati. Sembrava che gli avessero detto che andavano ad arrestare ‘il Capo dei Capi’”.
Se la ricorda così quell’alba di Agosto, Claudia, la moglie di Signorelli. “Paolo uscendo di casa disse a mio figlio: ‘Luca, pensa tu a mamma’.
Ma avevano arrestato anche lui. Mentre lo portarono via, Luca si girò verso un nostro amico, Pierluigi Scarano, dicendogli “Pensa tu a mamma’.
Neppure lui si era accorto che avevano ammanettato pure Pierluigi.
Era una scena surreale, da film.”
Prima di portarli via, i poliziotti si mettono a zappare il giardino in cerca di armi. Lo riempiono di buche. Non trovano niente.
Ricorda ogni dettaglio la Signora Claudia. “Arrivò di corsa il nostro contadino dicendo: ‘Signò, ma che se sò inventati una nuova macchina per le ciammaruche (che in dialetto significa lumache, ndr)?”. Ma c’è poco da scherzare. La polizia si porta via Paolo, Luca e tutti i loro ospiti. Ognuno caricato in un automobile diversa. Come si fa nelle maxi-retate contro Cosa Nostra o la Camorra.
Il giorno dopo l’arresto, sulla prima pagina de “L’occhio”, il quotidiano della P2, diretto da Maurizio Costanzo, troneggia una foto di Signorelli accompagnata da un gigantesco titolo: “Strage di Bologna – Paolo Signorelli – Nella sua Villa di Viterbo pistole, bombe, mitragliatrici – Le armi scoperte nel giardino hanno riempito otto alfette”.
La risposta a quell’articolo infamante, Paolo la scriverà anni dopo: “Mi piace ricordare che da casa di mia moglie non venne portato via neppure un temperino, nonostante una perquisizione selvaggia”.
Signorelli viene trasferito nella Casa Circondariale di Modena.
Gli altri arrestati vengono rilasciati dopo poco.
Lui per 8 anni non uscirà dal carcere.
Per la metà del tempo sarà tenuto in isolamento.
Altri due anni li sconterà ai domiciliari per motivi di salute.
In tre anni gli piombano sulla testa più di dieci mandati di cattura.
Uno di questi è per “concorso nell’omicidio Leandri”. Sì concorso.
E il complice sarebbe suo figlio. Che viene arrestato il giorno del suo ventesimo compleanno, il 17 Ottobre 1980.
A Paolo non lo dicono. È in isolamento. Gli concedono un televisore.
Glielo lasciano giusto il tempo del tg.
Giusto per vedere le immagini di Luca portato via.
Subito dopo se lo riprendono. “Scusi, c’è stato un errore”. L’ennesima canagliata.
Per quattro mesi Claudia vede suo marito e suo figlio solo da dietro i vetri delle carceri di massima sicurezza.
Per quattro mesi Silvia incontra suo padre e suo fratello solo quando l’autorità giudiziaria concede i permessi.
I colloqui sono fissati lo stesso giorno: quello di Luca a Rebibbia, quello di Paolo a Modena. “Una volta siamo arrivate da Paolo con 5 minuti di ritardo, venivamo da Roma, ma non hanno avuto nessuna pietà.
Non ci hanno fatte entrare.” Ha la stessa rabbia negli occhi Claudia, lo stesso dolore di 32 anni fa. Ma una dignità infinita nel raccontare tutti i soprusi subiti. “Un’altra volta siamo arrivate, ci hanno detto di tornare il giorno dopo. Ci siamo fatte una notte a Modena, per sentirci dire che lo avevano trasferito. Non ci hanno comunicato né dove fosse, né se lo potessimo raggiungere.”
Il 22 febbraio dell’ ’83 Signorelli viene condannato all’ergastolo quale mandante dell’omicidio Leandri.
A Dicembre dello stesso hanno arriva il secondo ergastolo, quello da mandante dell’omicidio del giudice Amato. A marzo dell’85, il terzo ergastolo: mandante dell’omicidio Occorsio. Si chiude così il cerchio intorno al più pericoloso ideologo del terrorismo neofascita.
Il 5 Maggio del 1985 il teorema costruito appositamente contro il “mostro” dell’eversione nera, comincia a perdere colpi. Arriva la prima assoluzione. Quella per l’omicidio Leandri. A marzo dell’ ‘87 la Cassazione annulla la sentenza di condanna per l’omicidio Occorsio. Si deve rifare il processo d’Appello. Il 17 Settembre di quello stesso anno, la Corte d’Assise di Bologna concede gli arresti domiciliari per motivi di salute. Paolo Signorelli pesa 55 chili. Non sarà un uomo libero per altri due anni. “Vivevamo in via Moena –racconta Claudia- la casa era di proprietà di Nando (il fratello di Paolo), che all’epoca era senatore. I Carabinieri non lo facevano entrare. Non poteva venirci a trovare nemmeno Luca, perché nel frattempo si era sposato e non viveva più con noi”. Il 16 Dicembre, sempre del 1987 la Cassazione annulla anche la sentenza di condanna per l’omicidio Amato. Anche qui, serve un nuovo giudizio. Nel ’90 viene definitivamente assolto a Firenze “per non aver commesso il fatto”. Il processo è quello per l’omicidio Amato. La sentenza è definitiva. Due mesi dopo viene assolto anche come mandante dell’omicidio Occorsio (la sentenza definitiva arriverà solo nel ’93). Il 18 Luglio viene assolto “per non aver commesso il fatto” per tutti i fatti connessi alla strage di Bologna. La sentenza passa in giudicato.
Una settimana dopo Paolo Signorelli è un uomo libero.
Ha scontato 10 anni di “carcerazione preventiva”.
È stato assolto in tutti i processi che lo avevano coinvolto quale ideologo dei NAR.
Nel ’93 la Corte d’Appello di Bologna rigetta la domanda di Signorelli “per l’equa riparazione” perché “la sua condotta è stata la causa esclusiva dell’intervenuta custodia da lui subita”.
Non ha diritto nemmeno ad essere risarcito.
Claudia ricorda quegli anni con gli occhi lucidi: “E’ sempre stato lui a darci la forza per andare avanti. L’unico momento in cui l’ho visto vacillare è stato quando ha saputo dell’arresto di Luca.
Quello non poteva sopportarlo.
Perché si rendeva conto che avevano preso suo figlio per colpire lui”.
Quando le chiedi chi, fra forze politiche ed istituzioni, gli sia stato vicino in quei 10 anni di reclusione, la risposta è secca e senza appello: “solo i radicali”.
“E Michele Marchio (senatore missino, ndr), a titolo personale.
Che ci ha aiutato concretamente, per le spese legali”.
Aggiunge dura Silvia. “Se non fosse stato per loro, e per il professor Giovanni Aricò che ha smontato con caparbietà ogni accusa – senza prendersi mai un soldo – sarebbe morto in carcere!”
L’unica condanna definitiva che gli verrà inflitta è per “reati associativi”.
Ed è questa sentenza che gli impedirà per sempre di tornare ad insegnare e di avere diritto allo stipendio da parte del Ministero.
In seguito a questo ignobile epilogo Signorelli si definirà un “disoccupato di Stato”.
Paolo Signorelli non c’è più.
È morto il 1° Dicembre del 2010.
Un tumore lo ha strappato via alla sua famiglia.
A portare la bara il giorno del funerale c’era Paolo, il figlio di Luca.
È stato lui a chiedere al “Giornale d’Italia” che venisse raccontata la pazzesca odissea giudiziaria di suo nonno.
E così è stato.
Leggendo la sua storia, vengono in mente i versi di “Invictus” di William Ernest Henley: “Non importa quanto sia stretta la porta, quanto piena di castighi la vita, io sono il padrone del mio destino: io sono il capitano della mia anima”.
Per Paolo Signorelli è stato così.
È uscito dal lungo cammino della vita a testa alta.
Dalla porta principale.
Potendo dire: “il sole vince sempre”.
Integralmente tratto dall’articolo apparso sulla pagine de www.ilgiornaleditalia.org/news/. a firma di Micol Paglia l’1.12.2012